Il ritorno del Califfo
Middle East & North Africa

Il ritorno del Califfo

By Staff Ce.S.I.
08.19.2014

Gli avvenimenti iracheni degli ultimi mesi, con la conquista di ISIS (Islamic State of Iraq and al-Sham, Stato Islamico in Iraq e nel Levate) di gran parte del nord e dell’ovest del Paese, hanno posto una serie di interrogativi sia sulla tenuta delle istituzioni statali e del sistema di sicurezza dell’Iraq, sia sulle effettive capacità del gruppo. Nel giro di 3 giorni, tra maggio e giugno, i miliziani di ISIS, che già a inizio del 2014 avevano imperversato nella provincia occidentale a maggioranza sunnita di Anbar, hanno preso il controllo di Mosul, grande città settentrionale sul confine con il Governo Regionale Curdo (KRG).

Successivamente, ISIS ha iniziato ad avanzare verso sud, conquistando numerosi villaggi nelle province di Kirkuk, Salahuddin e Diyala. In questa azione ISIS ha trovato una scarsa resistenza da parte dell’Esercito che, nella maggioranza dei casi, ha lasciato sguarnite caserme, postazioni e depositi, permettendo ai jihadisti di impadronirsi di mezzi, armi e munizioni, subito trasportati verso le roccaforti nelle regioni orientali della Siria. Alla base di questa “debacle” dell’Esercito vi è innanzitutto la scarsa preparazione dei soldati.

Infatti, nonostante i notevoli sforzi statunitensi di dotare Baghdad di una stabile struttura di sicurezza, questa ha mostrato i suoi limiti già all’indomani del ritiro delle truppe di Washington. L’insieme di corruzione, scarso senso delle istituzioni e divisioni settarie è stato la causa principale di questa situazione. Ad esempio, gli stanziamenti per la Difesa sono stati allocati per il rafforzamento di reparti direttamente controllati dal Premier Maliki (in particolare le forze speciali) oppure sono stati inviati direttamente ai reparti e utilizzati a piacimento dai Generali. In questo modo, le reali capacità dell’apparato di sicurezza sono nel tempo pian piano peggiorate. Inoltre, a favorire l’avanzata di ISIS è stato il profondo malcontento della popolazione sunnita irachena, malcontento causato dalle politiche settarie e personalistiche di Maliki. Il malumore della comunità sunnita ha esposto il Paese ai rischi del campanilismo settario degli attori più estremisti come ISIS.

Dunque, così come ad Anbar, dove ISIS ha avuto alleate le milizie tribali sunnite anti-governative, a Mosul il gruppo estremista ha usufruito della collaborazione di realtà parastatali locali. Tra queste, la Jaysh Rijal al-Tariqah al-Naqshabandia (JRTN - Esercito degli Uomini dell’Ordine di Naqshbandi), formazione baathista che, fin dalla caduta del regime di Saddam Hussein, ha animato l’insorgenza sunnita, guidata da Izzat Ibrahim al-Douri, ex vice del Rais, da anni rifugiatosi all’estero. La profonda instabilità politica e la precarietà econo-mica hanno favorito l’avvicinamento tra il fron-te jihadista e l’insorgenza sunnita contro il ne-mico comune rappresentato dal Governo Ma-liki. Inoltre, se si considera che a Mosul 2 dei Generali responsabili della sicurezza della cit-tà, il Generale Ghraidan e il Generale Gamber (ex ufficiali dell’Esercito di Saddam Hussein), si sono ritirati appena i miliziani di ISIS sono giunti alle porte della città e che a Tikrit i sim-patizzanti del vecchio regime sono in netta maggioranza sia tra la popolazione che nelle istituzioni, si può intuire come, al di là delle pro-prie capacità, l’avanzata fulminea di ISIS sia stata possibile anche grazie a fattori terzi.

