Il fattore petrolifero nelle relazioni tra Baghdad e governo del Kurdistan iracheno
L’11 aprile, il Ministero del Petrolio iracheno ha annunciato di aver definito tutte le misure necessarie per una gestione coordinata degli idrocarburi nel nord dell’Iraq tra la State Organization for Marketing of Oil (SOMO) – la compagnia petrolifera nazionale – e le autorità regionali curde, come previsto dalla sentenza del 15 febbraio scorso da parte della Corte Suprema Federale.
Negli ultimi anni, la gestione delle risorse petrolifere dell’Iraq è stata frequentemente posta al centro del dibattito nazionale. La regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG) possiede, infatti, circa un terzo delle riserve totali del Paese, situate soprattutto nell’area di Kirkuk, contesa tra governo locale e autorità centrale di Baghdad. Al fine di difendere la propria autonomia nella gestione delle risorse, il KRG si è più volte scontrato con il governo federale. Una lotta, questa, che va però contestualizzata all’interno del più ampio scenario politico nazionale e mediorientale in cui, appunto, molti Paesi temono le spinte autonomistiche portate avanti dal KRG. In coerenza con queste preoccupazioni, il governo federale iracheno è convinto che i curdi, se dotati di libero accesso ai proventi del loro export di petrolio, potrebbero portare avanti con ancora maggior forza il progetto politico indipendentista, i cui effetti spillover potrebbero colpire per analogia anche gli altri Paesi vicini che possiedono al loro interno minoranze etniche curde. Tra questi vanno menzionati i casi della Turchia, dell’Iran e della Siria, realtà che presentano importanti comunità curde tuttavia molto differenti tra di loro per grado di inclusione/esclusione rispetto al potere centrale del singolo Stato di riferimento, nonché per le capacità di gestione e autonomia nella governance locale sempre in opposizione al governo politico nazionale.
Per questo motivo, lo scontro tra il governo federale e quello locale in Iraq non può essere considerato un fattore strettamente economico privo di una certa rilevanza a livello politico. Proprio in anni recenti – e, più precisamente, nel 2017 – il conflitto si è intensificato notevolmente a seguito del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno che ha ottenuto il 92% dei voti favorevoli, ma non è stato mai riconosciuto da nessuno organismo politico del Paese o del resto della regione MENA. In risposta a ciò, invece, la reazione di Baghdad è stata molto dura, tanto da imporre tutta una serie di misure repressive, occupare l’area di Kirkuk nella dimensione nazionale e produrre un isolamento politico della regione curdo-irachena.
Lo scontro per il controllo delle risorse è continuato fino ad oggi quando, il 15 febbraio 2022, la Corte Suprema Federale dell’Iraq ha emanato una sentenza che obbligava il KRG a consegnare le sue forniture di petrolio allo Stato centrale. La presa di posizione del Primo Ministro curdo, Masrour Barzani, è stata però ferrea. Il premier ha infatti definito l’atto della Corte una “sentenza politica” che “viola la Costituzione della regione autonoma curda” e, successivamente, ha ribadito che il Kurdistan iracheno continuerà ad esercitare i suoi diritti costituzionali nella gestione delle proprie riserve energetiche.
In questo contesto politico già particolarmente turbolento, il Ministero del Petrolio dell’Iraq ha ribadito la sua intenzione di voler dare seguito alle valutazioni della Corte Suprema. A tal fine, verrà istituita una nuova compagnia petrolifera che si occuperà di gestire i contratti precedentemente firmati dal governo curdo, che – secondo le parole del Ministro del Petrolio iracheno, Ihsan Abdul-Jabbar – dovranno comunque essere riesaminati. Questo nuovo soggetto diventerà l’organo di riferimento preposto a siglare contratti internazionali, apportando così una rivoluzione nella storia recente dell’Iraq, con impatti notevoli sul grado stesso di autonomia del KRG in materia di gestione delle risorse. Almeno per ora, però, la controparte curda sembra aver accettato questo status quo. Il Ministro di Stato della regione autonoma del Kurdistan ha affermato, in riferimento ai colloqui, che “questo può essere un buon punto di partenza per la cooperazione tra il Ministero del Petrolio iracheno e il Kurdistan”. Una dichiarazione, questa, che va però presa con estrema cautela, in virtù dei precari rapporti che legano Baghdad ed Erbil.
Al contempo, la decisione assunta dal Ministero del Petrolio iracheno potrebbe avere importanti risvolti politici nazionali, portando tutte le parti interessate a sfruttare tale contesto per promuovere le rispettive agende partigiane e settarie in opposizione, ad esempio, ad un compromesso possibile per la scelta del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro, situazioni che vivono una condizione di stallo profondo. Tale presupposto potrebbe incidere profondamente nell’attuale conformazione dell’alleanza parlamentare tripartita tra il blocco sadrista, il Partito Democratico del Kurdistan e gli altri attori sunniti. Infatti, qualsiasi tentativo di concessione sulla questione, soprattutto da parte dei sadristi, potrebbe essere utilizzato in maniera funzionale dal principale avversario del campo sciita, Nuri al-Maliki, capo della coalizione Stato di Diritto per cercare di ritornare al potere ed escludere la formazione di Moqtada al-Sadr dalla partita nazionale per la formazione del nuovo governo iracheno. Una situazione che espone, quindi, lo stesso al-Sadr dinanzi al rischio di dover gestire e subire la relazione con i partner curdi in un’ottica di interesse particolareggiato. Ancora una volta, dunque, il fattore petrolifero da elemento di bonanza rischia di tramutarsi in un elemento critico e strumento divisivo di lotta politica per la storia recente irachena.