La "Via della Seta" raggiunge l'America Latina?
Durante l’ultimo decennio, nel quadro della sua enorme espansione commerciale e finanziaria, la Cina ha consolidato le sue relazioni con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi (LAC), divenendo un fattore significativo nello sviluppo economico della regione.
Nel 2004, Pechino è divenuto osservatore permanente all’Organizzazione degli Stati Americani e membro dell’Inter-American Development Bank (IDB) nel 2009, oltre a partecipare attivamente ai lavori della Economic Commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC) nel corso dell’ultimo decennio.
Il primo summit ministeriale del forum tra la Cina e la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC) ha avuto luogo a Pechino nel gennaio 2015. Ne è risultata la stipula di un accordo di cooperazione (2015-19) incentrato sulla crescita annua del commercio bilaterale fino a $500 miliardi, insieme all’aumento del volume dei finanziamenti diretti esteri (FDI) cinesi nella regione fino a $250 miliardi.
Ad oggi, il “dragone asiatico” rappresenta la seconda fonte di import per il LAC (dopo gli Stati Uniti) ed il suo terzo mercato d’export (dopo USA e Unione Europea).
In particolare, rappresenta il principale destinatario di export di Brasile, Cile e Perù; il secondo di Argentina e Venezuela; mentre ha stipulato accordi di libero scambio con il Cile nel 2006, e con Costa Rica e Perù nel 2011.
Le esportazioni latinoamericane in Cina rispondono alla forte domanda cinese di materie prime a sostegno dello sviluppo. Di converso, le esportazioni cinesi verso la regione LAC si sono incentrate su forniture di media-alta tecnologia, costituenti circa il 60% delle esportazioni totali verso la regione nell’ultimo decennio.
Tra il 2000 e il 2014 il commercio bilaterale LAC-Cina è aumentato ad un tasso annuale del 26% - passando da $12 a $260 miliardi – in cui l’export verso Pechino è salito dal 2% al 9%, mentre l’import dal 2% al 16%.
Secondo i dati dello UN Comtrade (United Nations Commodity Trade Statistics Database) riferiti al periodo 2010-14:
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Le esportazioni LAC-Cina hanno riguardato principalmente (al 69,7%): rame (21,8%), ferro (19%), soia (18%) e petrolio grezzo (11%);
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Le esportazioni Cina-LAC si sono espresse in preponderanza (al 22,5%) attraverso 5 tipologie di commodities: attrezzature Telecom (9,7%), macchine di elaborazione dati (3,8%), navi/barche/strutture galleggianti (3,3%), strumenti ottici (3,3%) e petrolio raffinato (2,3%).
Da sottolineare che tale trend è aumentato in corrispondenza di una caduta del PIL LAC nel periodo 2012-15 dal 2,6% all’1%, e della decelerazione cinese tra il 2010-15 dal 10,4% al 6,7%.
Nel 2015, la regione LAC ha esportato beni in Cina per un valore pari a $109 miliardi, mentre le importazioni di prodotti si sono attestate sui $139 miliardi, generando un deficit in beni dello 0,6% del PIL regionale. Una stima rimasta quasi invariata rispetto al 2014, in cui i valori di export e di import furono rispettivamente $108,5 e $143 miliardi, con un deficit in beni dello 0,5%.
Mentre, dal 2013 con il lancio della nuova “Via della Seta” e delle strategie legate alla One Road One Belt, il governo cinese ha investito per migliorare e potenziare le infrastrutture oltre le sue frontiere – progetto in cui rientra l’America Latina.
Questi investimenti derivano dalla capitalizzazione della China Development Bank (CBB), della China Export-Import Bank (Chexim), e dall’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB).
Il prestito cinese per il LAC ha raggiunto un picco di $29,1 miliardi nel 2015, oltre all’annuncio di nuove piattaforme finanziarie:
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Tre fondi di sviluppo da $35 miliardi in credito per cooperazione e sviluppo industriale;
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Il China-LAC Industrial Cooperation Investment Fund con una iniziale apertura al credito da $10 miliardi;
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Lo Special Loan Program da $20 miliardi per progetti nel settore delle infrastrutture.
Per quanto concerne i finanziamenti cinesi nel LAC - diretti in prevalenza verso Brasile, Argentina e Venezuela – risultano anch’essi notevolmente aumentati negli ultimi anni: da $3.8 miliardi nel 2012 a $12.9 miliardi nel 2013, fino a raggiungere i $22.1 miliardi nel 2014.
Secondo il Financial Times, nel 2015 la Cina ha finanziato nuovi progetti in America Latina attraverso investimenti diretti (greenfield FDI, o GFDI) per un totale di $4,6 miliardi, di concerto a $49.9 milioni investiti in Fusioni e Acquisizioni (M&A).