Infatti, laddove non si è creata la saldatura tra ISIS e malcontento locale sunnita, il gruppo jihadista ha avuto maggiori problemi e ha trovato una resistenza più ostica. Ad esempio, a Kirkuk, cittadina che fin dalla caduta di Saddam è stata contesa tra il governo centrale e il KRG, i miliziani jihadisti non sono riusciti ad entrare e, anzi, hanno subito una pesante sconfitta ad opera dei Peshmerga che, grazie alla propria preparazione e conoscenza del territorio, hanno respinto ISIS e preso rapidamente il controllo della città lasciata sguarnita dall’Esercito Iracheno. Una situazione simile a quella di Kirkuk si è creata anche in alcune zone delle province di Salahuddin e di Diyala, dove è forte la presenza sciita. Il fattore importante da sottolineare è che l’azione delle milizie sciite irachene è stata fondamentale per il supporto alle forze di sicurezza nazionali che, in alcuni casi, sono state in grado di respingere ISIS, come ad esempio a Muqdadayah e Dhuluiya. Sull’onda dell’avanzata di ISIS verso Baghdad, ma soprattutto a causa della possibile minaccia portata alla città di Samarra, centro sulla strada che da Tikrit porta verso la capitale e sede della moschea di al-Askari, le milizie sciite si sono mobilitate nel giro di una settimana. Questa velocità è dovuta al fatto che milizie come quella legata al movimento Badr, la Brigata del Giorno Promesso di Moqtada al-Sadr e la Lega dei Giusti (Asaib Ahl al-Haq), gruppo paramilitare controllato dall’Iran e comandato dall’iracheno Qais al-Khazali, si erano già attivate nel Paese in occasione delle elezioni politiche dell’aprile scorso. A favorire la mobilitazione sciita sono state le parole del Grande Ayatollah Sistani, maggiore esponente dello sciismo iracheno della scuola di Najaf che, dopo la presa di Mosul e Tikrit, ha invitato la comunità sciita a impugnare le armi contro ISIS. L’autorevole chiamata ha permesso alle milizie sciite di rafforzare notevolmente le proprie fila, come testimoniato dalle lunghe colonne di volontari all’aeroporto di Baghdad nonché dalla formazione, a Bassora, di un corpo di 13.000 volontari che si è schierato a protezione della caserma della 14a Divisione dell’Esercito, spostata poi più a nord, ed anche al controllo delle zone di confine con l’Iran. Proprio le forze di Teheran hanno avuto un ruolo fondamentale nell’appoggio all’Iraq. Nei giorni successivi all’avanzata di ISIS, la presenza a Baghdad del Generale Soleimani, Comandante della Forza

Qods, ne è stato il segnale più importante. Per l’Iran una destrutturazione dello Stato iracheno per mano di una forza salafita come quella di ISIS sarebbe uno scenario inconcepibile, soprattutto in un momento in cui anche l’alleato siriano Assad è sotto pressione.

A giugno aerei cargo iraniani provenienti da Teheran sono atterrati a Baghdad 2 volte al giorno, trasportando armi, munizioni e apparecchiature radio per le milizie sciite, che in poche settimane sono riuscite a riacquisire le capacità operative e di organico del 2007 (momento nel quale raggiunsero l’apice nella lotta contro le truppe statunitensi). Il sostegno iraniano è testimoniato dalle immagini della parata dei “sadristi” a Baghdad alla fine di giugno, quando hanno sfilato per le strade di Sadr City circa 60.000 uomini in mimetica, non appartenenti all’Esercito Iracheno, ben disciplinati ed equipaggiati con materiale importato dall’Iran. Teheran ha aiutato le autorità di Baghdad anche con l’invio di 5 cacciabombardieri Su 25 FROGFOOT. Probabilmente questi velivoli sono parte del gruppo di 7 Su 25 iracheni che trovarono rifugio in Iran durante la prima Guerra del Golfo.

I 5 aerei iraniani si aggiungono al primo nucleo di 5 Su-25 forniti dalla Russia. Probabilmente, i velivoli sono pilotati da personale non iracheno. Oltre a Iran e Russia, anche gli Stati Uniti hanno predisposto un dispositivo di aiuto a Baghdad e di tutela dei propri interessi. Il dispostivo è composto da circa 500 uomini delle forze speciali - i cui obiettivi sono assicu-rare la protezione dell’Amabasciata americana a Baghdad ed assistere le forze irachene impegnate nelle operazioni contro ISIS, fornen-do loro supporto in termini di pianificazione e addestramento - ed è rafforzato da 2 elicotteri d’attacco AH-64D. Inoltre, già a partire da metà giugno, sul Paese gli Americani hanno iniziato voli di ricognizione con UAV PREDATOR (di stanza in Arabia Saudita e Giordania e, forse, presso qualche base nello stesso Iraq), F-18 della portaerei BUSH, dislocata nel Golfo Persico, e pattugliatori P-3 (basati in Kuwait e Qatar).

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