Una prospettiva militare sul collasso del Regime Siriano
L’8 Dicembre 2024, il Presidente siriano Bashar Hafiz al-Assad abbandonava occultamente Damasco, mettendo fine a ventiquattro anni alla guida della Repubblica Araba di Siria, di cui almeno dodici di guerra civile. Il crollo inaspettato e repentino del regime siriano conseguiva primariamente al collasso del suo apparato militare sotto la fulminea avanzata di un’articolata coalizione di milizie ribelli ed è stato seguito da una serie di azioni militari estremamente significative, dalle rilevanti implicazioni tattiche, operative e strategiche, volte a rimodellare il teatro siriano.
L’offensiva decisiva per le sorti del regime di Assad, denominata Deterrence of Aggression, è stata condotta da una coalizione di formazioni ribelli, riunite sotto il nome di Al-Fatah al Mubin. Composta in prevalenza da miliziani di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), gruppo di ascendenza jihadista, in precedenza noto come Jabhat al-Nuṣra e con legami con ISIS, prima ancora che con Al-Qāʿida, nonché designata da numerosi Paesi come organizzazione terroristica, la stessa contava circa 35.000 combattenti, guidati da Abu Mohammad Al Julani. L’organico di HTS da solo è infatti stimato prossimo ai 30.000 effettivi, cui sono da aggiungersi le altre formazioni ribelli, tra cui Jaysh al-Izza, che al 2021 comprendeva 3.500 miliziani. Questi hanno operato in parallelo al Syrian National Army (SNA), un gruppo forte di circa 90.000 effettivi sostenuto informalmente dalla Repubblica di Turchia. Nonostante l’Esercito Arabo Siriano (SAA – Syrian Arab Army) presentasse nominalmente un vantaggio non solo in termini di massa, con 125.000 regolari inquadrati ufficialmente nei suoi ranghi, ma anche qualitativo, soprattutto rispetto ai vetusti e rudimentali mezzi, materiali e sistemi d’arma, in gran parte di produzione sovietica, impiegati dai miliziani, Al-Fatah al Mubin è riuscita non solo ad avanzare, ma a conquistare Aleppo, Hama, Homs e Damasco in soli dodici giorni.
Nello specifico, Deterrence of Aggression è incominciata il 27 Novembre, formalmente in rappresaglia ad una serie di attacchi aerei condotti dal SAA nei territori controllati dalle forze dell’opposizione, sulla base del sostanziale congelamento dei fronti in atto dal 2018. La manovra iniziale ha seguito due direttrici principali rispetto al Governatorato di Idlib: la prima a nordest verso Aleppo e la seconda ad est di Idlib. L’iniziale obiettivo plausibile era la conquista dei villaggi rurali, ma la rapida caduta di Aleppo, avvenuta il 30 Novembre, ha spinto i ribelli a proseguire verso sud, nello specifico verso l’abitato di Hama. I ribelli ne hanno tentato la conquista con una manovra a tenaglia, attendendosi una significativa battaglia urbana contro le forze regolari. A questo punto, il SAA, avendo perso il controllo della città di Aleppo, divenuta scenario di un’ulteriore operazione mossa dal SNA contro le Syrian Democratic Forces (SDF) a maggioranza curda, denominata Dawn of Freedom, ha tentato un ripiegamento sulla città di Hama, schierando sul fronte non solo le forze precedentemente dispiegate ad Aleppo, ma anche unità di riserva in prontezza operativa, tra cui la 25a Divisione Operazioni Speciali, il 135° Reggimento di Artiglieria dell’11a Divisione di Fanteria e la 1a Divisione della Guardia Repubblicana. Tra queste forze, solamente le aliquote della prima, le cosiddette Forze Tigre o Qawat Al-Nimr, sono riuscite ad arrestare, seppur brevemente, l’avanzata dei ribelli. Il basso morale del SAA ha infatti spinto i militari regolari ad abbandonare il campo di battaglia, consentendo alle forze guidate da HTS di conquistare Aleppo, Hama ed i villaggi limitrofi sostanzialmente senza combattere. Valorizzando l’iniziativa conseguita e sfruttando la mancanza di coesione dimostrata dal SAA, i ribelli hanno dunque deciso di estendere la propria penetrazione nel territorio controllato dal regime, seguendo l’autostrada M5, la quale collega Aleppo a Damasco, con l’obiettivo di conquistare Homs e, infine, la capitale siriana. L’8 Dicembre, successivamente alla conquista di tutti questi obiettivi, la fuga di Assad e l’ingresso di Al Julani a Damasco, hanno segnato il collasso del regime siriano.
