Il ruolo delle minoranze etniche e religiose in Iraq
La questione delle minoranze etniche e religiose in Iraq è un tema ancora molto sentito e percepito come profondamente divisivo in buona parte della popolazione. Questioni che affondano le proprie radici ben al di là nel tempo e che soprattutto nei decenni di potere di Saddam Hussein (1979-2003) hanno trovato una grande eco internazionale per via delle violenze condotte nei confronti delle popolazioni curdo-irachene presenti nel nord del Paese. Dopo la destituzione del Rais nel 2003, per effetto della guerra condotta dalla coalizione internazionale a guida statunitense-britannica, la questione della tutela delle minoranze ha continuato a scontare veti contrapposti da parte di tutte le comunità. Infatti, nel periodo intercorso tra la fine del regime di Saddam Hussein e il tentativo di procedere ad una transizione democratica nel Paese (2003-2013), la questione delle minoranze è sempre stata al di fuori delle priorità dell’agenda politica del governo centrale. In quel periodo, le politiche sempre più assertive e settarie attuate dall’allora Primo Ministro, Nouri al-Maliki, alla guida di un governo a maggioranza sciita, hanno favorito non solo la marginalizzazione della componente arabo-sunnita, al potere nel Paese sin dagli anni Venti del Novecento, ma hanno prodotto un accentramento del potere decisionale nell’ufficio del Premier, il quale si è servito di alcune frange delle forze di sicurezza per intimidire i propri avversari politici e reprimere ogni dissenso, anche nei confronti delle minoranze etnico-religiose (e per lo più cristiane).
Una condizione che se da un lato ha favorito una netta lottizzazione di potere tra i tre principali gruppi etnico-religiosi nazionali (sunniti, curdi e sciiti), de facto ha scontentato le altre realtà sul territorio, indebolendole da un punto di vista della legittimità e del riconoscimento di tutele e diritti. In questo contesto si è inserito e ha potuto germogliare la furia iconoclasta dello Stato Islamico (dal 2013), il quale si è caratterizzato non solo per un radicalismo ideologico e fondamentalista, ma anche per una diffusa pratica di violenze generalizzate contro tutte quelle popolazioni locali minoritarie (in particolare nei confronti di Cristiani e Yazidi), ritenute infedeli e/o miscredenti. Non a caso il tema della tutela delle minoranze risultava essere centrale nella nuova Costituzione del 2005, ma questa non ha mai adeguatamente trovato una attuazione sul piano pratico per mere motivazioni politiche. Proprio il peculiare sistema iracheno, basato sulla debolezza delle istituzioni, sulla frammentarietà e il settarismo, vede in questi elementi di fragilità delle caratteristiche intrinseche e connaturate alla storia del Paese e allo stesso progetto imperfetto di state-building nazionale, che determina ancora oggi il vero nodo gordiano attorno al quale rimangono irrisolte la gran parte dei temi di acredine politico.
Il presente lavoro, pertanto, cercherà di presentare attraverso una panoramica agile e snella dove sono presenti i principali gruppi etnico-religiosi presenti nel Paese, ma al contempo cercherà di problematizzare le questioni all’interno del tortuoso contesto nazionale iracheno. Altresì, tra le comunità in esame non saranno prese in considerazione le tre principali componenti (sunniti, sciiti e curdi) al fine di poter individuare un percorso comune rispetto agli altri gruppi, parti in causa delle diverse dimensioni conflittuali in Iraq e attori non adeguatamente rappresentati nelle fragili istituzioni nazionali. Proprio questo contesto ha contribuito a palesare l’esistenza di un vuoto politico e di sicurezza, che inevitabilmente ha investito in toto o in parte queste realtà nei recenti accadimenti dell’ultimo decennio. Di fatto, il lavoro delineerà una fotografia d’insieme dei soggetti presenti per individuare interessi e obiettivi politici, spiegando quali sono i fattori alla base dell’impegno di queste comunità e quali le implicazioni nello scenario nazionale.