Nei nuovi progetti di greenfield FDI nel LAC tra il 2011-15, il 18% degli investimenti cinesi ha interessato l’agricoltura - $5,6 dei $31,3 miliardi totali - comparata con il solo 2% degli investimenti degli altri Paesi - $6,7 dei $335,8 miliardi totali.
Di converso, in America Latina la Cina ha investito circa il 20% ($6,3 miliardi) del GFDI totale in prodotti industriali, a dispetto del 30% ($100,74 miliardi) dei restanti Paesi.
Tra i nuovi progetti sono da annoverare: il parco industriale Capital de las Ciencias nello stato di Jalisco, Messico, la doppia ferrovia collegante Perù, Brasile (ed eventualmente la Bolivia, per la possibilità che esporti il suo gas in Brasile) ed il canale del Nicaragua.
Quest’ultimo, che dovrebbe collegare l’Oceano Atlantico con il Pacifico fungendo da alternativa al canale di Panama, rappresenta il più grande progetto cinese in America Latina fino ad oggi, attraverso un pacchetto di investimenti da $40 miliardi.
Per quanto concerne i finanziamenti cinesi di M&A nel LAC, negli ultimi 5 anni i 3/4 si sono concentrati nel settore estrattivo - $13,8 dei $18,1 miliardi totali - mentre i 3/4 degli investimenti dei restanti Paesi ha agglomerato il settore dei servizi ($150,1 dei $208,5 miliardi totali).
In ultimo, rileva il fatto che le banche di sviluppo economico cinesi investano più in America Latina di quanto non facciano la Banca mondiale e la Inter-American Development Bank insieme. Ne è la prova il fatto che, ad oggi, la Cina costituisce la maggiore risorsa di linee di credito internazionale per l’Ecuador, il Venezuela e l’Argentina.
Nonostante il rapporto tra l’America Latina e la Cina sembri apparentemente proficuo, vi sono insiti dei lati oscuri al suo interno.
Difatti, l’alta concentrazione nel settore agricolo ed estrattivo nell’export LAC:Cina ha prodotto un innalzamento delle emissioni di gas serra del 12%, quasi raddoppiato il consumo d’acqua ed accentuato la stratificazione sociale - approfittando del basso costo del lavoro e degli incentivi statali alle imprese pubbliche - in America Latina.
Da un lato, impresari latinoamericani hanno lamentato la reprimarization e recommodification dell’economia LAC (ossia il ritorno ad un modello basato principalmente sull’esportazione di commodity), che ha portato al fallimento della regione nel miglioramento della sua struttura economica, ed in cui l’esportazione di grandi quantità di materie prime verso la Cina ha giocato un ruolo importante. D’altra parte, molti latinoamericani hanno iniziato a temere che la nuova andatura economica cinese si tradurrà in una minore domanda di materie prime, smorzandone i prezzi sul mercato mondiale e riducendone i proventi che la regione ricava dalla sua esportazione.
Difatti, la bilancia commerciale sino-latinoamericana presenta un retroscena minaccioso per l’economia della regione, imperniata su fonti energetiche esauribili ed alla mercé di cambiamenti repentini dei prezzi causati dalle nuove congiunture internazionali (es. il caso del prezzo del petrolio correlato negativamente all’instabilità in Medio oriente).
Allo stesso tempo, la Cina dovrebbe cautelare i suoi investimenti in Paesi sudamericani dove l’incertezza economica, l’instabilità politica e la corruzione radicata nel settore pubblico – esempio lampante costituisce il Venezuela – ne aumentano vertiginosamente il tasso di rischio.
Di converso Pechino, esportando prodotti manifatturieri nella regione, si preserva dalla spirale della volatilità dei prezzi e punta ad accelerare la trasformazione della sua modalità di sviluppo economico, della modernizzazione delle sue industrie e a garantire lo sviluppo stabile della sua economia, ritornando (in senso lato) a quel periodo di potenza e benessere conosciuto come Fuqiang.
Tale obiettivo è perseguito attraverso l’acquisizione di imprese in settori strategici estrattivi – ne costituiscono esempio i colossi Sinopec, CNPC e CNOOC - al fine di controllare le esportazioni di materie prime in America Latina (funzionali alla crescita cinese).
Infine, sembra che la virata cinese nel LAC sia stata percepita all’interno della comunità internazionale come un modo per controbilanciare la potenza statunitense. In realtà quest’ultima, detenendo il primato assoluto in termini di rapporti economico-commerciali con la regione, non può che giovare della nuova congiuntura, in relazione soprattutto all’apertura del canale nicaraguense. Un fattore di criticità tra le due superpotenze potrebbe scaturire dall’eventuale dispiegamento di navi cinesi nel canale, a protezione degli interessi di Pechino, scelta che potrebbe suscitare una dura reazione da parte della Casa Bianca, poco propensa ad assistere ad un rafforzamento della presenza cinese alle soglie di casa.