Lo sviluppo dei droni russi e il loro impiego tattico nei recenti scenari di conflitto
L’avvio della produzione di aeromobili a pilotaggio remoto (Unmanned Aerial Vehicles-UAV) in Russia risale al periodo antecedente al crollo dell’Unione Sovietica. Già negli anni Settanta, infatti, l’URSS aveva iniziato a sviluppare i primi UAV ad uso tattico, tra cui il Tu-141 Strizh e il Tu-143 Reys, impiegati principalmente per funzioni ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance). Nonostante i precoci sviluppi di tale tecnologia, nei due decenni successivi il livello di innovazione per il comparto UAV russo, soprattutto per quanto riguarda la ricognizione tattica, è rimasto pressoché invariato. Successivamente, in seguito al collasso dell’Unione nel 1991, le conseguenti disastrose crisi economiche che hanno afflitto il Paese hanno imposto profondi tagli al budget della Difesa, congelando di fatto i programmi per lo sviluppo di nuovi UAV, la cui rilevanza all’interno delle dinamiche militari globali all’epoca era ancora molto relativa. Durante il complesso decennio di transizione verso la soglia del nuovo millennio, l’industria della difesa russa è comunque riuscita a costruire un nuovo drone per funzioni ISR e targeting, lo Yacovlev Pchela-1T, che rappresentava un importante balzo in avanti da un punto di vista tecnologico, dunque capacitivo. Tale piattaforma ha conosciuto il suo primo impiego operativo in un teatro di scontro durante la guerra in Cecenia (1999-2009) e, successivamente durante la campagna in Ossezia del Sud (2008). In tali conflitti, l’impiego degli UAV russi per scopi di ricognizione e targeting è stato piuttosto limitato, riportando risultati fallimentari. A seguito di tali eventi, è maturata a Mosca la convinzione di aver maturato un profondo gap tecnologico nel settore dei droni, proprio mentre gli Stati Uniti stavano iniziando ad utilizzare estensivamente i propri Predator e Reaper nei teatri asiatici e mediorientali. Riscontrata l’urgenza di un massiccio piano di ammodernamento per l’Esercito russo, nel 2010 il Ministero della Difesa ha adottato lo State Armament Program 2011-2020, un importante documento programmatico per lo sviluppo e la produzione di nuove tecnologie. Uno dei cardini di tale documento era l’imperativo di sviluppare capacità industriali allo stato dell’arte in maniera assolutamente autonoma, riducendo l’importazione di materie prime, parti e lavorati dall’estero e dalle ex Repubbliche Sovietiche. A seguito della pubblicazione di tale documento, il Ministero della Difesa decise di dare un forte impulso all’innovazione istituendo diversi centri di ricerca dedicati allo sviluppo di UAV. La mancanza di expertise nel settore portò però la Russia nel 2010 all’acquisto delle licenze israeliane per l’assemblaggio di quelli che sarebbero diventati il mini-drone russo a medio raggio Zastava e il drone russo MALE (Medium Altitude Long Endurance) Forpost, speculari al BirdEye 400 e al Searcher MkII.
Il vero spartiacque nell’utilizzo tattico dei droni militari da parte della Federazione Russa si è avuto con l’intervento nella guerra in Siria. In tale contesto, Mosca ha fatto un utilizzo ampio e raffinato di tale tecnologia, effettuando circa 16 mila missioni con UAV, impiegati costantemente in operazioni ISR, Search and Rescue (S&R), guerra elettronica, guerra informativa e, soprattutto, per il targeting a favore delle campagne di bombardamento mirato condotte con i cacciabombardieri lì rischierati. Operando in un contesto particolarmente congestionato, complesso e poco permissivo, si è reso necessario alle Forze Armate russe l’utilizzo di UAV non solo per identificare i target, ma anche per condurre operazioni di hard-kill, al fine di ridurre l’esposizione al rischio dell’elemento umano. Ciò ha conferito al comparto Difesa della Federazione un bagaglio esperienziale non indifferente, che è stato utilizzato poi nello sviluppo delle nuove piattaforme.
