Effetto Trump: la strategia della Cina per sfruttare le tensioni commerciali globali
Le forti tensioni innescate dalle politiche commerciali protezionistiche introdotte dalla nuova amministrazione statunitense aprono opportunità rilevanti per la Repubblica Popolare Cinese, tanto in Europa quanto nell’Indo-Pacifico. La necessità di strutturare catene di approvvigionamento solide, soprattutto in una fase di forte incertezza politica ed economica come quella attuale, potrebbe infatti forzare un riavvicinamento tra Cina ed Unione Europea (UE), nonché favorire l’approfondimento della cooperazione regionale tra attori asiatici tradizionalmente rivali.
Già lo scorso febbraio, in piena offensiva economica e commerciale americana, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha parlato della possibilità di negoziare nuovi accordi con la Cina, mirati ad espandere i legami commerciali e di investimento. Parallelamente, il Parlamento Europeo ha revocato le restrizioni che dal 2021 impediscono agli eurodeputati di incontrare funzionari cinesi ed ha semplificato la procedura per le missioni in Cina. Tali mosse, giunte dopo anni di politiche europee volte ad implementare la strategia di de-risking economico dalla Repubblica Popolare, segnano uno stravolgimento (per quanto al momento solo retorico) della posizione dell’UE nei confronti del partner cinese. Con la pandemia prima e l’invasione russa dell’Ucraina poi, l’Unione aveva infatti cercato di allentare progressivamente il legame economico con Pechino, limitando tra le altre cose il flusso di investimenti diretti nei settori strategici. In questo quadro, l’apertura recente dell’UE, anche se verosimilmente solo tattica e mirata a lanciare un segnale all’amministrazione Trump, rappresenta una svolta assolutamente rilevante. Anche il piano dell’UE di risposta all’attacco commerciale atteso per il 2 aprile, per essere realmente efficace, non potrà fare a meno di includere nel medio-lungo periodo i partner asiatici come la Cina. Dal canto suo, Pechino ha accolto con estremo favore i messaggi di apertura giunti da Bruxelles ed ha aumentato la pressione diplomatica volta a sfruttare l’emergere di condizioni ambientali apparentemente favorevoli. Le contraddizioni e le fratture politiche ed economiche emerse tra USA e UE, infatti, lasciano ampio spazio di manovra alla Cina, dinamica del tutto inattesa solo pochi mesi fa, quando Bruxelles annunciava dazi contro i veicoli elettrici prodotti nella Repubblica Popolare e diverse realtà cinesi venivano incluse nei pacchetti sanzionatori contro la Russia.
Dall’inizio del 2025, dunque, la diplomazia cinese non ha perso tempo e si è prontamente schierata al fianco degli europei, tanto sul dossier ucraino, dove la Cina chiede il coinvolgimento dell’UE nei negoziati, quanto sul tema del contrasto alle politiche commerciali americane. In senso più ampio, la Cina mira a far fronte comune con l’UE contro il percepito unilateralismo statunitense, animando il fronte di Paesi che si sentono politicamente traditi e che rischiano di subire i contraccolpi maggiori dalle politiche commerciali aggressive imposte da Washington. Tale postura, oltre a confermare la volontà di mostrare vicinanza ai partner europei e recuperare terreno sul fronte centro-orientale, dove risiedono gli attori maggiormente colpiti dalla guerra russo-ucraina, appare legata anche agli interessi generali del Paese, non ultimo quelli nell’Indo-Pacifico. In tal senso, ammettere l’esclusione dell’UE dai negoziati sulla futura architettura di sicurezza europea si scontra con il principio cinese di contrarietà all’ingerenza di attori terzi nei quadranti politici regionali. Allo stesso tempo, la Cina non percepisce positivamente, anche per ragioni storiche, l’esclusione dalle trattative politiche di attori coinvolti direttamente nelle controversie. In ultimo, un rafforzamento eccessivo della posizione russa post-conflitto crea qualche preoccupazione a Pechino, soprattutto alla luce del legame consolidato da Mosca con attori asiatici rilevanti, come il Myanmar e la Corea del Nord.
Ma gli sforzi della diplomazia cinese, in questa fase, vanno ben oltre il contesto europeo e sono concentrati soprattutto in Asia, nel vicinato allargato del Paese. Nei mesi scorsi, infatti, in attesa di comprendere la portata delle misure annunciate dalla nuova amministrazione statunitense, la Repubblica Popolare procedeva al graduale scongelamento dei rapporti con l’India, anche al fine di evitare tensioni lungo il confine in una fase in cui nessuno dei due attori appare interessato allo scontro. In parallelo, il viaggio a Tokyo del Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in occasione dell’11° incontro con gli omologhi di Giappone e Corea del Sud, ha aperto la strada al primo dialogo economico trilaterale svolto in cinque anni tra i Paesi e tenutosi a fine marzo a Seoul. In questa occasione, i Ministri del Commercio dei tre Paesi asiatici hanno concordato sulla volontà di cooperare ai massimi livelli in vista di potenziali accordi volti a facilitare l’interscambio regionale. Oltre alla implementazione della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), di cui i tre Paesi sono parte integrante, lo scambio ha riguardato la rivitalizzazione dei dialoghi sul Free Trade Agreement (FTA). La notizia giunge a seguito dei reiterati e finora falliti tentativi da parte di Giappone e Corea del Sud, di ottenere esenzioni ad hoc dai regimi sanzionatori introdotti dalla amministrazione Trump. Solo il 27 marzo, il Primo Ministro giapponese Shigeru Ishiba aveva dichiarato che i dazi del 25% sulle auto e sulla componentistica esportata negli Stati Uniti avrebbero scatenato una reazione decisa e che tutte le opzioni erano sul tavolo. Anche la stessa leadership sudcoreana, nella consapevolezza della forte vulnerabilità del Paese alle politiche protezionistiche, ha chiesto nel mese di marzo agli Stati Uniti esenzioni specifiche, al momento mai ottenute.
La Cina, dunque, ha mostrato finora una discreta abilità nello sfruttare tensioni e contraddizioni scatenate dalle controverse politiche americane e, in prospettiva, la sua posizione potrebbe rafforzarsi ulteriormente, soprattutto qualora le crepe nel blocco Euro-Atlantico si consolidino e la distanza tra Washington e partner nell’Indo-Pacifico si ampli. Tuttavia, un potenziale riavvicinamento economico nel breve, dovrà fare i conti con l’assenza di allineamento politico nel medio e lungo termine. In quest’ottica, dunque, solo uno strappo insanabile tra Washington e i suoi partner potrebbe favorire la strategia cinese.