Afghanistan: dallo scontro con il Pakistan al riavvicinamento all’India
Nel corso dell’ultimo mese, si è assistito a un aumento delle tensioni tra l’Emirato Islamico d’Afghanistan e la Repubblica Islamica del Pakistan, culminate in scontri armati e strike aerei lungo la Durand Line, il confine tradizionalmente poroso che separa i due Paesi. All’escalation con il vicino pakistano è seguito un parziale riavvicinamento tra la leadership talebana e l’India, sancito dall’incontro l’8 dicembre a Dubai tra il Segretario agli Esteri indiano, Vikram Misri, e il Ministro degli Esteri afghano Mawlawi Amir Khan Muttaqi, nel corso del quale si è discusso non solo di aiuti umanitari ma anche di rilancio dell’interscambio commerciale attraverso i porti dell’Oceano Indiano. Questi recenti sviluppi, difficilmente prevedibili al momento del ritorno dei talebani a Kabul nell’agosto del 2021, confermano il persistere di seri rischi per la stabilità regionale. Le criticità esistenti nel rapporto tra Afghanistan e Pakistan, in particolare, rimangono profonde al punto che, almeno nel breve periodo, i rischi di un conflitto su larga scala appaiono oggi maggiori rispetto alle prospettive di una piena e produttiva cooperazione. Questo contesto di forti tensioni tra Kabul e Islamabad, inoltre, apre spazi di manovra inattesi per Nuova Delhi, apparentemente pronta a sfruttarli anche facendo leva sulla necessità della leadership talebana di rompere l’isolamento internazionale che pesa sul Paese.
Per gran parte del 2024, i rapporti tra Afghanistan e Pakistan sono stati caratterizzati da tensioni elevate, alternate da ripetuti ma spesso poco incisivi tentativi di distensione. Tra i dossier che maggiormente hanno contribuito al deterioramento dei rapporti tra Kabul e Islamabad si evidenziano: il piano di rimpatrio forzato di rifugiati afghani privi di documenti implementato dalle autorità pakistane, nonché le rinnovate minacce alla sicurezza poste rispettivamente dalla rete di gruppi legati al Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP) e dallo Stato Islamico Provincia del Khorasan (ISKP).
In questo quadro complesso, all’inizio di dicembre, con una mossa volta a distendere il clima complessivo, Islamabad ha scelto di ri-nominare Muhammad Sadiq, a lungo Ambasciatore nel Paese e con esperienza in tema di gestione delle relazioni transfrontaliere, come Inviato Speciale per l’Emirato Islamico. La nomina ha seguito di pochi mesi il viaggio di una delegazione pakistana a Kandahar, finalizzato a discutere proprio delle tensioni lungo il confine tra i due Paesi, nonché della possibilità di ricollocare affiliati e sospetti vicini al TTP in aree meno calde del confine. Tuttavia, questi parziali progressi nelle relazioni sono stati subito ridimensionati dall’attentato suicida, rivendicato dall’ISKP, che l’11 dicembre ha provocato la morte del Ministro per i Rifugiati e i Rimpatriati Khalil ur-Rahman Haqqani. Da tempo, infatti, i vertici dei talebani in Afghanistan accusano il vicino pakistano di supportare le attività del gruppo, percepito come principale minaccia alla sicurezza nazionale. Proprio le attività di contro-terrorismo e repressione dei miliziani dell’ISKP sono state al centro dell’azione delle forze di sicurezza e dell’intelligence (General Directorate of Intelligence - GDI) dei talebani, i quali sono giunti a rivendicare successi importanti e la relativa disarticolazione dell’organizzazione. Tali risultati, d’altro canto, sono stati ampiamente messi in discussione proprio dal recente attacco contro l’esponente di spicco del Governo talebano, nonché membro dell’influente network Haqqani che esprime, tra gli altri, anche il Ministro degli Interni. La persistente capacità operativa mostrata da ISKP ha dunque riaperto il tema del presunto supporto esterno all’organizzazione, denunciato più volte tra gli altri anche dal Ministro degli Esteri talebano, Amir Khan Muttaqi, il quale ha apertamente parlato di attacchi del gruppo spesso pianificati al di fuori dal Paese. Parallelamente, nel corso dei mesi recenti, più volte sono emersi riferimenti da parte della leadership talebana alla presunta presenza di campi di addestramento per i miliziani dell’ISKP nella città di Mastung, situata nell’instabile provincia pakistana del Balochistan. Questi fattori sono andati a rafforzare sospetti e reciproche diffidenze, già forti anche alla luce delle ripetute accuse del Pakistan nei confronti della leadership talebana dell’Emirato Islamico, accusata di supportare la rete di gruppi facenti parte del TTP.
