Le incognite per l'Afghanistan nel passaggio da ISAF a Resolute Support
A quattordici anni dalla caduta del regime talebano, l’Afghanistan si presenta ancora come un Paese profondamente instabile. Nonostante i passi in avanti compiuti dalle autorità afghane dal 2001, la mancanza di solidità del governo di Kabul e la difficoltà delle Forze di sicurezza nazionali nel rispondere in modo efficace all’insorgenza rappresentano i due grandi punti deboli per il successo del complicato processo di stabilizzazione.
La mancanza di una leadership politica che riesca a rappresentare l’autorità del governo centrale costituisce un fattore di grande criticità per un Paese in cui la divisione etnica e tribale della popolazione è sempre stata di ostacolo alla coesione interna.
L’eterogeneità del panorama etnico, infatti, (pashtun 42%, tagiki 27%, hazara e uzbechi 9%, aimak 4%, turkmeni 3% e baluchi 2%) costituisce la variabile fondamentale nei rapporti di potere all’interno del tessuto sociale afghano. Tale frammentarietà già in passato ha favorito l’affermarsi dei così detti “signori della guerra”, influenti capi locali che, durante l’invasione sovietica del ’79, si sono distinti alla guida di proprie milizie per la difesa del territorio afghano.
Per quanto instabile e assolutamente precario, dunque, l’equilibrio di potere all’interno del Paese è sempre stato strettamente legato al gioco di forza tra i diversi warlord, i quali, in questi trentacinque anni, hanno consolidato la loro influenza, dapprima grazie al ruolo dei diversi gruppi paramilitari sotto il loro comando e, dopo il 2001, attraverso l’autorità esercitata all’interno delle rispettive enclave territoriali, che ha permesso a molti di loro di ritagliarsi un ruolo politico all’interno del Paese. L’importanza che questi signori della guerra ricoprono tuttora per la stabilità interna è testimoniata dal ruolo preponderante che alcuni di loro hanno avuto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali, tenutesi in tutto il Paese tra aprile (primo turno) e giugno (ballottaggio) dello scorso anno, non tanto come front runner ufficiali quanto come alleati strategici per i diversi candidati alla presidenza, in grado di garantire un sostanzioso apporto in termini di voti e, conseguentemente, di poter fare la differenza nella corsa elettorale. Tra questi, Abdul Rasul Sayyaf, Shafiq Gul Agha Sherzai, Ismail Khan e Abdul Rashid Dostum.
Il gioco di forza dei diversi poteri locali è stato fondamentale soprattutto per i due candidati che, avendo ottenuto il maggior numero di voti durante il primo turno senza però superare la soglia del 50%+1 (indispensabile per aggiudicarsi la vittoria), si sono affrontati al ballottaggio: il pashtun Ashraf Ghani (ex Ministro delle finanze tra il 2002 e il 2004) e il tagiko Abdullah Abdullah (ex Ministro degli esteri, sfidante di Karzai nel 2009). Entrambi, infatti, hanno cercato l’appoggio degli ex signori della guerra per cercare non solo di ampliare il proprio bacino elettorale, per raggiungere lo scarto di voti necessario ad aggiudicarsi la vittoria, ma soprattutto di dare al futuro governo la speranza di una stabilità di medio-lungo termine.
Scarica l’Approfondimento dell’Osservatorio di Politica Internazionale (n°109 - Settembre 2015)