Il Kazakistan di Nazarbaev tra autoritarismo e crescita economica
Il Kazakistan beneficia da oltre dieci anni di un ritmo di sviluppo economico formidabile, con un tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo in rapida risalita dopo la battuta d’arresto del 2008 e del 2009: si stima che la crescita del 5 per cento dell’anno 2012 proseguirà anche nel 2013. Un simile rigoglio economico non è però accompagnato da un’accettabile apertura alle istanze democratiche. L’autocrate Nazarbaev, la sua famiglia e un nutrito manipolo di oligarchi sono al potere nel Paese dal lontano 1991, anno dell’indipendenza del Kazakistan dall’Unione Sovietica. Il grottesco culto della personalità, la corruzione diffusa e le limitazioni della libertà d’espressione non hanno impedito a Nazarbaev ed ai suoi uomini di sollevare le sorti della propria nazione, di ottenere un discreto sostegno popolare e di effettuare un buon numero di riforme economiche illuminate di cui stanno beneficiando anche i meno abbienti. Per quanto non sempre l’attendibilità dei dati forniti sia indiscutibile, il grado di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza (misurato attraverso il coefficiente Gini) era a un livello piuttosto basso già a inizio 2000 ed è ulteriormente migliorato nel corso del decennio successivo.
Il Kazakistan è ricco di petrolio, ha un’enorme riserva di carbon fossile e una buona disponibilità di rame, uranio e zinco. Il settore agricolo cresce ad alti ritmi, producendo ed esportando una grande quantità di grano duro nelle nazioni vicine, in Europa e in Asia. Il governo kazako ha da molto tempo in agenda il progetto di sviluppare un’economia maggiormente differenziata, in cui lo sfruttamento delle risorse naturali abbia un peso specifico meno preponderante. Infatti, il progresso economico completo del Paese non può prescindere dall’emancipazione dalle esternalità negative tipiche dei sistemi a monocoltura energetico-mineraria, prime fra tutte gli shock determinati dalla fluttuazione del prezzo delle materie prime nei mercati mondiali. La forte dipendenza dell’economia kazaka dal petrolio e dall’estrazione di metalli e minerali espone inoltre l’industria al cosiddetto “Male Olandese”: la stabilizzazione di tassi di cambio svantaggiosi per il settore manifatturiero interno, causati dalla sovrabbondanza dei ricavi provenienti da risorse naturali.
Il processo di diversificazione intrapreso dal governo vede un forte investimento pubblico nel campo delle telecomunicazioni, nel settore petrolchimico, in quello dei trasporti e in quello farmaceutico. La grande apertura effettuata nei confronti dell’investimento estero ha fatto sì che capacità e capitale straniero affluissero in settori cruciali come quello delle infrastrutture, in quello immobiliare e in quello del lusso. Il rapporto Doing business per l’anno 2013 pubblicato dalla Banca Mondiale rivela il successo delle politiche effettuate dal Kazakistan per accogliere il denaro estero: il Paese viene collocato al decimo posto mondiale per la sua capacità di garantire protezione a chi investe sul suo territorio e al diciassettesimo nella voce paying taxes, riguardante l’ammontare delle tasse che una media impresa deve pagare nel corso di un anno, compreso il costo dei carichi amministrativi. Notevole anche il balzo in avanti di trenta punti (ora è al 25° posto) nel capitolo starting a business.
Nonostante il forte desiderio di diversificare l’economia tramite l’investimento estero in settori prioritari per la crescita della nazione, c’è ancora molta strada da fare. Secondo il rapporto dell’Ocse (cui il Kazakistan ha aderito solo in tempi recenti), chi investe in Kazakistan lo fa innanzitutto nel settore minerario e delle risorse naturali; grande è anche il flusso di denaro speso per lo studio geologico del territorio. In base ai dati forniti dalla Banca Nazionale del Kazakistan, il 72 per cento dell’investimento straniero riguarda il settore minerario, mentre il 10 per cento investito nel settore manifatturiero concerne per la quasi totalità spese legate alla lavorazione dei metalli estratti.
