Il Marocco di Muhammad VI: una potenza africana
Africa

Il Marocco di Muhammad VI: una potenza africana

Di Giuseppe Manna
05.12.2024

A novembre dello scorso anno, in occasione del 48° anniversario della Marcia Verde, Re Muhammad VI ha dichiarato che il Marocco era pronto a mettere a disposizione dei Paesi saheliani la sua rete di infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali per garantire loro l’accesso all’Atlantico. All’iniziativa lanciata dal Sovrano hanno aderito Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad, seguiti dalla Mauritania in un secondo momento. Nei mesi successivi, varie riunioni a livello ministeriale hanno posto le basi e definito i dettagli per la concreta realizzazione del progetto. La monarchia maghrebina, facilitando la partecipazione di tali Stati al commercio internazionale, muove le pedine di una partita più ampia e complessa. Rabat si inserisce nella competizione per colmare il vuoto lasciato dalla Francia nei territori delle sue antiche colonie a seguito dei colpi di Stato degli ultimi anni, che hanno visto giunte militari ostili a Parigi prendere il potere. Il Marocco continua così la sua ascesa per accreditarsi come potenza africana e punto di riferimento per tutti i Paesi dell’area fino al Golfo di Guinea. Nello stesso tempo, il Regno maghrebino non trascura la collaborazione con i partner europei e non si sottrae alla competizione con la vicina Algeria, che vede da quasi mezzo secolo la questione del Sahara Occidentale avvelenare le loro relazioni.

Era il 31 gennaio del 2017 quando Muhammad VI, dinanzi all’Assemblea dell’Unione Africana (UA) riunita ad Addis Abeba, annunciava il “ritorno a casa” del suo Paese, dopo un’assenza trentennale dalle principali dinamiche politiche del continente decisa dal padre Hassan II – a seguito del riconoscimento di indipendenza da parte dell’UA della Repubblica Democratica Araba Sahrawi (autoproclamata dal Fronte Polisario) e dell’entrata di quest’ultima nella medesima organizzazione. Il Sovrano, fin dalla sua ascesa al trono nel 1999, si è impegnato a tessere una fitta trama di rapporti con molti Stati africani. Meno impregnato di cultura europea rispetto al suo predecessore, è proprio l’attuale Monarca ad aver aperto la strada per il ritorno del Marocco in Africa. Non si tratta di una novità assoluta nella storia del Paese maghrebino. Le dinastie succedutesi nei secoli, fin dal Medioevo, hanno coltivato relazioni con potentati, regni e imperi del continente guardando non solo verso il resto dell’Africa mediterranea, ma anche in direzione delle risorse e delle vie di commercio della fascia equatoriale. Nel solco di questa tradizione, sono state innumerevoli, nel primo quarto di secolo di regno, le visite di Muhammad VI in diversi Paesi africani. Queste missioni vedono sempre coinvolti funzionari delle principali aziende pubbliche e imprenditori, che si confrontano con le controparti locali ed esplorano la possibilità di occasioni di business.

Nelle sue relazioni con gli altri Stati del continente, il Marocco punta a costruire rapporti di fiducia presentandosi come un interlocutore politico e un partner economico affidabile. La Monarchia alawide, che regna sul Paese maghrebino dalla prima metà del XVII secolo e vanta una discendenza dal Profeta dell’Islam, è garante di una stabilità spesso sconosciuta tra i vicini. Il ruolo religioso del re in quanto “comandante dei credenti” contribuisce a mettere al riparo il Marocco dalle turbolenze politiche, facendo della Corona l’architrave del sistema e il soggetto istituzionale che dà l’indirizzo poi definito nel dettaglio dal Governo e dal Parlamento. A Rabat il Re non si limita a inaugurare mostre e cantieri, come invece accade per la maggior parte dei monarchi europei, ma indica concretamente al Paese la strada da seguire. Muhammad VI ha deciso di valorizzare la collocazione geografica del Marocco – che si configura come una cerniera tra Africa ed Europa – attraverso imponenti progetti infrastrutturali. L’obiettivo è garantire la crescita interna come fattore di sviluppo e di stabilità sociale e, sul piano geopolitico, fare del Regno un hub energetico e industriale in quanto porta d’accesso privilegiata dell’Africa per gli scambi commerciali globali nonché un attore di primo livello in ambito securitario.