In seguito, nel 2014, alla luce delle sanzioni poste dalla Comunità Internazionale per i fatti di Crimea, il Governo russo ha dato una ulteriore accelerazione all’innovazione dei sistemi d’arma autoctoni, approvando diversi documenti programmatici per lo sviluppo tecnologico militare, tra cui il “Creation of prospective Military through 2025” ed il “Concept for Deployment of Robotic Systems for Military Use until 2030”. Inoltre, a supporto di tale percorso, è stato istituito il primo International Military-Technical Forum, organizzato e patrocinato dal Ministero della Difesa russo che, arrivato quest’anno alla sua settima edizione, si pone come una delle principali esposizioni globali di tecnologie militari accanto all’altra grande e consolidata esibizione dell’industria aerospaziale russa, la International Aviation and Space Show di Zhukovsky.
Nonostante i significativi constraints economici, le sanzioni e i problemi strutturali della sua industria militare, in primis il ridotto interscambio tecnologico con l’estero, la Russia ha dichiarato più volte di mirare a diventare una potenza globale nel settore UAV. Tale proposito era stato già enunciato sia nella National Security Strategy del 2015, nella quale si esponeva l’obiettivo di sostituire il 30% della forza aerea russa con droni militari entro il 2030, sia durante un’importante conferenza del 2017 incentrata sulla robotizzazione delle Forze Armate della Federazione. Sebbene tali obiettivi sembrano ancora lontani dall’essere raggiunti, il Governo russo e lo Stato Maggiore della Difesa stanno cooperando per ridefinire e perfezionare il concetto operativo (CONOP), le strategie, tattiche e procedure di utilizzo (TTPs) dei velivoli a pilotaggio remoto. Gli UAV difatti risultano perfettamente complementari al concetto russo di Reconnaissance Strike Contour (RSC), che prevede un impiego estensivo e coordinato di armi a lungo raggio, in grado di ricevere dati di intelligence in tempo reale per un targeting estremamente accurato e effettuare un fuoco di grande precisione da grande distanza. L’utilizzo dei droni militari assieme ad altri velivoli convenzionali ha aumentato notevolmente la capacità di targeting russa, nonché i tempi necessari alla condotta di un attacco cinetico di precisione, come dimostrato dal caso siriano.
Per quanto riguarda il piano industriale, il controllo del Governo russo su tutto il settore della Difes è esercitato in maggior parte attraverso la State Corporation Rostec: nata nel 2007, è una holding che comprende oltre 700 società che operano sia nell’ industria della Difesa sia nel settore civile e detiene tra l’85 ed il 90% dell’export delle tecnologie militari russe. Il monopolio statale si è inoltre rafforzato quando nel 2019 il Presidente Putin ha autorizzato l’incorporazione all’interno della Rostec della United Aircraft Corporation (UAC), un’altra importante società dell’aerospazio che opera a cavallo tra il mondo militare e civile. All’interno del conglomerato Rostec, le aziende più importanti per lo sviluppo e la produzione di aeromobili militari a pilotaggio remoto sono certamente la Sukhoi e la Novosibirsk Aircraft Production Association Plant (NAPO) che hanno collaborato alla produzione del nuovo drone strategico S-70 Okhotnik-B.
Si tratta di un drone di tipo HALE (High Altitude Long Endurance) stealth, presentato come appartenente alla sesta generazione. Attualmente è il drone russo più grande e più veloce, con un’apertura alare di 20 metri e una velocità di 1000 km/h, e può trasportare un carico pagante di circa 2 tonnellate. Il drone, che è progettato per offrire una bassa superficie di riflessione radar (radar cross-section), è in grado di svolgere operazioni di ricognizione strategica, grazie ad un’avanzata suite di strumenti elettro-ottici. Il primo test sperimentale dell’Okhotnik-B è stato effettuato nel 2019, inizierà ad essere prodotto in scala nel 2024. Secondo alcune indiscrezioni, l’S-70 sarebbe configurato per operare anche come gregario (Loyal Wingman) a fianco del caccia russo di nuova generazione Su-57. Tuttavia, essendo lo stesso caccia ancora in fase arretrata di test, non è possibile confermare la notizia.
