La Turchia al bivio tra inflazione e crescita economica
Mentre le Banche Centrali del mondo – dalla BCE alla FED, dalla Bank of England alla Bank of Japan – monitorano con attenzione l’aumento dell’inflazione e si dicono pronte ad intervenire con interventi di tapering per garantire la stabilità dei prezzi, in Turchia si assiste ad un scenario diametralmente opposto: malgrado l’inflazione viaggi intorno al 20%, la Banca Centrale Turca (TCMB) è intervenuta il 18 novembre con un ulteriore taglio dei tassi di interesse, confermando così la volontà di non adottare misure di politica monetaria restrittiva per il terzo mese consecutivo. La decisione, per quanto attesa dal mercato, è stata accolta con massicce vendite della valuta nazionale, che ha raggiunto così il minimo storico di 11 lire turche per un dollaro. La moneta nazionale ha perso dall’inizio del 2021 circa un terzo del suo valore nei confronti del dollaro ed oltre il 20% da quando la TCMB ha iniziato a tagliare i tassi a settembre. La strategia monetaria delle autorità turche può definirsi quantomeno contro-intuitiva, dal momento che davanti ad un’inflazione galoppante, le banche centrali sono solite aumentare i tassi di interesse per raffreddare la domanda, proteggere il valore della valuta e preservare il potere d’acquisto, e quindi la prosperità, dei cittadini.
Le ragioni di questo approccio sono da ricercare nella volontà di Recep Tayyip Erdoğan di imporre una politica monetaria il più possibile espansiva per favorire investimenti ed occupazione, e quindi rilanciare la crescita economica in vista delle elezioni del 2023. Anche il deprezzamento della lira, per Erdoğan, non costituisce una fonte di preoccupazione, dal momento che esso avrebbe il vantaggio di rendere più competitivo l’export turco così da impattare positivamente sul PIL. La visione del Presidente turco è sostenuta da una retorica che mira a descrivere le scelte di politica economica come strumenti fondamentali per difendere il Paese dagli attacchi degli speculatori in quella che egli descrive come “una guerra economica d’indipendenza”. Erdoğan, che ha incontrato di recente il Governatore della TCMB Şahap Kavcıoğlu, non solo ha difeso il taglio dei tassi di interesse, ma ne ha rivendicato con forza la correttezza, confermando ancora una volta la volontà di continuare imperterrito su questa linea senza cedere davanti alle pressioni interne. Su questo fronte, anzi, Erdoğan è intervenuto più volte per isolare possibili voci di dissenso: dal 2019 ad oggi, tre sono i Governatori della Banca Centrale che sono stati sostituiti – Murat Çetinkaya, Murat Uysal, Naci Ağbal – e solo recentemente anche due Vicegovernatori, Semih Tumen e Ugur Namik Kucuk, hanno subito la medesima sorte. Sembrerebbe che anche l’attuale Ministro delle Finanze, Lutfi Elvan, possa essere sostituito con una figura più vicina ad Erdoğan.
La politica monetaria adottata dalla TCMB rischia di essere controproducente e poco sostenibile. Infatti, se da una parte la crescita del PIL turco è del 9% nel 2021, d’altra parte l’inflazione impatta concretamente sul benessere di ampie fasce della popolazione turca, in particolar modo quelle meno abbienti, con un aumento del peso dei debiti in valuta estera, un crollo del potere d’acquisto e conseguenzialmente della fiducia dei consumatori, e con un accrescimento delle disuguaglianze interne. Inoltre, se il deprezzamento può favorire l’export turco, è difficile pensare che esso sia in grado di ribaltare il deficit strutturale in cui si trova la bilancia commerciale turca. Anzi, un deprezzamento della lira renderebbe le importazioni più care, così da incrementare in un circolo vizioso la già elevata inflazione. Il rischio concreto è dunque che questa politica monetaria espansiva si traduca solamente in maggior inflazione, senza avere conseguenze positive sull’economia reale. A queste considerazioni, occorre aggiungere una riflessione di natura strutturale: il “divorzio” tra la Banca Centrale Turca ed il Governo non può essere meramente formale, in quanto costituisce un elemento fondamentale per garantire l’efficienza e l’efficacia delle scelte di politica economica. Se un dialogo costruttivo è auspicabile, questa dialettica non può arrivare a compromettere l’indipendenza della TCMB che, proprio in virtù di questo status specifico, è in grado di compiere le scelte giuste a tutela tanto del benessere collettivo quanto della stabilità dei prezzi.