Sudan e Sud Sudan: questioni etniche ed economiche alla base dell’instabilità regionale
I combattimenti che hanno recentemente sconvolto il Sudan meridionale ed il Sud Sudan confermano una situazione di grave instabilità regionale, a distanza di soli quattro mesi dalla dichiarazione d’indipendenza da parte di Juba avvenuta il 9 luglio 2011.
Il 31 ottobre, a Talodi, città del Sud Kordofan (area del Sudan meridionale al confine con il Sud Sudan), si sono verificati degli scontri tra SAF (Sudan Armed Forces) e ribelli appartenenti allo SPLM/A-N (Sudan People Liberation Movement/Army North, espressione locale dello SPLA, nato nel 1983, i cui membri, rimasti in territorio sudanese dopo la secessione del Sud Sudan, principalmente nel Sud Kordofan e Blue Nile, proseguono, con il supporto di Juba, la lotta contro il governo sudanese). L’evento s’inserisce in un’escalation di violenze e tensioni che fanno seguito al distacco del Sud Sudan da Khartoum. Negli ultimi mesi, dopo il tentativo di neutralizzazione dei gruppi armati ribelli da parte del governo sudanese, soprattutto SPLM/A-N e guerriglieri appartenenti alle popolazioni delle Montagne Nuba, sono scoppiati scontri in Sud Kordofan, Blue Nile State ed Abyei, aree di confine tra Sudan e Sud Sudan; i combattimenti oppongono i militari dell’esercito regolare a milizie armate che si sono battute al fianco del Sud nella guerra civile sudanese terminata nel 2005. Inoltre, il 29 ottobre, si sono registrati degli incidenti anche in Sud Sudan, quando lo SSLA (South Sudan Liberation Army), fazione avversaria di Juba ai comandi di Peter Yak Gadet, ex comandante SPLA, ha attaccato la città di Mayom, capoluogo dello Unity State (Western Upper Nile). Quindi, il 10 novembre, un aereo di Khartoum ha bombardato il campo profughi di Yida (Unity State) causando almeno dodici vittime.
Il quadro d’instabilità appena descritto mette in luce come la dichiarazione d’indipendenza del Sud Sudan abbia lasciato insolute una serie di problematiche, contribuendo a delineare uno scenario caratterizzato da alti rischi per la sicurezza regionale. Gli scontri recenti s’inseriscono in un clima contraddistinto da un continuo scambio di accuse reciproche tra Juba e Khartoum sull’appoggio ai movimenti ribelli nelle zone di confine tra i due Stati.
Da una parte, il presidente sudanese Omar al-Bashir (accusato nel 2010 dalla Corte Penale Internazionale di crimini contro l’umanità per le sue responsabilità nel conflitto in Darfur) incolpa il suo omologo sud sudanese Salva Kiir Mayardit di fornire appoggio logistico allo SPLA/M-N, mentre Juba considera Karthoum responsabile delle violenze portate avanti dallo SSLA nella regione meridionale del Sud Sudan (in particolare negli Stati regionali Unity, Warrap e Upper Nile).
Dalla scoperta dei pozzi petroliferi negli anni ’70, soprattutto nella zona dello Upper Nile e dello Unity State, si è registrato un innalzamento delle tensioni per il controllo della regione che attualmente appartiene al Sud Sudan, Paese che, dopo la dichiarazione d’indipendenza, è venuto in possesso del 75% del totale dei giacimenti petroliferi che appartenevano al Sudan (una produzione giornaliera di circa 375mila barili di petrolio). La strategia “divide et impera” adottata da Khartoum nel sud del Paese e le richieste d’indipendenza da parte delle popolazioni non arabe presenti in queste aree (il sud è infatti principalmente cristiano animista), hanno creato nel corso degli anni le basi per uno scontro aperto tra le varie fazioni riconducibili alle etnie sul territorio. Il “Comprehensive Peace Agreement” (CPA) del gennaio 2005, che ha segnato la fine del conflitto nord-sud iniziato nel 1983, sebbene abbia permesso a Juba di separarsi da Khartoum, ha tuttavia lasciato insolute questioni di grande rilevanza relative al confine tra Sudan e Sud Sudan, al tema della sicurezza e soprattutto alla suddivisione dei proventi del petrolio tra i due Paesi.
In vista della secessione del Sud Sudan, già a partire da giugno, Khartoum, con l’aiuto di milizie locali, ha incrementato l’uso della forza contro i ribelli appartenenti ad etnie non arabe presenti sul proprio territorio, quali le etnie delle Montagne Nuba, del Blue Nile State e del Kasala. Bashir ha aperto le ostilità in previsione della secessione del Sud Sudan, affermando che non accetterà la presenza sul suo territorio di movimenti armati di ribelli. Lo scontro tra Khartoum ed i Nuba riapre un conflitto iniziato durante la seconda guerra civile sudanese (1983-2005), quando Nuba e SPLA avevano stretto un’alleanza per combattere il governo centrale sudanese, il quale, a sua volta, a partire dal 1985, aveva armato milizie Baggara (complesso di comunità che comprende tra le altre anche le tribù Messiria e Hawazma, maggioritarie soprattutto in Sud Kordofan) per combattere una proxy war contro lo SPLA ed i Nuba. Il conflitto è terminato nel 2002 con un cessate il fuoco che ha posto le basi per la stipula del CPA; tuttavia, la fragile pace e la situazione d’instabilità regionale hanno placato le tensioni soltanto in modo apparente, come dimostrano le violenze recenti. Inoltre, il gruppo ribelle JEM (Justice for Equality Movement, operativo in Darfur), insieme agli altri gruppi del Sud Kordofan e Blue Nile State avversari di Khartoum, hanno annunciato di aver formato un’alleanza, denominata Sudanese Revolutionary Front, per rovesciare il regime di Bashir; questo evento, che sottolinea il salto di qualità dal punto di vista logistico e militare del fronte anti-Khartoum, rappresenta un fattore di potenziale innalzamento delle tensioni.
