L’Egitto serra i ranghi contro l’Etiopia: cosa accade nel Corno d’Africa
Africa

L’Egitto serra i ranghi contro l’Etiopia: cosa accade nel Corno d’Africa

By Giuseppe Dentice and Andrea Fusco
10.29.2024

Le tensioni in corso nel Corno d’Africa continuano a seguire una traiettoria orientata alla logica dell’escalation. Il segnale più recente è giunto da Asmara, dove il 10 ottobre si è svolto un vertice trilaterale tra Abdel Fattah al-Sisi, Isaias Afwerki e Hassan Sheikh Mohamud, rispettivamente Capi di Stato di Egitto, Eritrea e Somalia. Nel resoconto finale dell’incontro le parti hanno sottolineato una comunanza d’interessi nel rafforzare i legami tra i Paesi, oltre a coordinare il rafforzamento delle istituzioni statali e militari somale per “affrontare varie sfide interne ed esterne”. La rilevanza di questa intesa regionale può essere valutata considerando gli elementi che hanno portato i tre attori a convergere contro un comune concorrente: l’Etiopia.

L’importanza del vertice di Asmara, infatti, si definisce anche nell’agenda dei temi affrontati: oltre alla situazione in Somalia, la crisi in Sudan e le sue ricadute regionali, durante i lavori sono stati attenzionati dossier quali la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati costieri del Mar Rosso e Bab el-Mandeb, nonché l’instaurazione di meccanismi di coordinamento in materia di terrorismo tra i tre Paesi. Tutte questioni cruciali ancor di più se rapportate nell’ottica del Cairo, che vive una condizione di difficoltà sul piano regionale data la concomitanza di guerre lungo i suoi confini (in Sudan e a Gaza) che esercitano pressioni di sicurezza notevoli. A ciò, bisogna aggiungere le ripercussioni commerciali del calo dei traffici marittimi da e per il Canale di Suez, causati della campagna militare delle milizie yemenite Houthi nel Mar Rosso. Il tutto, però, senza perdere di vista la più prominente tra le minacce di sicurezza per il Paese nordafricano: impedire che Addis Abeba eserciti un controllo diretto sulle acque del Nilo attraverso la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), il complesso di dighe sul Nilo Azzurro, principale affluente del grande fiume africano che ha origine dalle pendici dell’Altopiano etiopico. Da qui proviene circa l’85% delle acque del Nilo in Egitto (circa il 98% delle risorse idriche del Paese); in termini numerici, l’indispensabilità del fiume per l’economia egiziana si percepisce tenendo conto del fatto che, dall’agricoltura al settore industriale, circa il 20% del PIL nazionale proviene dalle attività nella zona del Delta del Nilo, arrivando a circa il 30% se si allarga lo spettro al resto del Paese. Anche per questo motivo, il Cairo è fortemente esposto nella nuova fase della guerra civile sudanese e attivo in favore delle Forze Armate Sudanesi (SAF) guidate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan, contro le Forze di Supporto Rapido (RSF) di Mohamed Hamdan Dagalo (conosciuto come Hemedti), vicine per opportunità all’Etiopia ed altri attori esterni (Emirati Arabi Uniti su tutti).

Se a guidare l’azione egiziana è, quindi, un senso di minaccia percepita accresciuta negli ultimi tempi a causa dell’intraprendenza dell’Etiopia – in quanto ritenuto quale il principale competitor del Cairo nella regione –, a questo background si aggiungono, inoltre, le tensioni più recenti che hanno contribuito a destabilizzare contesti già fratturati (il Sudan pocanzi citato) o critici (la Somalia e l’area del Tigray in Etiopia) nei quali si inserisce anche l’azione diplomatica a tenaglia guidata dal Paese nordafricano. Ad aver spinto questi attori nella sfera d’influenza egiziana sono state una serie di accadimenti avvenuti nel corso dell’ultimo anno che hanno coinvolto direttamente l’Etiopia. In questo caso è stata l’esigenza avanzata da Addis Abeba per un accesso sicuro al Mar Rosso ad aver allarmato i governi di Mogadiscio e Asmara. Infatti, nel gennaio 2024, per assicurarsi uno sbocco marittimo a ridosso del Golfo di Aden, l’Etiopia ha stretto un memorandum con il governo separatista del Somaliland, che in cambio della concessione del porto di Berbera chiedeva un riconoscimento alla sua indipendenza dalla Somalia come attore legittimo. Tale situazione ha scatenato la reazione di Mogadiscio, che reputa il territorio in questione come soggetto alla propria sovranità statale. Una diatriba che è sfociata fin da subito in una forte contrapposizione tanto da contribuire ad agitare il clima già surriscaldato di tensione regionale, del quale ne ha approfittato l’Egitto. A cavallo di agosto e settembre 2024, il Cairo ha deciso di schierare un proprio contingente militare per prendere parte all’African Union Support Mission in Somalia (AUSSOM), mandato di peacekeeping in territorio somalo coordinato dall’Unione Africana in sostituzione dell’African Union Transition Mission in Somalia (ATMIS, prossima al termine nel dicembre 2024), seguita dal successivo invio di armi ed equipaggiamenti destinati a Mogadiscio – ufficialmente – per contrastare gli attacchi delle milizie terroristiche di al-Shabaab. Uno sviluppo che ha scatenato la protesta dell’Etiopia (e i dubbi di altri attori regionali, tra cui l’Uganda) alimentata da una percezione di accerchiamento.

