Mosca e Washington tra schermaglie mediatiche e aperta rivalità
Russia e Caucaso

Mosca e Washington tra schermaglie mediatiche e aperta rivalità

Di Andrea Ranelletti
18.03.2013

Le polemiche seguite alla morte di un bambino russo di tre anni, adottato da una famiglia americana, segnano un nuovo capitolo nella guerra sulle adozioni in corso tra Stati Uniti e Russia. Il piccolo Max Shatto è stato trovato privo di vita nel giardino dell’abitazione e le accuse sono cadute sulla madre adottiva, responsabile, secondo alcuni, di aver percosso il piccolo fino a causarne il decesso. Non è stato sufficiente il risultato dell’autopsia che scagionerebbe la madre a placare le polemiche tra i due Stati. Lo scorso 22 febbraio una mozione votata dal Parlamento russo, che ha chiesto agli Stati Uniti che Kirill, il fratello di Max adottato dalla stessa famiglia, venga ricondotto al più presto in patria, ha generato nuova discordia tra i due Paesi.

La morte di Max Shatto ha dato nuova linfa alle ragioni dei sostenitori della famosa Legge Yakovlev (dal nome di un bambino russo morto nel 2008 per la negligenza dei genitori adottivi statunitensi), entrata in vigore nel dicembre scorso, che ha imposto il blocco delle adozioni di bambini russi da parte di famiglie statunitensi. Il provvedimento era stato accolto da grandi polemiche e interpretato a Washington come risposta al Magnitsky Act, la legge approvata negli Stati Uniti per colpire i responsabili della morte dell’avvocato Sergei Magnitsky. Il Sergei Magnitsky Rule of Law Accountability Act nega visti di ingresso e congela i beni detenuti in territorio americano da funzionari e ufficiali russi ritenuti coinvolti nella morte di Sergey Magnitsky e più in generale nella violazione dei diritti umani. Il giovane avvocato lavorava per la difesa legale del fondo d’investimenti statunitense Hermitage Capital Management, uno dei più importanti attori finanziari esteri in Russia, accusato di evasione fiscale. Magnitsky rinvenne prove di collusioni tra funzionari del Ministero degli Interni di Mosca, ufficiali di polizia e organizzazioni criminali che avevano causato la sottrazione di 230 milioni di dollari alle casse statali. Arrestato dalle autorità russe con l’accusa di frode fiscale nel novembre 2008, Magnitsky è successivamente morto nel carcere di massima sicurezza di Butyrka un anno dopo. I referti ufficiali hanno dichiarato la morte per cause naturali dell’avvocato, ma sono stati in molti, per primo il proprietario del fondo Hermitage, Bill Browder, a sostenere come il suo decesso sia stato dovuto alle torture subite e alla negligenza nelle cure.

Il blocco delle adozioni colpisce un nodo cruciale nel rapporto tra le due nazioni. Gli Stati Uniti sono il Paese che dalla caduta del regime sovietico ha effettuato il maggior numero di adozioni di bambini russi: oltre 60mila dal 1991 fino al blocco. Ancora nel 2011, più di un migliaio di orfani russi sono stati adottati da genitori statunitensi, più che ogni altra nazione. L’ampio numero di orfani russi in attesa di adozione, circa 130mila, spiega l’onda di proteste seguita all’approvazione della Legge Yakovlev.

A partire dal Jackson-Vanik act del 1974 sono numerosi gli attriti tra Stati Uniti e Russia nel campo dei diritti umani. Credere, però, che le tensioni tra le due potenze siano circoscrivibili a tale campo potrebbe però essere riduttivo: è opinione diffusa che dietro lo scontro di facciata si nasconda un deterioramento dei rapporti tra due Paesi contrapposti nella necessità di ridefinire gli equilibri della politica estera ed economica nelle aree cruciali del mondo. Quello in corso attorno al Magnitsky Act è uno scontro propagandistico, specchio di tensioni di una vera e propria battaglia politica e mediatica.

Per comprendere meglio gli ultimi sviluppi nei rapporti tra i due Paesi può essere utile tornare indietro di alcuni anni. Il duplice mandato di George W. Bush ha registrato un allontanamento tra i due Paesi, sfociati spesso in tensioni diplomatiche. In risposta alle minacce provenienti da Iran e Corea del Nord, Bush ha a più riprese sostenuto la necessità di approntare un sistema di difesa missilistica nell’Europa dell’Est: in Polonia avrebbe dovuto essere costruito un sito per un intercettore a medio raggio basato a terra, mentre in Repubblica Ceca avrebbe dovuto essere installato un radar a medio raggio. Il presidente russo Putin ha reagito con durezza alle pressioni americane, sostenendo l’inaccettabilità della costruzione di uno scudo anti-missile vicino ai suoi confini territoriali e preannunciando contromisure in risposta.