Un altro drone rilevante all’interno del panorama degli UAV russi, sia per grandezza che per prestazione, è il drone di tipo MALE (Medium Altitude Long Endurance) Orion, prodotto dal Kronstadt Group, costruito come naturale competitor del drone americano tattico MQ-9 Reaper. L’UAV, nato principalmente per funzioni ISR, può effettuare attacchi cinetici con missili a medio raggio, può trasportare fino a quattro ordigni con una capacità di carico fino a 200 kg e una velocità di 120 km/h. Caratteristica peculiare dell’Orion, è la presenza di un innovativo sistema anti-ghiaccio a impulsi elettrici che gli permette di condurre operazioni anche a basse temperature, rendendo particolarmente adatto per l’impiego operativo nell’area artica, sempre più al centro della politica estera e militare di Mosca. L’ Orion è stato consegnato alle Forze Armate russe solo nel 2020, tuttavia l’azienda ha già presentato il prototipo della sua versione aggiornata, l’Orion-2, un drone di tipo HALE, che dovrebbe essere disponibile dal 2023.
Un’altra piattaforma che sta per essere introdotta in uso è l’Altius, costruito dall’azienda OKB Sokol. Si tratta di un drone HALE che vuole unire in un unico velivolo importanti capacità ISR e altrettanta potenza di fuoco, per compiere attacchi cinetici a lungo raggio in contesti complessi e poco permissivi. Secondo i dati riportati dall’azienda, l’Altius potrà ingaggiare bersagli ad una distanza di 120 km, trasportare un carico di 1000 kg, ed esprimere discrete capacità di guerra elettronica. L’Altius è un drone che è stato oggetto di difficoltà di sviluppo sia per problemi di fabbricazione del motore sia di allocazione delle risorse, ed è per questo motivo che il Ministero della Difesa russo ha siglato un contratto per la produzione del primo lotto solo agli inizi del 2021, nonostante il progetto sia stato avviato nel 2011.
Negli ultimi anni, l’industria della difesa russa, oltre ai droni di tipo MALE e HALE, si è occupata sempre più anche dello sviluppo di munizioni circuitanti (loitering munitions), altrimenti conosciuti come i droni-suicida. L’estensivo utilizzo di questa tipologia di armamento da parte di diversi Stati impegnati nel conflitto siriano ha offerto alla Russia un prezioso terreno di prova per testare i nuovi ritrovati tecnologici e per compiere benchmark test sul campo. Di particolare interesse sono le loitering munitions sviluppate dalla ZALA Aero Group, divisione che si occupa degli UAV all’interno della società Kalashnikov. La prima munizione, la KUB-BLA, è stata presentata all’International Defense Exhibition and Conference (IDEX) di Abu Dhabi nel 2019. Si tratta di un piccolo drone con un payload di 3 kg che può volare in autonomia per 30 minuti alla velocità di circa 130 km/h, rimanere in costante collegamento con il sistema di controllo e attaccare bersagli particolarmente protetti sia a basse che ad alte altitudini. L’altra piattaforma, presentata sempre nel 2019 alla Russian Army Expo Exhibition (Army-2019), è la ZALA Lancet-1, un piccolo drone di forma cilindrica (il peso è di soli 5 kg) con un payload di 1 kg, che può operare su un raggio d’azione di 40 km a circa 100 km/h con un’autonomia sempre di 30 minuti. Questa loitering munition, oltre che per gli attacchi cinetici, è pensata anche come ricognitore tattico, in grado di trasmettere i dati osservati in tempo reale alla struttura C2. La ZALA Lancet, presentata anche nella variante evoluta Lancet-3, è stata impiegata per la prima volta durante il conflitto in Siria nel novembre 2020.