Nel 2023, il PIL del Marocco è cresciuto del 3,2% e dovrebbe mantenersi su tali livelli anche per quest’anno. Altri indicatori economici sono favorevoli, come il tasso di inflazione che resta moderato, attestandosi intorno al 3% e in rallentamento rispetto al recente passato. Il turismo, che contribuisce all’8% della ricchezza del Paese, è in crescita con 13,5 milioni di visitatori nel 2023, che dovrebbero superare la barriera dei 15 milioni entro la fine di quest’anno. Resta alto il tasso di disoccupazione, che oscilla tra il 13% e il 14%, anche se il mercato del lavoro informale concorre a mitigarne gli effetti sociali negativi. Permangono criticità nella distribuzione della ricchezza, con le zone rurali e di montagna spesso ai margini del benessere. È qui che si concentrano ancora sacche di povertà, che affliggono circa un quinto della popolazione, sebbene la miseria sia ormai scomparsa in tutto il Paese. L’agricoltura resta un settore essenziale, nonostante i cambiamenti climatici che mettono a repentaglio l’avvenire di quella parte della forza lavoro – pari al 27% (era oltre la metà della popolazione attiva a inizio secolo) – ancora impiegata nel settore primario. Ma è sulle infrastrutture e sull’innovazione che il regno scommette per assicurarsi una crescita prolungata nel tempo e presentarsi come un punto di riferimento per le altre economie africane.

Per comprendere l’entità dello sforzo di modernizzazione messo in atto dal Marocco basta citare Tangeri Med. Vent’anni fa, dove ora sorge il complesso portuale più grande del continente africano, c’erano solo rifiuti e sterpaglie. Oggi l’infrastruttura, anche a seguito dei lavori di ampliamento ancora in corso, è prima nel Mediterraneo per dimensioni e volumi di merci. Nel 2023, Tangeri Med ha movimentato 120 milioni di tonnellate di carico, 2,7 milioni di passeggeri e poco più di 1 milione di veicoli tra automobili e camion. Il porto è entrato stabilmente nella classifica dei dieci scali marittimi più importanti del mondo e serve, tra gli altri, 35 porti minori in 21 Paesi africani, soprattutto lungo la costa atlantica. Le attività di transhipment, cioè il trasferimento dei container dalle gigantesche navi provenienti dall’Asia a imbarcazioni più piccole, dette feeder, in grado di accedere ad approdi più piccoli e meno equipaggiati hanno fatto di Tangeri Med un’infrastruttura vitale per il commercio di molti Stati dell’Africa occidentale, rendendo il Marocco un interlocutore obbligato senza il quale la loro integrazione commerciale con il resto del mondo sarebbe irrimediabilmente compromessa.

Il retroterra di Tangeri Med è assoggettato a un regime fiscale e burocratico di vantaggio, che ha dato vita alla seconda zona economica speciale più importante al mondo – secondo la classifica stilata ogni anno dal Financial Times – subito dopo il Dubai Multi Commodities Center negli Emirati Arabi Uniti. A tale fattore si aggiungono la presenza di una manodopera qualificata a un costo molto competitivo e la tendenza di tante aziende e multinazionali ad accorciare le catene globali del valore nel quadro di fenomeni come il nearshoring e il friendshoring. Si è creato così un ambiente ideale per l’insediamento di imprese soprattutto europee, ma anche cinesi, sudafricane e americane, attive in diversi settori come l’aeronautica, la produzione di batterie, la lavorazione dei fosfati e l’automotive. Quest’anno il Marocco dovrebbe arrivare a 800.000 veicoli prodotti, esportati in larga parte verso l’Europa, ma con una quota in crescita delle vendite nei mercati africani.

È, però, nel settore dell’energia che le ambizioni regionali di Rabat sono più evidenti. Il Paese ha scommesso da tempo sulle fonti rinnovabili, che attualmente coprono il 38% del fabbisogno nazionale con l’obiettivo di arrivare al 52% entro il 2030. Il Marocco è all’avanguardia soprattutto nel fotovoltaico, con la centrale solare termodinamica di Ouarzazate a fare da apripista per altri siti costruiti in aree desertiche. Questi impianti sfruttano una tecnologia basata sull’accumulo dell’immenso calore prodotto da migliaia di specchi orientati verso un unico punto collettore per raggiungere le temperature necessarie al funzionamento delle turbine. I progressi della ricerca ora consentono di accumulare l’energia termica del giorno in grandi serbatoi di sale allo stato fuso, così da permettere la produzione di elettricità non più solo per alcune ore dopo il tramonto, ma per tutto l’arco della notte. Più volte i dirigenti marocchini hanno fatto riferimento all’ambizione di rendere il Paese autosufficiente nella produzione di energia elettrica proprio grazie allo sfruttamento su ampia scala di questa fonte rinnovabile. Nel frattempo, Rabat intende affrancarsi progressivamente dal petrolio ricorrendo all’acquisto di gas naturale dai Paesi del Golfo di Guinea.