Dal punto di vista dell’Eritrea, invece, il tentativo etiopico di beneficiare delle rendite potenziali derivanti da una delle rotte commerciali più trafficate al mondo è stato interpretato come un’occasione per tagliare fuori i propri porti, anticipando la possibilità per le imbarcazioni interessate agli scali, rifornimenti e al commercio verso l’entroterra. Una questione non trascurabile nei rapporti tra Eritrea ed Etiopia, al fine di valutare una possibile evoluzione dello scenario regionale, riguarda la passata collaborazione tra i due Stati durante la guerra del Tigray (2020-2022) e il precedente supporto fornito da Asmara per combattere al fianco di Addis Abeba contro il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray (TPLF). L’accordo di pace di Pretoria (2022), che stabiliva la smilitarizzazione della regione e l’abbandono del territorio da parte delle milizie esterne (tra cui elementi dell’esercito eritreo), non è stato accolto con favore da Afwerki, dal momento che il leader eritreo sperava in una sconfitta totale del TPLF per garantire la sicurezza dei propri confini. Il compromesso favorito dall’Etiopia, che ha portato alla costituzione di un governo ad interim tigrino depennando l’eliminazione del TPLF dalle condizionalità, ha irrigidito i rapporti con Asmara, che da quel momento si è progressivamente allontanata dall’intesa raggiunta durante il conflitto contro gli insorti. La tenuta degli accordi di Pretoria sembra al momento più fragile che mai, in ragione del fatto che all’interno dello stesso TPLF si è consumata una rottura tra i vertici del partito e il governo tigrino, che sulla carta doveva assicurare un canale di comunicazione pacifico con le istituzioni centrali di Addis Abeba. Nell’ultimo periodo, sono stati segnalati contemporaneamente nuovi scontri al confine tra le forze Amhara (legate al governo centrale etiope) e gli insorti del Tigray, indice che la tensione manifestatasi nei canali politici del TPLF ha reali conseguenze anche per quanto concerne la complessiva stabilità dell’accordo di pace, che ha posto fine al sanguinoso conflitto con il governo centrale.

Nonostante le escalation verbali e le azioni securitarie sul fronte regionale da parte del Cairo per acuire il senso d’isolamento etiopico, anche attraverso le fratture esistenti, non dovrebbero comportare, almeno nell’immediato, uno scenario di conflitto aperto tra le parti; d’altronde, però, i segnali di un crescente aumento della tensione sono individuabili e confermati fino ad ora solo attraverso formulazioni congiunte d’intenti e minacce più o meno esplicite rivolte alla controparte. L’impressione è che lo scontro possa riversarsi piuttosto attraverso canali indiretti, fomentando dall’interno i principali focolai di crisi tanto in territorio etiopico (nel Tigray) quanto in prossimità dei confini con lo Stato somalo (magari acuendo le frustrazioni dei somali dell’Ogaden nei confronti del governo di Addis Abeba).

Un’ultima considerazione per visualizzare la cornice all’interno della quale si sta consumando questa pericolosa competizione, riguarda il ruolo delle potenze esterne interessate al quanto sta accadendo nel Corno d’Africa: da una parte, la Turchia, che recentemente ha riallacciato i rapporti con l’Egitto, ha rinnovato l’interesse a investire in Somalia, dove le opportunità di sfruttare giacimenti di gas e petrolio al largo delle coste si uniscono ai numerosi progetti che Ankara ha promosso in territorio somalo negli ultimi anni (dalle infrastrutture civili ad accordi nel settore della difesa). Sul fronte etiopico, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno mostrato maggior interesse a sostenere la stabilità di Addis Abeba, promuovendo ad agosto un accordo tra le rispettive Banche Centrali per regolare lo scambio di valute locali, i sistemi di pagamento e di messaggistica, senza dimenticare gli ingenti investimenti che ammontano a quasi 3 miliardi di dollari nel settore chimico, farmaceutico, alimentare e dell’alluminio. Tuttavia, gli EAU sono anche un importante partner politico e commerciale dell’Egitto, verso il quale sono fortemente esposti economicamente tanto da aver investito 35 miliardi di dollari nel settore del real estate (marzo 2024) per promuovere un salvataggio internazionale di sistema del Paese nordafricano. In questa prospettiva, Abu Dhabi potrebbe avere interesse a favorire una de-escalation nei rapporti tra il Cairo e Addis Abeba in modo da tutelare anche le ambizioni e i progetti emiratini tra Africa Orientale e Mar Rosso.

Sullo sfondo di questa complessa partita c’è da aggiungere, per concludere, il persistente conflitto nel Sudan: non si può escludere infatti l’imprevedibile esito di centinaia di migliaia di persone che fuggono dalla guerra. Un’ulteriore crisi nel Corno d’Africa, date queste premesse, avrebbe ripercussioni non solo in termini umanitari e regionali, ma tenendo conto della posizione geografica, dell’aumento esponenziale dei flussi migratori e dei possibili vuoti di potere colmati da milizie che potrebbero beneficiare dalla destabilizzazione del quadrante (si pensi al sospetto avvicinamento tra Houthi e al-Shabaab), gli effetti di questa pericolosa contesa si potrebbero estendere a livello mondiale dal punto di vista commerciale, ed europeo per un disastroso “effetto domino” in termini migratori e di sicurezza.

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