Recentemente, la Federazione Russa ha manifestato la chiara volontà di imprimere un’accelerazione alla ricerca e allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (AI), in particolare applicata agli UAV e alle loitering munitions, come testimonia un importante discorso di Putin del 2017, in cui il Presidente ha sottolineato la centralità dei concetti di autonomia e letalità all’interno degli scenari operativi del futuro. Nonostante siano considerevolmente limitate le risorse ad oggi stanziate dalla Russia per la ricerca militare nell’ambito dell’AI, le Forze Armate stanno intraprendendo studi per l’introduzione di nuove tattiche emergenti conosciute come swarming warfare, ovvero la capacità di creare sciami di droni di piccole-medie dimensioni che, attraverso algoritmi di AI presenti all’interno di ciascuna piattaforma, permettono di operare in regime di semi-autonomia in ambienti particolarmente complessi. A tal fine, il Ministero della Difesa sta inaugurando una serie di centri di ricerca per sviluppare l’intelligenza artificiale integrata ai sistemi robotici, come l’Advanced Research Foundation e l’ERA Technopolis, un campus sul Mar Nero in cui l’industria di Stato, quella privata e il mondo accademico lavorano in sinergia.
Nonostante Mosca abbia iniziato a costruire aeromobili a pilotaggio remoto molto presto, già durante la Guerra Fredda, confermandosi come player tecnologico d’avanguardia anche in questo settore, i successivi rivolgimenti storici, le carenze strutturali della Federazione e le limitazioni di carattere economico hanno inciso negativamente sullo sviluppo di una tecnologia particolarmente sofisticata come i droni. Negli anni in cui gli Stati Uniti, forti del momento unipolare, iniziavano un accelerato sviluppo degli UAV, nonché un ampissimo impiego nel teatro afghano e, successivamente, iracheno, l’industria della difesa russa non aveva i mezzi per innovarsi ad altrettanta velocità. Oggi Mosca sta cercando di colmare tale gap, dal momento che gli UAV stanno occupando uno spazio sempre più centrale nel campo di battagli e saranno sempre più determinanti in futuro, soprattutto qualora associati alle potenzialità offerte dall’Intelligenza Artificiale. Gli sforzi del comparto militare russo nel settore R&D non sono certamente comparabili a quelli americani o cinesi. A livello di ricognizione strategica, le Forze Armate russe non dispongono ad oggi nulla in grado di competere con un Global Hawk americano. Lo stesso Sukhoi S-70 Okhotnik-B, sembra ancora un prototipo in fase arretrata e raccoglie numerose perplessità circa le sue capacità stealth. A livello tattico, i nuovi modelli che stanno venendo introdotti colmano un importante gap capacitivo, per quanto appunto ancora distanti dal livello di sofisticazione di un MQ-9 Reaper. Tuttavia, Mosca ha acquisito un notevole bagaglio esperienziale durante il conflitto siriano e, più recentemente, durante gli scontri avvenuti in Nagorno Karabakh, che potranno essergli utili per lo sviluppo dottrinale relativo all’impiego dei suoi UAV nei futuri contesti di proxy war. Le Forze Armate russe, infatti, sono completamente consapevoli dei loro ritardi strutturali sul piano tecnologico, che non gli permettono di competere sul piano peer to peer. Tuttavia, tale distanza può essere ridotta attraverso un utilizzo più spregiudicato e imprevedibile degli stessi droni in scenari più circoscritti, come quelli precedentemente citati. In tali contesti di guerra ibrida e proxy war infatti, si riduce notevolmente l’impatto del competitive edge tecnologico, a favore delle tattiche utilizzate e dell’arte di comando.