Conflitto tecnologico Stati Uniti-Cina: lo stato attuale dei controlli americani sulle tecnologie critiche
Il 2 dicembre 2024, il Bureau of Industry and Security (BIS), l’Agenzia del Dipartimento del Commercio responsabile della sicurezza tecnologica nazionale, ha annunciato il terzo e ultimo pacchetto di sanzioni dell’Amministrazione Biden. Questo aggiornamento modifica le regolamentazioni del 7 ottobre 2022 e del 17 ottobre 2023, ampliandone la portata per superare alcuni limiti legali. Al centro della nuova tornata vi sono i chip di memoria ad alta larghezza di banda (HBM), una componente cruciale, insieme ai chip logici, nell’architettura delle unità grafiche (GPU) utilizzate nei processi computazionali delle intelligenze artificiali (IA). Inoltre, le nuove misure includono 23 ulteriori tipologie di microchip e riscrivono in modo sostanziale le normative sui prodotti diretti all’estero (FDPR). Quest’ultima disposizione consente al BIS di estendere le sanzioni anche ad attori privati stranieri che utilizzano tecnologie o proprietà intellettuali americane.
Il tema è tornato al centro dell’attenzione con il recente lancio del Mate 70 di Huawei, che dimostra come il colosso tecnologico cinese, sanzionato nel 2019 per il suo ruolo nello sviluppo del 5G, sia riuscito ad aggirare alcune restrizioni imposte negli ultimi cinque anni. L’inserimento di Huawei nella Entity List del BIS aveva interrotto la collaborazione con TSMC, leader taiwanese nella produzione di chip logici avanzati, e con Google, limitando l’accesso alle versioni complete di Android. Nonostante ciò, Huawei ha mostrato una notevole resilienza, sviluppando e lanciando sul mercato HarmonyOS Next, un sistema operativo interamente prodotto in casa, segnando così la totale indipendenza del gigante cinese dal software statunitense. Parallelamente, il processore del Mate 70, dotato di un chip da 6 nanometri, rappresenta un progresso inatteso nel campo hardware, superando le stime americane che fissavano a 7 nanometri il limite ingegneristico dell’industria cinese. In tal senso, i recenti progressi di Huawei e SMIC rivelano alcune criticità nelle misure di contenimento americane. Le sanzioni hanno infatti rafforzato la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato in Cina, accelerando lo sviluppo interno di tecnologie strategiche a doppio uso. Se in passato iniziative come il piano Made in China 2025 avevano prodotto risultati inferiori alle aspettative, oggi le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sembrano aver stimolato una maggiore efficienza.
Sebbene l’amministrazione Biden sia riuscita a consolidare alleanze strategiche con partner come Taiwan, Giappone e Olanda, permangono difficoltà legate all’indebolimento della competitività economica e innovativa di alcune aziende chiave. Le limitazioni sui chip HBM, ad esempio, rischiano di penalizzare produttori sudcoreani come SK Hynix e Samsung, ostacolando le loro esportazioni verso la Cina. Allo stesso tempo, anche il settore privato americano subisce contraccolpi, a causa della dipendenza dalla manodopera cinese e dal mercato della Repubblica Popolare, che rappresenta una fetta significativa del fatturato di molte aziende. Un caso emblematico è quello di NVIDIA, che ha sviluppato una GPU (A800) conforme ai limiti prestazionali stabiliti dal BIS, dimostrando come le aziende americane cerchino di aggirare le restrizioni pur rimanendo nei limiti legali. Le capacità di lobbying dell’industria statunitense dei semiconduttori, rappresentata dalla Semiconductor Industry Association, costituiscono un fattore rilevante che impedisce al BIS di chiudere completamente le lacune normative.
Parallelamente, il Congresso ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel plasmare la strategia americana di contenimento verso la Cina, consolidando la priorità della sicurezza tecnologica. L’ascesa di figure chiave come Mike Waltz e Marco Rubio, rispettivamente nominati National Security Advisor e Segretario di Stato nella nuova amministrazione, riflette questa tendenza. Inoltre, l’istituzione del Comitato sul Partito Comunista Cinese nel 2023, un’unità bipartisan incaricata di analizzare le minacce del PCC alla sicurezza nazionale americana, ha ulteriormente rafforzato il ruolo del Congresso. Un esempio significativo è la lettera inviata al BIS da Michael McCaul, Presidente del Comitato per gli Affari Esteri, nella quale si denunciava il ruolo di SMIC, il maggiore produttore cinese di semiconduttori, nell’eludere le norme del BIS. McCaul ha suggerito di colpire anche le tecnologie impiegate nella produzione di semiconduttori legacy, ampliando così il raggio d’azione delle sanzioni. Questo crescente coinvolgimento del Congresso ha contribuito a un cambio di strategia della Casa Bianca: dall’obiettivo di bloccare esclusivamente le tecnologie avanzate al tentativo di limitare ogni capacità innovativa cinese. Ciononostante, questa strategia rischia di incontrare ostacoli nel settore privato e tra gli alleati, che temono danni economici collaterali.
Nel complesso, malgrado i successi di Huawei e SMIC, la Cina resta in ritardo nella corsa all’innovazione tecnologica. Tuttavia, Pechino possiede un vantaggio significativo nell’upstream della catena del valore e ha risposto prontamente alle sanzioni americane del 2 dicembre con restrizioni sull’export di gallio, germanio e antimonio verso gli Stati Uniti. Questi materiali, fondamentali per l’industria dei semiconduttori e della difesa, rappresentano una valida alternativa al silicio in termini di efficienza energetica e prestazionale. La Cina, leader globale nella produzione di gallio (59,2%), germanio (98,8%) e antimonio (48%), sfrutta così il suo controllo su queste risorse per ampliare la frattura nelle catene del valore strategiche tra le due potenze.
Questa mossa costringe gli Stati Uniti a trovare soluzioni alternative per ridurre la dipendenza da materie prime cinesi, essenziali per programmi come il CHIPS and Science Act e l’Inflation Reduction Act. Nel futuro, entrambi i Paesi cercheranno di utilizzare i propri vantaggi nelle rispettive filiere per danneggiare il rivale. Per Washington, sarà cruciale bilanciare la sicurezza nazionale con il sostegno al settore privato, rafforzando al contempo le alleanze internazionali. Strutture multilaterali come il Chip 4 Alliance (C4), che unisce Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone e Taiwan, rappresentano un passo in avanti in tale direzione, anche se persistono ancora troppe incertezze sulla definizione di una strategia comune tra i membri.