L’Iraq nella morsa tra passato e diplomazia: l’invito al siriano al-Sharaa scuote l’equilibrio interno
L’invito ufficiale rivolto dal Primo ministro iracheno Muhammad Shia’ al-Sudani al Presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa a partecipare al prossimo vertice della Lega Araba, previsto a Baghdad per il 17 maggio, ha innescato una crisi politica interna e acceso un dibattito che va oltre le dinamiche bilaterali tra Iraq e Siria. L’iniziativa ha suscitato una reazione a catena che coinvolge il Parlamento iracheno, le fazioni sciite, il sistema giudiziario nazionale e le milizie, sollevando interrogativi sulle reali capacità di al-Sudani di coniugare aspirazioni diplomatiche e stabilità interna.
Ahmed al-Sharaa è un nome che evoca ricordi divisivi nella memoria collettiva irachena. Ex membro di Al-Qaeda in Iraq, ha assunto la guida della Siria dopo la caduta di Bashar Al-Assad nel dicembre 2024. La sua ascesa al potere ha destato scetticismo in diversi ambienti regionali, complici il suo passato jihadista e le sue alleanze fluide. In questa cornice, l’invito formulato da al-Sudani rappresenta una mossa diplomatica ad alto rischio, soprattutto per l’impatto emotivo che la figura di al-Sharaa esercita sulla società irachena, profondamente segnata dalle violenze settarie degli anni post-2003.
Il malcontento si è tradotto in un’immediata mobilitazione parlamentare. Più di cinquanta deputati hanno sottoscritto una petizione per impedire l’ingresso di al-Sharaa in Iraq, invocando l’intervento della magistratura. Personalità influenti come il deputato sciita Yousef Al-Kalabi hanno definito l’invito un “tradimento” nei confronti delle vittime del terrorismo, mentre il partito Da’wa dell’ex premier Nouri Al-Maliki ha paragonato il caso di al-Sharaa a quello del premier israeliano Netanyahu, soggetto a mandato di cattura presso la Corte Penale Internazionale. Tale equiparazione illustra con efficacia le implicazioni simboliche che la visita potrebbe suscitare, accostando responsabilità penali e legittimità politica.
Le reazioni più critiche sono giunte dall’universo delle milizie sciite filo-iraniane. Abu Ali Al-Askari, portavoce di Kata’ib Hezbollah, ha messo in discussione la legittimità dell’invito, mentre Qais Al-Khazali di Asa’ib Ahl Al-Haq ha etichettato la mossa come “prematura”, lasciando intendere che al-Sharaa dovrebbe essere arrestato qualora mettesse piede in Iraq. La giurisdizione irachena, tuttavia, non ha finora chiarito se esista un mandato effettivo nei confronti del leader siriano.
L’invito ad al-Sharaa si inserisce in una strategia più ampia del governo iracheno, orientata a rafforzare il ruolo di Baghdad quale mediatore regionale. Il ministro degli Esteri Fuad Hussein ha descritto l’iniziativa come un “passo necessario” per una cooperazione su temi critici come la sicurezza dei confini e la lotta al ritorno di Daesh (ISIS). Ciò nonostante, questa apertura ha evidenziato le difficoltà del primo ministro al-Sudani nel contenere le pressioni interne, specialmente da parte delle forze politiche e paramilitari sciite che si sentono tradite dalla riabilitazione politica di una figura ritenuta quantomeno problematica come al-Sharaa.
Il caso sta già producendo effetti significativi sul panorama politico domestico.
A titolo esemplificativo, Yehia Rasool, ex portavoce del Comando generale delle forze armate, è stato rimosso dopo aver definito al-Sharaa un “terrorista”, segno di un clima politico sempre più polarizzato. A livello regionale, nonostante l’opposizione manifestata da vari attori sciiti, alcune fonti diplomatiche indicano che l’Iran non si opporrebbe all’invito, segnalando un (provvisorio) atteggiamento pragmatico nei confronti della nuova leadership siriana, malgrado la nuova leadership sunnita di Damasco abbia interrotto i rapporti diplomatici con Teheran e stia cercando di soddisfare alcune condizioni richieste dagli Stati Uniti in cambio di una parziale revoca delle sanzioni, tra cui tenere a distanza i gruppi palestinesi sostenuti filo-iraniani.
La crisi scaturita dall’invito ad al-Sharaa a partecipare al prossimo vertice della Lega Araba a Baghdad evidenzia le tensioni latenti nella politica irachena tra sovranità interna e apertura regionale. Se da un lato l’esecutivo di al-Sudani ambisce a ricollocare l’Iraq come attore centrale nella diplomazia araba, dall’altro si confronta con limiti strutturali derivanti da un sistema politico frammentato e da memorie traumatiche ancora vive nella società. L’evoluzione della vicenda sarà indicativa non solo del futuro delle relazioni tra Baghdad e Damasco, ma anche della reale possibilità dell’Iraq di giocare un ruolo autonomo e credibile nello scacchiere mediorientale.