Ulteriore ragione di crisi tra le parti è stata quando l’Amministrazione Bush si è apertamente schierata a favore dell’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO. La Rivoluzione arancione in Ucraina del 2004 e la Rivoluzione delle rose in Georgia del 2003 hanno visto salire al potere nei due Paesi due Capi di Stato, il georgiano Mikhail Saakashvili e l’ucraino Viktor Yushchenko, intenzionati a portare i propri Paesi nella NATO e a slegarsi da Mosca. La Russia, desiderosa di evitare la creazione di un fronte NATO ai confini del proprio territorio nazionale, si è impegnata appieno nel corso degli anni per impedire l’allargamento, prima effettuando pressioni sui Paesi membri all’interno del Consiglio di Bucarest nel 2008, quindi minacciando il dispiegamento di truppe lungo i confini. La minaccia rivolta all’Ucraina – i cui abitanti erano peraltro in maggior parte restii all’ingresso nell’Alleanza Atlantica – di interrompere le forniture di gas, privandola così della sua prima fonte di approvigionamento energetico, è stata efficace arma di dissuasione. La pressione sulla Georgia è sfociata, invece, nel sostegno russo alle regioni separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia: la Russia ha sostenuto le due regioni nella loro richiesta d’indipendenza, approfittando di uno scontro tra milizie ossete ed Esercito georgiano per entrare nel Paese e arrivare alle porte di Tbilisi.

Agli anni del gelo è seguito un periodo di maggiore dialogo: al suo arrivo alla Casa Bianca, Barack Obama ha dato atto alla strategia del “reset”. Interlocutore dell’apertura americana è stato Dmitry Medvedev, più vicino alle elites riformiste e liberali russe, il cui mandato quadriennale è corrisposto con quello della prima Presidenza Obama (2008-12). A partire dal 2009 Russia e Stati Uniti hanno lavorato per accrescere la sinergia e cercare di far coesistere i reciproci obiettivi, nel quadro di una pacifica accettazione delle divergenze d’interessi. L’appoggio di Obama all’ingresso della Russia nella World Trade Organization è stato essenziale per la buona riuscita delle trattative, concluse nel 2012. Per il resto, la cooperazione tra i due Paesi è stata principalmente indirizzata a garantire la sicurezza per espandere legami economici e commerciali, effettuando tagli alle restrizioni verso le esportazioni da una parte e dall’altra.

La rielezione di Putin nel 2012 ha nuovamente allontanato le due potenze. La crescente intolleranza nei confronti dei gruppi di opposizione e dei movimenti indipendenti ha portato numerose critiche da parte di Washington e la dura risposta di Mosca, infastidita da quelle che ha bollato come inaccettabili ingerenze in questioni di politica interna. Una nuova ondata di anti-americanismo ha progressivamente preso piede in Russia. La crescente freddezza ha accompagnato l’aumento delle tensioni in politica estera, esplose al momento della crisi libica e divampate di fronte all’opposizione sulla politica da tenere in Siria. La forte divergenza nasce dal differente approccio delle due potenze nei confronti dell’intervento internazionale: la Russia non ritiene che il Consiglio di Sicurezza ONU debba trovarsi a decidere della rimozione di un Presidente e ritiene interventi come quello in Iraq, Afghanistan e Libia un rischio per la stabilità internazionale.

La presenza di tali opposizioni non ha impedito, però, ai due Paesi di ricercare una funzionale collaborazione quando la convergenza di interessi lo consente. Nel 2012, la società russa Cantieri Riuniti e l’americana Exxonmobil hanno firmato contratti di cooperazione reciproca: l’Exxonmobil ha ottenuto il permesso per nuove trivellazioni nel Mar di Cara, mentre la società russa dovrà occuparsi della costruzione di nuove piattaforme per l’esplorazione e l’estrazione nel Golfo del Messico.

Nonostante questo, rimangono numerosi i momenti di attrito tra Stati Uniti e Russia: uno dei principali è stato dopo la designazione nel gennaio 2012 di Michael McFaul come ambasciatore statunitense in Russia, un accademico non particolarmente gradito al Cremlino. McFaul è stato accusato a più riprese da Putin di aver appoggiato le proteste della piazza russa e di essersi eccessivamente schierato contro il governo russo. Altro momento di forte disaccordo si è verificato quando la Duma ha costretto per legge le Organizzazioni non Governative attive in Russia a presentarsi come “agenti stranieri”, imponendo forti restrizioni ai loro diritti e maggiori controlli sul loro operato. Infine, l’allontanamento dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (Usaid), istituzione governativa incaricata di amministrare gli aiuti internazionali, ha lanciato un forte segnale all’indirizzo degli Stati Uniti e ai loro tentativi di effettuare ingerenze all’interno della Russia.

