L'UE impone il price cap sul petrolio russo
Il 3 dicembre scorso, i Paesi dell’Unione Europea, i membri del G7 e l’Australia hanno raggiunto un accordo in merito all’imposizione di un limite sul rezzo di acquisto (price cap) del petrolio russo. Dopo mesi di intense e difficili negoziazioni, il price cap è stato fissato a 60 dollari al barile. La Russia, per contro, ha dichiarato che non si adeguerà al limite imposto e ha preannunciato contromisure per i Paesi aderenti, quali ad esempio l’interruzione delle vendite di petrolio.
L’intento di questa misura è quello di colpire il volume delle entrate di Mosca, così da minare la disponibilità di risorse per finanziare lo sforzo militare in Ucraina. Tuttavia, la decisione giunge in maniera tardiva rispetto all’evoluzione del conflitto. A incidere sui tempi di approvazione del price cap è stata la volontà di ridurre il rischio inflazionistico. Infatti, i governi europei temevano che un tetto al prezzo del petrolio potesse far salire vertiginosamente il prezzo al barile e la spinta inflazionistica.
La nuova misura presenta diversi elementi di flessibilità di natura quantitativa e temporale. Dal punto di vista quantitativo, la soglia del tetto sarà oggetto di revisioni bimestrali per rispondere all’evoluzione delle tendenze economiche, politiche e militari legate al conflitto, in modo da mantenere un tetto almeno del 5% inferiore al prezzo di mercato. Per quanto concerne la dimensione temporale, si prevede una transizione graduale. Pertanto, il tetto non si applicherà al petrolio acquistato e caricato sulle navi precedentemente al 5 dicembre e scaricato entro il 19 gennaio 2023.
Il possibile effetto deterrente del price cap non si applica esclusivamente ai volumi di acquisto. Difatti, i consumi di petrolio russo dei Paesi firmatari dell’accordo sono già calati in modo significativo dall’inizio dell’invasione e, inoltre, dal 5 dicembre (stesso giorno dell’entrata in vigore del price cap), l’UE ha introdotto l’embargo sulle importazioni di petrolio russo per via marittima. La nuova misura è tuttavia rilevante nella misura in cui impedisce a compagnie di spedizioni, compagnie assicurative e istituti di credito con sede nei Paesi aderenti di partecipare al trasporto del petrolio russo se venduto a un prezzo superiore anche a Paesi terzi. Dal momento le principali compagnie di navigazione e assicurazione del mondo hanno sede nei Paesi G7 e UE (solo i Paesi del G7 forniscono circa il 90% dei servizi assicurativi per i carichi globali), la misura potrebbe rendere difficile per Mosca vendere il petrolio a un prezzo più alto. Per di più, secondo le stime, la Russia dipende dai servizi di spedizione e di assicurazioni dei Paesi G7 per il trasporto di 1 milione di barili al giorno (10% della sua produzione totale, circa il 20% del suo export)
Però, nella sua applicazione pratica, la misura potrebbe presentare alcune criticità. In particolare, il funzionamento di questo dispositivo dipende largamente dalla capacità delle compagnie di spedizione e di assicurazione dei Paesi aderenti di verificare che i propri clienti abbiano acquistato il greggio russo a un prezzo conforme al cap. Tuttavia, le compagnie non di rado non dispongono di informazioni adeguate sui prezzi pagati dai loro clienti per le spedizioni.
Tuttavia, numerosi sono i fattori che potrebbero limitare l’efficacia reale di questa misura. In primo luogo, il numero di Paesi che vi aderiscono è limitato, e i maggiori importatori di greggio russo, quali Cina e India, hanno deciso di non adottare alcun tetto al prezzo del petrolio. Questa decisione è motivata dai timori che una misura del genere possa rendere le proprie esportazioni meno competitive, oltre che dal fatto che al momento sia New Delhi sia Pechino già acquistano il petrolio russo a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato. Inoltre, l’OPEC+, l’organizzazione dei produttori di petrolio di cui fa parte anche la Russia, ha deciso di non tagliare la produzione e di non aderire alla misura adottata da Bruxelles. In secondo luogo, il tetto stabilito è solo marginalmente al di sotto dell’attuale prezzo di mercato del greggio, che oscilla, al momento, intorno ai 74 dollari al barile. In terzo luogo, anche con un tetto fissato a 60 dollari al barile, il margine di profitto per il Cremlino rimane comunque considerevole, dal momento che il fiscal breakeven point petrolifero di Mosca si aggira tra i 30 ed i 40 dollari al barile, con variazioni a seconda dell’area di estrazione.
Al momento, l’impatto della nuova misura appare incerto e sembrerebbe prevalere il valore politico più che il suo effettivo valore pratico, pur in un contesto generale di efficacia di lungo periodo delle sanzioni e di sofferenza dell’economia russa.