Il successo dell’operazione Deterrence of Aggression consegue tuttavia solo secondariamente a fattori strettamente militari. Lo sviluppo capacitivo di Al-Fatah al Mubin, articolatosi durante cinque anni di controllo del territorio e schermaglie con il SAA nel nord della Siria ha riguardato principalmente l’introduzione di droni commerciali per il rilascio di ordigni esplosivi sulle posizioni del regime ed un affinamento delle procedure di comando e controllo, grazie all’apporto di competenze assicurato da Ufficiali regolari disertori. La principale causa del collasso del SAA è invece individuabile nel basso morale delle forze regolari e nella radicata sfiducia della popolazione siriana per il regime. La crisi socioeconomica che incombe da diversi anni sulla Siria ha infatti inevitabilmente minato la fedeltà alle istituzioni, piagate, incluso nell’apparato militare, da fenomeni pervasivi di corruzione e malagestione. Questi hanno comportato sensibili divergenze tra gli organici dichiarati e quelli reali registrati dalle unità in prima linea, aggravando le condizioni operative del personale rimanente, a cui veniva inoltre riconosciuta una paga esigua, generalmente intorno alle 500.000 Lira siriane al mese, corrispondenti a circa 40 euro. Se questo ha dunque promosso l’abbandono delle proprie posizioni da parte dei militari regolari, datisi alla macchia in abiti civili dopo aver lasciato uniformi, equipaggiamento e mezzi, o fuggiti oltre confine in Iraq, anche la popolazione civile, afflitta dall’inflazione e da un costante stato di polizia, si è dimostrata ben disposta ad accogliere i ribelli. Durante l’offensiva, alcune città siriane hanno addirittura visto civili unirsi volontariamente alle forze guidate da HTS.
Il collasso del SAA, da anni ormai configurato come una forza di repressione e controllo del territorio per effetto della guerra civile, è inoltre in larga parte stato influenzato dalla perdita incidentale dell’assistenza militare dei suoi principali partner securitari: Federazione Russa e Repubblica Islamica dell’Iran. Le forze di Mosca schierate in teatro hanno infatti condotto limitate attività di supporto aereo ravvicinato (CAS – Close Air Support) al SAA in ripiegamento, degradando il dispositivo militare ribelle. Nel caos della ritirata dei reparti regolari siriani, le Forze Aeree della Federazione Russa (VVS RF – Voyenno Vozdushnye Sily Rossiiskoj Federacii) hanno anche dovuto sopperire al fallimento del SAA nel distruggere alcune infrastrutture critiche, al fine di ritardare la penetrazione dei ribelli. Nel dettaglio, velivoli del Cremlino hanno bombardato il Rastan Bridge nel tentativo di disarticolare l’avanzata ribelle da Hama ad Homs. Il supporto russo è stato tuttavia decrescente, con l’attesa assistenza militare promessa nelle prime 72 ore mai arrivata ed il progressivo disimpegno delle forze di Mosca che sono rientrate nelle basi di Tartus e Hmeimim, assumendo una postura neutrale rispetto ai ribelli.
L’assenza più significativa sul terreno è stata tuttavia quella iraniana e dei relativi proxy regionali, in primis Hezbollah, decisivi per la coesione e l’efficacia del SAA, ricoprendo spesso ruoli fulcrali a supporto della catena di comando siriana. Dall’avvio dell’operazione israeliana Sword of Iron successiva agli attacchi terroristici del 7 Ottobre 2023, e fino a prima dell’offensiva ribelle Deterrence of Aggression, Tel Aviv aveva infatti condotto non meno di 327 attacchi contro obiettivi in Siria, incluso 163 sortite aeree, neutralizzando circa 470 combattenti tra militari del SAA, miliziani di Hezbollah e membri delle Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniane. L’effetto disarticolante di queste attività di bersagliamento, combinato con il sostanziale ripiegamento degli advisor di Hezbollah, nel contesto dell’ampliamento delle operazioni israeliane in Libano, ha infatti sensibilmente depauperato le capacità di combattimento del SAA, inficiando anche sul morale dei militari regolari. L’invio di ristretti nuclei delle milizie sciite irachene supportate dall’Iran, tra cui Kata’ib Hezbollah, Harakat Hezbollah al-Nujaba e Badr è poi avvenuto in quantità non rilevante, troppo tardi e con il ragionevole timore di attacchi aerei israeliani, rendendo lo stesso non impattante sull’esito delle ostilità.
