Il costo della fiducia: il dietrofront di Trump sui dazi e il ruolo di Cina e Giappone
Asia & Pacific

Il costo della fiducia: il dietrofront di Trump sui dazi e il ruolo di Cina e Giappone

By Tiziano Marino
04.11.2025

Dopo giorni di forti turbolenze sui mercati finanziari, causate dall’annuncio dell’imposizione di dazi statunitensi sui beni esportati da circa 60 Paesi, inclusi alcuni storici alleati di Washington, il 9 aprile il Presidente Donald Trump ha deciso di fare parzialmente marcia indietro. In particolare, la Casa Bianca ha proposto una sospensione di gran parte delle misure protezionistiche recentemente annunciate, in attesa di avviare nei prossimi 90 giorni negoziati con i Paesi coinvolti. Al momento, restano tuttavia in vigore tariffe al 10% sui beni importati dall’estero a livello globale, eccezion fatta per la Cina, esclusa dal dietrofront della Casa Bianca e per la quale i dazi su una parte dei beni esportati avrebbe raggiunto addirittura la soglia del 145%. Dopo qualche ora di attesa, probabilmente legata alla volontà di annunciare la propria decisione a mercati asiatici chiusi, Pechino ha nuovamente risposto con contro-dazi al 125%, in crescita dunque esponenziale rispetto alla soglia del 34% dello scorso 4 aprile. La mossa cinese, di fatto, instilla dubbi rilevanti su chi effettivamente abbia il controllo dell’escalation (escalation dominance) in questa guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, con la prima che gode di un forte surplus commerciale nei confronti dei secondi, pari si stima a circa 361 miliardi di dollari.

Il dietrofront di Trump sui dazi, deciso apparentemente di concerto con i Segretari al Commercio e al Tesoro Howard Lutnick e Scott Bessent, sembra legato a quanto avvenuto nel corso dell’ultima settimana sui mercati finanziari globali e, in particolare, su quelli statunitensi, con gli indici S&P 500 e Nasdaq che hanno perso dall’inizio dell’anno e fino all’8 aprile, rispettivamente il 15 e il 18%. In questo contesto, un ruolo decisivo per la retromarcia della Casa Bianca sembra averlo avuto il combinato disposto del crollo del mercato azionario e di quello obbligazionario, considerato come tradizionale porto sicuro soprattutto in caso di turbolenze sui mercati come quelle registrate negli ultimi giorni. Il mercato dei titoli di Stato USA, infatti, è da una settimana caratterizzato da forte volatilità, con collocamenti di titoli che non sempre hanno risposto alle aspettative e un’ondata di vendite su quelli a lunga scadenza, che hanno prodotto una crescita dei rendimenti a 10 anni fino al 4,51% il 9 aprile, segnando quello che è di fatto il balzo maggiore dell’ultimo decennio.

L’aumento dei rendimenti e quindi le vendite di titoli di Stato americani segnalano, da una parte, una parziale perdita di credibilità del Paese e, dall’altra, i rischi legati a eventuali cali di fiducia da parte degli investitori esteri. Sul tema della credibilità, in particolare, gli Stati Uniti pagano l’imprevedibilità delle politiche introdotte, le modalità di comunicazione delle stesse e l’incertezza sull’effettiva capacità di raggiungere gli obiettivi dichiarati. Sulla questione del debito e della fiducia complessiva, tuttavia, subentrano valutazioni ulteriori che vedono protagonisti attori esterni, su tutti Giappone e Cina, che detengono rispettivamente circa 1.000 e 760 miliardi di dollari di debito USA. Entrambi gli attori asiatici, infatti, sembrano da tempo impegnati a ridurre la loro quota di debito americano detenuta e le recenti turbolenze sembrano aver accelerato questa tendenza e, di conseguenza, la pressione sulla Casa Bianca. Nel dettaglio, se nella prima fase della crisi sui dazi si temevano mancati acquisti di titoli anche come ritorsione rispetto alle politiche commerciali da parte di Pechino e Tokyo, al momento ciò che si registra è una progressiva vendita degli stessi, con rialzo dei rendimenti difficilmente sostenibile nel lungo periodo. L’andamento dei titoli a lungo termine USA, peraltro, è indicatore fondamentale per la stabilità dell’economia globale e una pressione su questi provoca, potenzialmente, effetti ben oltre i confini americani. Tuttavia, qualora lo scontro commerciale, l’incertezza e dunque la volatilità sui mercati dovessero protrarsi, la Casa Bianca potrebbe trovarsi a dover gestire una pressione inedita derivante dalle mosse di attori esteri detentori di quote rilevanti di debito americano, con particolare attenzione alla Cina, vero obiettivo dello scontro in atto.

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