Lo Scarboroug Shoal e le tensioni tra Cina e Filippine
Il 10 aprile scorso, una nave da guerra della Marina delle Filippine ha tentato di arrestare dei pescatori cinesi durante la loro attività a largo delle isole di Scarborough Shoal, venendo, però, fermata da alcuni pattugliatori della Marina di Pechino. Il 9 maggio, invece, trentadue di queste imbarcazioni di sorveglianza cinesi hanno impedito a loro volta il passaggio e l’attività di pesca a delle imbarcazioni filippine nella stessa area. Questi episodi rientrano entrambi nell’ambito della disputa tra i due Paesi su queste isole e, più in generale, sulle rivendicazioni della Cina su tutta l’area del Mar Cinese Meridionale.
Le Scarborough Shoal, in cinese isole Huangyan e in filippino isole Panatag, sono situate nel Mar Cinese Meridionale, a 100 miglia nautiche dalle coste filippine ed a 500 da quelle cinesi e rientrano, dunque, nella ZEC (Zona Economica Esclusiva) di Manila. Il governo di Pechino, però, le ha da sempre reclamate come rientranti sotto la propria sovranità, in virtù di ragioni storiche riguardanti la loro scoperta da parte di esploratori cinesi. Simili argomentazioni di carattere storico sono invocate anche da Taiwan, altro Paese che reclama la sovranità sui territori contesi.
Le Scarborough Shoal, assieme alle Isole Spratly e alle Isole Paracels formano un “triangolo energetico” che disporrebbe, secondo stime cinesi, di 213 miliardi di barili di petrolio (un potenziale pari a circa l’80% delle risorse dell’Arabia Saudita) ed addirittura un quantitativo maggiore di gas naturale. Si tratta di risorse idrocarburiche in grado, qualora acquisite, di soddisfare l’ingente fabbisogno energetico cinese e ridurre drasticamente le importazioni.
Se, infatti, la Cina nel lungo periodo riuscisse a sfruttare con successo l’intera area, diverrebbe il secondo produttore di petrolio mondiale, superando il Venezuela con circa 227 miliardi di barili di riserve. Pechino ha quindi tutto l’interesse a ottenere la piena sovranità dell’area, a maggior ragione ora che vive un periodo della sua storia economica in cui deve fronteggiare una forte inflazione dovuta alla crescita esponenziale del proprio ceto medio. Essendo un acquirente di petrolio con una domanda perennemente in crescita (la stima del 2011 è di 9 milioni di barili al giorno), la possibilità di controllare un tale quantitativo di risorse energetiche le permetterebbe di alimentarsi direttamente da fonti interne. Il risultato conseguente sarebbe una riduzione dei costi di produzione ed un calmieramento così del livello dei prezzi nel mercato interno, fonte di preoccupazione delle autorità cinesi a causa dell’impatto dell’inflazione sul costo della vita.
Oltre che sulle Scarborough Soal, le rivendicazioni cinesi riguardano anche l’area della Reed Bank, dove la PPPC (Philippines’ Philex Petroleum Corp) ha recentemente rivisto le stime sulle riserve di gas nel giacimento di Sampaguita, dichiarando un quantitativo potenziale di 20 trilioni di metri cubi anziché gli iniziali quattro trilioni. Pur non facendo parte dell’area contesa delle isole Spratly, la Reed Bank, essendo situata in quell’ampio braccio di mare completamente rivendicato da Pechino, potrebbe essere anch’essa motivo di tensione.
Un’ulteriore fonte di preoccupazione per le Filippine e per tutti i Paesi rivieraschi sono i recenti successi cinesi nel settore estrattivo. Pechino, infatti, lavora da tempo per limitare la sua dipendenza dai partner stranieri per quanto riguarda l’estrazione petrolifera e lo scorso 9 maggio la CNOOC (China National Off-shore Oil Corporation) ha iniziato le trivellazioni della prima stazione estrattiva off-shore completamente cinese. Questa, la HYSY 981, situata nella depressione del Baiyun, 320 km a Sudest di Hong Kong, è una piattaforma petrolifera di sesta generazione in grado di operare in mari profondi fino a 4300 metri e di scavare pozzi di circa 18000 metri di lunghezza. Un ulteriore miglioramento delle capacità tecnologiche di settore, da considerarsi possibile in virtù del caso della la HYSY 981, darebbe a Pechino la possibilità di operare senza l’aiuto di partner internazionali in ogni singola parte del Mar Cinese Meridionale, che raggiunge la profondità massima di 5490 metri.
Le rivendicazioni e gli ultimi avvenimenti hanno fatto sì che le relazioni sino-filippine siano peggiorate. Nonostante un recente accordo sui diritti di pesca nell’area della Scarborough Shoal (di fatto una tregua consistente nel divieto all’attività per i pescatori di entrambi i Paesi), il contrasto si è manifestato, in particolare, sottoforma di “guerra commerciale”, poiché Pechino, nei primi giorni di maggio, ha imposto il blocco dei viaggi nelle Filippine ad alcuni tour operator nazionali ed aumentato i controlli sulle importazioni dei prodotti agricoli di provenienza filippina.