Oltre alla grande disponibilità di risorse, la collocazione geografica a cavallo tra Europa e Asia rende il Kazakistan una pedina fondamentale nella scacchiera della regione caspica. La Russia è da sempre stato il partner principale di Astana e, a partire dagli anni Duemila, ha incrementato ulteriormente le relazioni commerciali, sfruttando la crescita esponenziale dell’economia kazaka. Dal canto loro, gli Stati Uniti non sono mai stati a guardare: sin dal 1992 le varie amministrazioni Usa hanno cercato di espandere la propria influenza sul Kazakistan, ponendo talvolta i propri interessi in concorrenza con quelli di Mosca. Dalla forte cooperazione militare iniziata nei primi anni Novanta, quando gli Stati Uniti offrirono al Kazakistan il proprio aiuto nello smaltimento dell’arsenale nucleare, è nata un’alleanza che ha visto gli Usa fornire il proprio aiuto nell’approntamento di quelle riforme necessarie a costruire nel paese una valida economia di mercato.
Con la caduta dell’Unione Sovietica, per gli Stati Uniti supportare il Kazakistan e le vicine neo-repubbliche centrasiatiche significava arginare l’espansione di Russia, Cina e Iran nella regione. Il prezzo da pagare era quello di scendere a patti con Nazarbaev e con gli altri governanti e oligarchi dell’area, tradizionalmente ostili all’idea americana di democrazia e intenti a spartirsi le ricchezze provenienti dalle repentine privatizzazioni dei vecchi monopoli statali. La vicinanza di Washington consentiva al Kazakistan d’impedire un’eccessiva invadenza di Mosca nei propri affari interni. Nazarbaev è riuscito negli anni a tessere le proprie reti diplomatiche con maestria, impedendo eccessive ingerenze estere in politica interna e godendo del sostegno dei propri alleati: la Russia è stata nel corso degli anni Novanta e Duemila il primo partner commerciale, mentre con Washington sono state strette alleanze militari di cui l’America ha beneficiato soprattutto nel corso della missione in Afghanistan.
Negli ultimi anni si è registrata l’intensificazione anche degli investimenti cinesi in Kazakistan, a scapito della presenza russa che ha perso consistenza anno dopo anno. La Cina sfrutterà sempre più le risorse naturali presenti sul territorio kazako, mentre i capitali e il know how tecnico di Pechino consentiranno al Kazakistan di incrementare lo sforzo per migliorare quei settori industriali penalizzati dalla precedente politica economia sovietica e per portare avanti la costruzione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese. Il miglioramento delle vie di trasporto è cruciale per generare ulteriore progresso: solo una minima parte dell’export-import del Kazakistan passa per via marina (la nazione affaccia a Sud-Ovest per un breve tratto sul Mar Caspio), mentre la gran parte del flusso si muove per via terrestre. La nuova ferrovia costruita lungo il confine cinese tra Alma Ata e Khorgos è stata finanziata con denaro cinese, rivelando i profondi vantaggi seguiti all’accordo tra i due Stati.
Nel corso dell’ultimo decennio, l’Italia ha instaurato solidi rapporti commerciali con il Kazakistan: all’interno dell’Unione Europea, Roma è il secondo esportatore dopo la Germania. Le importazioni del Kazakistan dall’Italia sono passate da 220 milioni di dollari del 2002 al miliardo e 125 milioni del 2011. La dipendenza energetica italiana dal Kazakistan è fortemente cresciuta nel corso degli ultimi anni, con un aumento percentuale del 49 per cento tra il 2010 e il 2011. L’Italia importa dalla nazione kazaka e dall’Azerbaijan una grandissima quantità di petrolio greggio. Sono diverse le aziende italiane presenti sul territorio: l’Eni ha una partecipazione del 16 per cento nel consorzio che gestisce lo sfruttamento del giacimento petrolifero di Kashagan, uno dei più grandi e meno sfruttati dell’area caspica. Anche Unicredit è presente in Kazakistan: è notizia di questi giorni la sua intenzione di cedere la propria quota di partecipazione all’istituto bancario kazako ATF.