Analizzando la situazione in Sud Sudan, il complesso mosaico tribale vede uno scontro tra il gruppo maggioritario dei Dinka (35,8% della popolazione totale del Paese) ed i Nuer (confederazione di tribù presenti in Etiopia occidentale ed in Sud Sudan, di cui costituiscono il 15,6% della popolazione totale), da quando lo SSLA, composto prevalentemente da Nuer, ha preso le armi contro il governo di Juba, accusato di rappresentare gli interessi dell’etnia avversaria. I vertici del movimento ribelle hanno dichiarato che l’obiettivo dello SSLA è la lotta alla corruzione ed alla dominazione esercitata dai Dinka, sebbene l’ostilità reciproca tra le due etnie risalga ai primi anni del ‘900. La presenza dello SSLA, dello SSDM (South Sudan Democratic Movement, altro gruppo ribelle fondato nel 2010 dal dissidente SPLA George Athor Deng) e dello SPLM-DC (Sudan’s People Liberation Movement – Democratic Change, principale partito d’opposizione in Sud Sudan guidato da Lam Akol) è al momento la minaccia principale per la stabilità del Sud Sudan e non si esclude che Khartoum giochi un ruolo preminente nelle tensioni che stanno minando l’esercizio della governance da parte di Juba. In quest’ambito, emerge l’importanza del controllo dello Unity State, territorio strategicamente determinante dal quale dipende un terzo del petrolio sud sudanese (stimato in circa 150 milioni di barili). La presenza nello Unity State dei Dinka, Nuer e Murle (una delle principali minoranze del Sud Sudan con circa il 4% della popolazione totale, in conflitto soprattutto con i Nuer), alla luce delle divisioni appena menzionate, rende evidente come il controllo dei proventi del petrolio in quest’area rappresenti la chiave di volta dell’equilibrio e della stabilità regionale ed una posta in gioco che potrebbe inasprire ulteriormente i rapporti fra le varie etnie. A novembre, la produzione petrolifera del Sud Sudan è diminuita del 25% rispetto al livello di luglio; William Garjang Gieng, Ministro del Petrolio nello Unity State, sebbene abbia giustificato tale flessione con la carenza di lavoratori qualificati addetti ai pozzi petroliferi, ha anche confermato un quadro di grande insicurezza connesso alla presenza dei ribelli dello SSLA. Considerato che la produzione petrolifera costituisce il 98% del PIL sud sudanese, appare evidente come lo SSLA rappresenti una minaccia anche all’economia nazionale.
Lo scontro tra Juba e Khartoum s’incentra inoltre su Abyei, zona di confine tra Sudan e Sud Sudan contesa dai due Paesi dove confluiscono molte delle problematiche regionali, soprattutto a causa della presenza di terreno fertile e di petrolio (in particolare vi sono scontri tra SPLM/A-N e SAF e tra gruppi Messiria e Dinka; in quest’ultimo caso le tensioni sono legate al controllo dei terreni per la pastorizia e per le risorse idriche). Lo status amministrativo di Abyei è tuttora oggetto di disaccordo, a conferma dell’alta posta in gioco rappresentata dal controllo di questa regione, e per far fronte alle tensioni, il 27 giugno è stato autorizzato il dispiegamento della forza di peacekeeping UNISFA (United Nations Interim Security Force for Abyei) composta da soldati etiopi.
In ambito geoeconomico, occorre ricordare che il petrolio sud sudanese, una volta estratto, dipende dall’oleodotto (Greater Nile Oil Pipeline) che passa sul territorio sudanese e dalle raffinerie di Khartoum (la Reuters calcola che il Sudan applica a Juba un prezzo di 32 dollari al barile). Juba quindi, nell’ottica di un’emancipazione dalla dipendenza del Sudan, sta ipotizzando la costruzione di un nuovo oleodotto che si unisca a quello esistente South-Eldoret-Mombasa presente in Kenya. Tale iniziativa sta causando preoccupazioni nell’establishment governativo sudanese, con un conseguente ulteriore inasprimento delle relazioni con Juba.
In questo contesto si evidenzia un duplice livello dello scontro nord-sud, dove le antiche ostilità tribali si intrecciano con interessi economici legati allo sfruttamento del petrolio. In particolare, le tensioni inter-etniche si sviluppano soprattutto nelle aree ricche di giacimenti petroliferi (Unity State, Warrap, Sud Kordofan, Upper Nile, White Nile); Juba e Khartoum potrebbero quindi strumentalizzare le ostilità tra i vari gruppi sul territorio per accrescere il reciproco controllo su tali zone.
In conclusione, sia Sudan che Sud Sudan corrono il rischio di precipitare in un nuovo scontro armato, a cui si aggiunge l’esistenza di fratture interne e fragilità in termini di convivenza pacifica tra le numerose etnie, ostilità che convergono principalmente su questioni territoriali ed economiche. In questo scenario, l’Etiopia potrebbe svolgere un ruolo di mediazione tra Juba e Khartoum, dopo il dispiegamento della UNISFA composta esclusivamente da peacekeepers di Addis Ababa e soprattutto alla luce dei buoni rapporti sia con Bashir che con Kiir.