Il collasso del regime siriano ha tuttavia generato un pericoloso vacuum di potere in un teatro estremamente frammentato ed instabile, con il concreto rischio sia del riaffermarsi di attori malevoli come ISIS, sia della diffusione di mezzi, materiali e soprattutto sistemi d’arma in precedenza appartenuti al SAA a formazioni irregolari. Al fine di limitare queste minacce, e valorizzando la rinnovata libertà di manovra sui cieli siriani conseguente alla disarticolazione dalla base dell’apparato militare di Damasco e dunque anche delle relative difese aeree, sia gli Stati Uniti, sia Israele hanno condotto una serie di operazioni di bombardamento. Nell’immediatezza del collasso del regime siriano, lo US Central Command (USCENTCOM) ha infatti effettuato una serie di sortite aeree, non solo con velivoli da attacco al suolo A-10 Thunderbolt II e cacciabombardieri F-15E Strike Eagle, ma anche con bombardieri strategici B-52 Stratofortress, distruggendo oltre 75 siti impiegati da ISIS per addestramento e per riorganizzare le proprie capacità militari.
Le Israeli Defense Forces (IDF) hanno invece lanciato l’operazione Bashan Arrow, intesa a minimizzare le eventuali minacce ad Israele derivanti dalla situazione generatasi in Siria. A questo fine, le IDF hanno dapprima costituito una zona cuscinetto (buffer zone) al di là delle Alture del Golan, in un’area demilitarizzata lunga 75 chilometri ed ampia 10 stabilità dopo la Guerra dello Yom Kippur nel 1973. In quest’azione, le IDF hanno anche assunto il completo controllo del Monte Hermon, in una posizione strategica per la sorveglianza del territorio siriano. Parallelamente, l’Israeli Air Force (IAF) ha iniziato una vasta e significativa campagna di bombardamento contro tutte le installazioni e gli assetti militari del deposto regime siriano. Nelle prime 36 ore, si sono registrati non meno di 250 attacchi, saliti ad oltre 400 nei successivi sette giorni, comportando la distruzione pressoché totale dell’arsenale di vettori missilistici a lungo raggio, aerei, elicotteri, sistemi di difesa aerea e non solo appartenuti al SAA. Anche la Marina Militar israeliana (Heil HaYam HaYisraeli) ha contribuito all’operazione, affondando in porto l’intera flotta siriana. Nel complesso, la campagna di bersagliamento, ancora in corso, ha reso sostanzialmente marginale la possibilità che capacità militari prima in possesso del regime siriano possano venire incamerate da gruppi combattenti o trasferite in altri teatri ponendo poi una fonte di minaccia per Israele.
La situazione in Siria permane tuttavia altamente fluida ed in divenire, con l’atomizzazione del potere tra i diversi gruppi che controllano il territorio a rappresentare una delle principali fonti di instabilità. Il fronte più critico è però rappresentato dalla linea di contatto tra SNA, supportato dall’Aeronautica Militare turca, e SDF, consigliate da personale militare statunitense in funzione anti-ISIS. L’espandersi dell’operazione Dawn of Freedom genera infatti crescenti attriti con il rilevante rischio di un’escalation nel confronto o di danni collaterali. Al netto dell’efficacia della campagna aerea condotta dalle IAF, un quantitativo significativo di sistemi d’arma è stato catturato durante l’avanzata dai ribelli e benché quelli più avanzati e dimensionalmente più grandi, incluso almeno un Pantsir S-1 sono già stati o saranno prossimamente oggetto anch’essi di bersagliamento, missili guidati controcarro (ATGM – Anti-Tank Guided Missile) e vettori spalleggiabili da difesa aerea (MANPADS - Man-Portable Air-Defense Systems) tenderanno a proliferare ulteriormente nel teatro. In ultimo, la temporanea occupazione della buffer zone in Siria da parte delle IDF, espone queste ultime ad eventuali azioni, anche da parte di nuclei indipendenti.