La Turchia verso i BRICS: prospettive e opportunità economiche
Geoeconomia

La Turchia verso i BRICS: prospettive e opportunità economiche

Di Paolo Camerotto
17.10.2024

Nonostante una crescita economica sostenuta nel 2023 (+4,5%), la Turchia è entrata da fine 2021 in uno stato di iperinflazione, registrando nel 2024 un tasso di inflazione del 59,2%, dopo un picco del 72,3% nel 2022. Il principale motivo di questo aumento generalizzato dei prezzi risiede nella politica monetaria adottata dalla Banca Centrale Turca (TCMB) che, fortemente influenzata dal Governo, ha preferito tenere i tassi di interesse bassi durante il periodo della ripresa post-pandemica, spingendo la domanda interna e “surriscaldando” così l’economia. Questa politica di cheap money, perseguita insieme agli aumenti delle pensioni e degli stipendi per i dipendenti pubblici, è stata utilizzata dal Presidente Recep Tayyp Erdoğan come strumento elettorale, utile a garantirgli la rielezione.

Tuttavia, queste stesse politiche hanno contribuito alla svalutazione della lira turca del 60% tra settembre 2021 e maggio 2023, aggravando la posizione del Paese verso l’estero e aumentando i costi delle importazioni. In aggiunta, il conflitto tra Ucraina e Russia, dai quali la Turchia è dipendente per prodotti come grano, olio di palma, petrolio e gas, ha contribuito ad aggravare il fenomeno inflazionistico in diversi settori, colpendo particolarmente cibo e bevande (il prezzo del pane è aumentato fino al 120%), mentre le attività legate al vestiario hanno registrato ingenti perdite, dal momento che Russia e Ucraina rappresentavano il 40% del loro mercato di sbocco. Inoltre, l’esclusione di Mosca dal sistema SWIFT – il principale circuito di pagamenti globale – ha ridotto il numero di turisti (meno 12,9% tra maggio e settembre 2023 rispetto al 2019) e di investimenti russi nel Paese (dal 2021 al 2022 le aziende di costruzione turche hanno ridotto dell’82% il volume di affari con i partner russi), che nell’ultimo decennio erano costantemente aumentati, in particolare nel campo dell’energia.

La propensione alle importazioni, la svalutazione della lira rispetto al dollaro di circa il 60% tra 2021 e 2023 e la bassa attrattività della Turchia per gli investitori internazionali hanno portato ad una preoccupante riduzione delle riserve nette di valuta pregiata della TCMB, vicine a circa 30 miliardi di dollari nell’estate del 2023, a fronte di un debito commerciale di 60 miliardi di dollari, alimentando timori di una crisi finanziaria. Recentemente, la situazione ha mostrato segnali di miglioramento, ma il Paese rimane vulnerabile agli shock esterni, che potrebbero privarlo dei capitali necessari a finanziare il suo debito con l’estero.

Malgrado la politica economica inefficace, che ha prodotto tra l’altro una rilevante perdita di capitale umano, la Turchia si mossa sul piano internazionale in maniera discretamente incisiva, con il leader turco che ha assunto un ruolo non trascurabile in alcune delle principali controversie internazionali. Nella guerra russo-ucraina, in particolare, Ankara ha supportato da un lato militarmente l’Ucraina, contribuendo anche a fare da contraltare alla Russia nel Mar Nero, mentre dall’altro, ha mantenuto le sue relazioni commerciali con Mosca e sostenuto la necessità di raggiungere un accordo diplomatico per terminare il conflitto, giocando un ruolo di primo piano nelle negoziazioni per il commercio del grano ucraino. Nel conflitto Israele-Hamas, invece, il Presidente turco ha mantenuto un atteggiamento cauto, adottando una retorica ostile nei confronti di Tel Aviv per ottenere l’approvazione interna della popolazione musulmana ed esterna delle opinioni pubbliche dei Paesi arabi, senza però adottare misure concrete per fermare Israele, che rimane un potenziale alleato nel limitare l’Iran.

In tal senso, questa strategia di ambivalenza a livello internazionale è funzionale a perseguire gli interessi nazionali turchi non solo dal punto di vista politico-strategico, ma anche economico. La Turchia, infatti, è riuscita finora ad ottenere finanziamenti da Paesi non allineati tra loro, come Qatar, Arabia Saudita, Cina e Corea del Sud, con i quali ha sottoscritto degli swap deals, che hanno aiutato il Paese a sopperire, almeno in parte, alla mancanza di riserve di moneta pregiata.