Forte è stato lo scontro sui temi di politica internazionale, in particolar modo sulla questione libica, iraniana e siriana. La Libia di Gheddafi si è imposta nel corso degli anni come importante interlocutore per la Russia. Nei mesi precedenti l’intervento NATO, la Russia ha cercato di porre il proprio veto, ma le pressioni internazionali hanno spinto Mosca a cedere: pur rimanendo critica verso la campagna NATO, la Russia ha ammesso poi la completa delegittimazione del Colonnello. Non è stato quindi posto il veto alla risoluzione delle Nazioni Unite del 19 marzo del 2011, tesa a proteggere i civili libici. Il contrasto tra Russia e Stati Uniti è proseguito: Mosca ha richiesto una commissione d’inchiesta per indagare sulla morte di civili causata dagli attacchi NATO e forte è stata la rabbia di Putin di fronte alle immagini del massacro del corpo di Gheddafi, catturato dai ribelli. Infine, quando il settembre 2012 a Benghazi è stato attaccato il consolato americano e l’ambasciatore Stevens è stato ucciso, la tensione tra Russia e Usa sul terreno libico è culminata nella reazione fredda del Cremlino alla notizia: oltre alle condanne dell’uccisione, Mosca ha ricordato come la morte dell’ambasciatore fosse frutto del caos generato dall’intervento occidentale.

Altro argomento di scontro tra Russia e Stati Uniti è l’Iran. La Russia ha stabilito contatti con la Repubblica islamica più per la strategica necessità di piegare a proprio vantaggio l’isolamento iraniano piuttosto che per un’effettiva affinità politica: un avvicinamento all’Iran può aiutare entrambe le nazioni a contenere l’ampliamento degli interessi statunitensi nel Medio Oriente nell’Asia Centrale, consentendo al contempo l’elaborazione di strategie di interesse comune in Siria. Questa affinità d’interessi ha spinto la Russia ad adottare una posizione molto più aperta alla concessione nei confronti del progetto nucleare iraniano rispetto a quella statunitense e di grande parte della Comunità Internazionale. La grande disponibilità di risorse energetiche nell’area spinge la Russia a cercare di contenere l’avanzata americana cercando di mantenere vicino l’Iran. La cooperazione nel campo energetico tra Russia e Iran è quindi forte e dura da molti anni, valida ad alleviare la morsa delle sanzioni internazionali e l’isolamento di Teheran.

In Siria, l’opposizione tra Russia e Stati Uniti è una delle principali cause di stallo nella ricerca di una soluzione alla crisi da parte della Comunità Internazionale. La Russia, uno dei cinque Paesi dell’ONU a disporre del potere di veto, sta impedendo l’imposizione di sanzioni e possibili risoluzioni contro Assad. Nonostante Siria e Russia abbiano duraturi rapporti di amicizia e cooperazione sia militare che economica, l’appoggio di Mosca ad Assad va considerato in un’ottica più ampia. Le dichiarazioni del Ministro degli Esteri russo Lavrov che ha assimilato la posizione americana sulla Siria a quella sulla Libia, sostenendo che l’appoggio alle milizie ribelli equivarrebbe ad un’apologia del terrorismo, mostrano la spaccatura tra i due Paesi che ha radici più profonde. L’interesse verso la permanenza di Assad è probabilmente secondo rispetto al desiderio di non compromettere ulteriormente gli equilibri internazionali nell’area e non lasciare un campo eccessivo a un’eventuale area di influenza statunitense. Inoltre, bisogna tener conto che nel porto siriano di Tartus è presente una base navale d’epoca sovietica, ancor oggi unica presenza russa nel Mediterraneo.

Non un conflitto, ma un costante tentativo di volgere a proprio favore equilibri troppo delicati per essere sovvertiti: è questo il leit-motiv del confronto tra Russia e Stati Uniti. Entrambe le potenze sono divise tra la necessità di mostrarsi rigide nel perseguimento dei propri interessi e la consapevolezza di dover accettare la convivenza con l’altra senza mostrare un eccessivo distacco. Dietro le schermaglie mediatiche giocate sul campo dei diritti civili si nasconde un ben più importante e meno esibito conflitto per il riappropriamento degli assetti strategici più importanti nelle aree-chiave quali Medio Oriente e Asia Centrale e sulle linee guida da seguire nella politica internazionale.

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