Il Regno maghrebino è impegnato da tempo a promuovere la costruzione del gasdotto Nigeria-Marocco (NMGP, secondo l’acronimo inglese) per collegare i ricchi giacimenti del delta del fiume Niger a tutti i Paesi dell’Africa occidentale fino a Tangeri e, in prospettiva, all’Europa attraverso la Spagna. I primi accordi tra la Nigerian National Petroleum Corporation e l’Office National des Hydrocarbures et des Mines marocchino per la realizzazione dell’opera risalgono al 2016. La costruzione dell’infrastruttura, realizzata in gran parte offshore, dovrebbe avere un costo di almeno di 25 miliardi di dollari e, una volta completata, permettere il trasporto di 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Rabat ha investito cospicue energie diplomatiche facendo da capofila di un’iniziativa presentata come strategica per lo sviluppo di tutti gli Stati della costa atlantica africana. È di pochi giorni fa la notizia, lanciata da Ashraq Business, che il Marocco intende far partire i primi bandi di gara già nel 2025 per avviare la fase operativa del progetto entro la fine dell’anno prossimo. In un’ottica di più lungo periodo, il regno intende sfruttare l’infrastruttura per l’esportazione di idrogeno verde in Europa. Entro il 2030, il Marocco prevede infatti di raggiungere la capacità produttiva di 3 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno da impiegare prima di tutto nella lavorazione dei fosfati indispensabili alla produzione di fertilizzanti e per rifornire di energia l’industria nazionale vendendo poi all’estero le quantità in eccesso.

In questo modo, il Regno nordafricano si accredita come un punto di riferimento per i Paesi costieri anche dal punto di vista tecnologico e della loro sicurezza energetica. In più, Rabat si colloca in una posizione di sfida ancora più aperta nei confronti dell’Algeria, che ha tante volte fatto ricorso alla leva delle forniture di idrocarburi per sostenere le sue posizioni nella vicenda del Sahara Occidentale. Nel 2021, Algeri ha deciso di non rinnovare il contratto del gasdotto Maghreb-Europa, che trasportava il gas nordafricano verso la Spagna e copriva quasi i due terzi del fabbisogno marocchino. La scelta era giustificata come ritorsione per il presunto appoggio di Rabat ai movimenti separatisti attivi in Cabilia. In realtà, si tratta solo di un ulteriore episodio della rivalità cinquantennale che ha il Sahara Occidentale come posta in gioco. L’Algeria appoggia il Fronte Polisario e le rivendicazioni indipendentiste dei sahrawi perché vorrebbe esercitare qualche forma di controllo su un territorio in posizione strategica sull’Atlantico e con risorse naturali ancora in larga parte non sfruttate.

Attraverso le sue iniziative economiche e diplomatiche in Africa occidentale, il Marocco mostra dunque di essere determinato a scalare la classifica delle potenze continentali, senza timore di affrontare la sfida per vedere riconosciuta la sua piena sovranità sul Sahara Occidentale. È questa la lente attraverso la quale il Regno guarda al resto del mondo e la sua crescente centralità negli equilibri della regione è senz’altro un fattore di vantaggio per le rivendicazioni marocchine. Rabat agisce secondo un approccio multisettoriale, che affianca la collaborazione politica agli accordi commerciali fino all’approfondimento dei legami in ambito culturale e religioso.

A questo proposito, sono sempre di più le guide spirituali straniere che completano la loro formazione all’Istituto Muhammad VI. Attivo dal 2015, il centro offre una preparazione teorica e pratica per esperti di diritto islamico e per lo svolgimento della funzione di imam e guida religiosa. Rabat ha avviato già da due decenni la definizione di programmi per la formazione di figure qualificate a ricoprire incarichi spirituali nelle moschee. L’obiettivo principale è di contrastare le interpretazioni estremistiche dell’Islam e garantire una preparazione adeguata a quelli che in Marocco sono qualificati come “funzionari religiosi”. Il centro è ormai diventato un polo all’avanguardia nel mondo musulmano, ma anche un prezioso strumento di politica estera. Sono infatti numerosi i governi che hanno chiesto l’assistenza di Rabat proprio per evitare che i luoghi di culto si trasformino in incubatori di fondamentalisti. Paesi come il Senegal e il Ghana hanno avviato da tempo programmi di collaborazione di questo tipo.

Il Marocco, quindi, mostra di avere obiettivi chiari e di non essere intimorito dalle sfide della modernità e dagli sforzi necessari per trasformarsi in una potenza regionale che faccia da cerniera tra due continenti. Quinta economia africana, Rabat ha compreso la necessità di giocare su più fronti con determinazione e fiducia nel futuro. L’artefice principale di questo disegno è il Sovrano, che non ha esitato a scardinare schemi apparentemente consolidati nella gestione del Paese, percorrendo la strada nuova dell’ascesa in quanto potenza africana. I legami con l’Europa restano fondamentali così come la relazione privilegiata con gli Stati Uniti e le petromonarchie del Golfo. Ma il Marocco di oggi si sente prima di tutto un Paese africano ed è determinato a far pesare di più la sua voce nelle sempre più rilevanti dinamiche politiche, economiche e culturali del continente.

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