Allo stesso tempo, grazie alla sua posizione di membro NATO e Paese candidato UE (che, come blocco economico, rappresenta il primo partner di Ankara), la Turchia è riuscita a garantirsi da una parte sicurezza militare e dall’altra finanziamenti, in particolare per quanto riguarda il supporto umanitario ai rifugiati siriani, sulla cui gestione da parte delle autorità turche non sono mancate critiche di “ricatto” da alcuni funzionari UE. D’altro canto, la Turchia è diventata nel 2023 il principale importatore di energia russa nell’emisfero occidentale, rafforzando il proprio ruolo come hub per il petrolio e il gas di Mosca, che permetterebbe a entrambi i Paesi di ottenere profitti dal commercio delle materie prime, aggirando al contempo le sanzioni imposte dall’UE sui prodotti russi. A questo proposito, la compagnia turca STAR, dopo un accordo con la russa Lukoil, ha cominciato ad esportare prodotti petroliferi russi, mentre la pipeline TurkStream si prevede diventerà la sola via di approvvigionamento di gas russo tramite gasdotto.

Per quanto riguarda la Cina, malgrado le relazioni diplomatiche tra i due Paesi siano talvolta tese per via del trattamento degli uiguri nella regione dello Xinjiang, questione cara a parte dell’opinione pubblica turca, Pechino rimane un partner fondamentale e la seconda fonte delle importazioni del Paese, dopo la Russia (2023). In questi termini, la Turchia è un membro dell’Asian Infrastructure Development Bank, della quale è il secondo beneficiario di finanziamenti, per un valore di 4,6 miliardi di dollari dal 2016 ad oggi, ed ha aderito alla Belt and Road Initiative, per la quale è uno snodo strategico, che connette direttamene Asia, Africa e Medio Oriente all’Europa.

In questo quadro, l’adesione della Turchia ai BRICS rappresenterebbe un ulteriore tassello nel rafforzamento del ruolo del Paese come “ponte tra Est ed Ovest”, nell’ottica di massimizzare i benefici derivanti da un panorama internazionale in continuo mutamento, orientato verso il multipolarismo e una maggiore regionalizzazione economica. Nel calcolo turco di diventare membro del gruppo pesano anche le considerazioni relative all’adesione all’UE, che appare ormai una prospettiva irraggiungibile, e il relativo declino economico delle nazioni europee rispetto ai Paesi cosiddetti in via di sviluppo.

L’adesione ai BRICS, che nell’ultimo anno hanno accolto Egitto, Emirati Arabi Uniti (EAU), Etiopia e Iran, e a cui a breve potrebbero aderire Paesi come Arabia Saudita, Algeria, Vietnam e Azerbaijan, permetterebbe alla Turchia di integrarsi maggiormente con alcune tra le economie più promettenti per lo sviluppo globale dei prossimi decenni. Infatti, il Gruppo non solo racchiude alcuni dei principali produttori di materie prime (Russia, EAU, Iran) e detentori di terre rare al mondo (Cina, Sud Africa, Brasile, Russia) ma anche quei Paesi che si prevede saranno il motore della crescita economica nei prossimi decenni (si pensi ai tassi di crescita superiori al 6% di India ed Etiopia). Complessivamente secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, le economie dei BRICS rappresenteranno nel 2027 il 37,6% del PIL globale per parità di potere d’acquisto, rispetto al 28,2% del G7. La promessa di cooperazione, investimenti ed integrazione commerciale, slegata dalle condizionalità spesso imposte dai Paesi occidentali e dalle istituzioni internazionali, è sicuramente un’ulteriore motivo di grande interesse per la Turchia.

Dunque, aderendo ai BRICS, Ankara consoliderebbe le proprie relazioni energetiche con Mosca, rafforzando possibilmente il suo ruolo in regioni come Medio Oriente ed Africa tramite legami più stretti con la Cina. Pechino, infatti, potrebbe non solo fare da garante nel rafforzamento dei legami commerciali e finanziari tra i membri del gruppo, ma potrebbe anche offrire alla Turchia le risorse finanziarie di cui ha bisogno. Tenendo conto delle possibilità di utilizzo del renminbi cinese per regolare le transazioni in campo energetico con Paesi come l’Arabia Saudita e del ruolo di primo piano che ha la Cina in Africa (al 2022 il 12% del debito pubblico dei paesi africani era detenuto da creditori cinesi), la Turchia potrebbe contribuire a rafforzare l’utilizzo della valuta cinese come riserva e mezzo di pagamento, aiutando a perseguire il principale obiettivo dei BRICS, la de-dollarizzazione.

In conclusione, il Governo turco cerca di sopperire ai problemi economici interni e di adattarsi rispetto ai cambiamenti internazionali rafforzando la sua posizione vis à vis le potenze emergenti. Tuttavia, è da escludere che la Turchia possa abbandonare i tradizionali legami con UE e NATO, con i quali continuerà a collaborare sia a livello economico che politico-strategico, mantenendo però una posizione diplomatica più indipendente e di non allineamento.

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