Il 21 dicembre, le tensioni tra Kabul e Islamabad hanno raggiunto l’apice quando i talebani pakistani hanno rivendicato un attacco particolarmente sanguinoso lungo il confine tra i due Paesi, nel corso del quale sono rimasti uccisi circa 16 soldati pakistani, mentre altri 10 sarebbero rimasti feriti. L’azione, apparentemente avvenuta in rappresaglia per la morte nelle settimane precedenti di un comandante di alto livello nel distretto di Tank, nella provincia di confine del Khyber Pakhtunkhwa, è solo una delle ultime realizzate nel corso del 2024, anno in cui gli attacchi effettuati dal TTP e dai gruppi indipendentisti balochi hanno prodotto circa 700 vittime tra i membri delle forze di sicurezza e almeno altrettante tra la popolazione civile. Sempre nel corso dell’anno, a riprova della rilevanza del fenomeno, le forze di sicurezza pakistane hanno condotto circa 250 operazioni antiterrorismo, uccidendo secondo le stime circa 900 miliziani. L’attacco rivendicato dal TTP, nel dettaglio, sarebbe stato condotto da un gruppo di uomini armati che ha assaltato un avamposto nella località di Makeen, nel Waziristan meridionale.
La risposta del Pakistan all’attacco è giunta in tempi brevi e ha presentato caratteristiche simili a quanto già avvenuto nel marzo del 2024. Precisamente, il 24 dicembre, l’aeronautica militare pakistana ha effettuato una serie di strike nella provincia orientale afghana di Paktika, dove l’intelligence ha da tempo segnalato la presenza di alcuni accampamenti riconducibili proprio ai talebani pakistani. Tra gli obiettivi dell’attacco, come riportato anche da The Khorasan Diary, vi sarebbero stati sia la base operativa da cui è partito l’assalto del 21 dicembre, sia le strutture e gli operatori di Umar Media il canale di propaganda del TTP. A seguito dell’attacco, effettuato nel distretto di Barmal con aerei da combattimento e droni, il Pakistan ha rivendicato l’uccisione di circa 70 presunti terroristi, mentre il portavoce del governo talebano Zabihullah Mujahid ha dichiarato che 46-48 persone, tra cui donne e bambini, sarebbero rimaste uccise. A tali affermazioni, apparentemente confermate anche dalla Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, sono seguite promesse di vendetta e soprattutto da una rara ammissione di supporto e ospitalità ai miliziani del TTP effettuata dal Ministro dell’informazione e della Cultura afghano, Khairullah Khairkhwa.
La contro-rappresaglia dell’Emirato Islamico è giunta il 28 dicembre, quando le forze talebane avrebbero preso di mira, stando al comunicato del Ministero della Difesa di Kabul, diverse aree nei pressi del contestato confine tra i due Paesi. Seppur manchino conferme, gli attacchi avrebbero prodotto la morte di almeno un elemento delle forze di sicurezza pakistane, oltre al ferimento di altri sette. Successivamente all’attacco, le tensioni lungo il confine sono rimaste elevate e si segnalano colpi di mortaio e nuove esplosioni anche il 10 gennaio tra la provincia afghana di Kunar e il distretto pakistano di Bajaur, in Khyber Pakhtunkhwa. A tal proposito, si segnala come già lo scorso marzo, proprio nei giorni successivi allo strike aereo pakistano contro le postazioni dei talebani pakistani in Afghanistan, il TTP rivendicò un importante attacco suicida contro cittadini cinesi lungo la strada del Karakorum, in Pakistan.
Mentre proseguono gli scontri lungo la Durand Line, l’8 gennaio si è svolto a Dubai un incontro tra il Ministro degli Esteri afghano Muttaqi e il Segretario agli Esteri indiano Misri. Particolarmente interessanti appaiono proprio luogo e timing del meeting tenutosi negli Emirati Arabi Uniti, partner sempre più rilevante dell’India, sole 48 ore dopo la condanna del Governo di Narendra Modi degli strike pakistani su suolo afghano. Lo scambio tra Misri e Muttaqi, che segue quello avvenuto nel mese di novembre tra funzionari degli esteri indiani e vertici politici afghani, ha riguardato la possibilità di incrementare i rapporti commerciali (anche ai fini di facilitare l’assistenza umanitaria all’Emirato Islamico) attraverso il porto iraniano di Chabahar. Hub fondamentale dell’International North–South Transport Corridor (INSTC), il corridoio multimodale che mira a collegare le coste indiane all’Asia centrale e alla Federazione Russa, l’infrastruttura portuale iraniana è al centro di accordi tra Teheran e Nuova Delhi, con quest’ultima che ha investito centinaia di milioni per lo sviluppo e la gestione della stessa.
L’interesse dell’India per l’Emirato Islamico, ancor più dopo il ritorno dei talebani al potere, appare ampiamente legato dalla volontà di contrastare l’influenza dei rivali pakistani. A tal proposito, la presenza indiana a Chabahar mira, tra le altre cose, proprio a ridimensionare il ruolo di Pakistan e Cina in quel segmento dell’Oceano Indiano. Parallelamente, però, l’idea indiana di rilanciare i rapporti con Kabul riguarda anche un altro aspetto relativo alla sicurezza nazionale. Nuova Delhi, infatti, mira dal 2021 ad evitare che il Paese possa trasformarsi in un base logistica per gruppi jihadisti animati da sentimenti anti-indiani, pronti a rianimare per esempio il fronte del Kashmir. In questo quadro, appare lecito ritenere che l’India prosegua nel breve-medio periodo nello sforzo di rilanciare i rapporti con la leadership talebana, anche se i risultati di questa azione dipenderanno dall’eventuale rafforzamento del fronte pragmatico all’interno dell’Emirato Islamico, nonché dall’evoluzione dei rapporti tra questo e il vicino pakistano.