Un’economia sempre più solida e un’enorme disponibilità di energia fanno passare in secondo piano il disinteresse di Nazarbaev verso l’implementazione di riforme che migliorino il grado di democrazia, aumentino la trasparenza e garantiscano il rispetto dei diritti umani nel proprio Paese. Il voto che, nel tardo 2011, ha portato alla rielezione di Nazarbaev con il 95% dei consensi è stato stigmatizzato dall’OSCE come condizionato da “gravi irregolarità”. Transparency International colloca il Kazakistan al 120° posto nella sua classifica sulla presenza di corruzione nelle istituzioni, non esattamente un risultato incoraggiante. Amnesty International ha condannato ripetutamente la risposta delle forze dell’ordine agli scioperi nella città petrolifera di Zhanaozen, denunciando violenza ingiustificata, torture e gravi e reiterate violazioni dei diritti dei lavoratori. Ancor più duro il quadro dipinto da Human Rights Watch nel suo ultimo rapporto annuale: il comitato locale dell’organizzazione parla di mezzi di informazione piegati all’interesse del governo, maltrattamento di giornalisti indipendenti, processi punitivi improntati sul reato di diffamazione e cancellazione della libertà di assemblea. Una settimana fa è arrivata la notizia del progetto del governo di mettere al bando il partito d’opposizione Alga, oltre a 8 testate giornalistiche e 23 riviste, marchiati dell’accusa di estremismo.
Le recenti polemiche sulla repressione del dissenso non stanno colpendo oltremodo la reputazione internazionale di Nazarbaev: gli interlocutori esteri del Kazakistan hanno sempre avuto buona coscienza delle difficoltà kazakhe nella transizione ad un sistema democratico maturo, ma hanno tollerato alcune incertezze apprezzando la capacità del leader di sterilizzare l’opposizione attraverso un processo di progressiva inclusione nello schema parlamentare. Nelle ultime elezioni s’è vista una grande novità: in parlamento al fianco del partito di maggioranza, il Nur Otan, c’è stato l’ingresso di due partiti di opposizione, l’Ak Zhol e il locale Partito Comunista. La concessione di un pluralismo di facciata era funzionale all’esclusione e alla criminalizzazione dei partiti d’opposizione più scomodi, la cui crescita è stata così neutralizzata. La credibilità di Nazarbaev poggia inoltre sulla sua capacità di opporsi con forza alle forze estremiste religiose che premono nelle regioni del Kazakistan in cui si annida la maggiore povertà. In tal senso, la politica di tolleranza zero di Nazarbaev offre all’Occidente e ai molti investitori esteri le garanzie necessarie e gli permette di contenere il fastidio che molti governi occidentali provano nei confronti dei suoi eccessi illiberali.
La forza del Kazakistan consiste quindi nella fitta rete di relazioni e interscambi che connettono la sua economia a quella delle più grandi potenze mondiali. La collocazione strategica rende il territorio kazako punto di passaggio di alcuni dei più importanti oleodotti e gasdotti che collegano Oriente e Occidente, senza considerare la grande disponibilità di risorse presenti sul suo territorio. Il progressivo aumento della presenza cinese in territorio kazako e il rinsaldamento della partnership economico-militare con gli Stati Uniti hanno messo in allarme una Russia provata dai tanti scandali interni. Mosca sta tentando di rinforzare la reciproca vicinanza cercando di dare nuovo lustro all’Unione Doganale aperta nel 2010: l’area priva di barriere tariffarie costituita tra Russia, Kazakistan, Bielorussia e Ucraina. Questo reticolo diffuso di alleanze economiche strategiche, la capacità di contenere il dissenso interno e il buon livello di crescita raggiunto dal proprio paese consentono a Nazarbaev di proporsi alla comunità internazionale come il male minore, i cui interessi in linea di massima collimano con quelli dei più potenti investitori esteri d’Europa, Asia e America.