Dopo Aleppo, HTS mette nel mirino Tel Rifaat e Hama: un rapido punto sul caos in Siria
Il 27 novembre, nella provincia di Idlib, Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha dato avvio a “Risposta all’aggressione”, un’operazione militare volta a recuperare quei territori in mano all’Esercito Arabo Siriano (SAA), fedele a Bashar al-Assad. Un’azione ad ampio spettro volta a riscrivere una nuova pagina negli equilibri e nelle dinamiche della guerra civile siriana.
A decretare questa svolta è stata l’offensiva che ha portato alla clamorosa caduta di Aleppo tra venerdì 29 e sabato 30 novembre. Sotto controllo governativo dal 2016, la seconda città della Siria è stata conquistata dall’alleanza militare denominata Fatah al-Mubin, una sorta di centro di comando che ha riunito e organizzato numerosi gruppi dissidenti, che nella maggior parte dei casi condividevano la condizione di rifugiati da almeno quattro anni. L’avanzata ha portato alla conquista di circa 50 città e villaggi, oltre ad un tratto dell’autostrada strategica M5 che collega i rifornimenti a Damasco. Sul piano materiale, il soggetto di maggior peso politico e militare a guidare l’azione è Hayat Tahrir al-Sham: ex ramo di al-Qaeda in Siria, noto come Jabhat al-Nusra e guidato da Abu Muhammad al-Jawlani, l’organizzazione è stata riformata nel 2016 riunendo un eterogeneo gruppo di formazioni di matrice jihadista-salafita da varie estrazioni geografiche (al suo interno, infatti, vi sono milizie caucasiche, centro-asiatiche, balcaniche e levantine). Definita come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti nel 2018, HTS sta tentando in questo momento di ripulire la propria immagine: mentre il gruppo punta a distaccarsi dal passato qaedista, contestualmente ricerca attraverso una nuova strategia comunicativa di rassicurare, soprattutto, le minoranze (cristiane, druse, alawite) per accreditarsi a livello internazionale.
La presa di Aleppo è stata funzionale per diversi motivi. Se da un lato si è tentato di lanciare un’offensiva verso sud lungo la direttrice delle province di Hama e Homs, nel chiaro tentativo di stanare le forze lealiste e puntare su Damasco, dall’altro verso le forze di HTS hanno funto da retrovia strategico per i gruppi ribelli operativi nel nord-ovest. In questa partita a più facce, le milizie islamiste hanno supportato le formazioni filo-turche per un’azione a tenaglia verso Tel Rifaat in modo da creare una sola continuità territoriale da est a ovest lungo l’asse tra Afrin e al-Bab, a totale maggioranza turca e in funzione anti-curda, dove infatti hanno trovato la resistenza dell’alleanza curdo-arabo-assiro-cristiana delle Forze Democratiche Siriane (SDF). Un eventuale controllo turco dell’intera area nord-occidentale avrebbe un valore strategico notevole in quanto consoliderebbe il posizionamento di Ankara in una zona cuscinetto fondamentale per assicurarsi un perimetro di sicurezza esterno al confine nord-occidentale siriano, anche in ragione del timore di una nuova ondata migratoria.
Nel frattempo, proteste sono scoppiate a Damasco, Daraa (dove iniziò la rivolta del 2011) e nella città meridionale a maggioranza drusa di Suwayda, mentre il decisivo sostegno ad Assad è stato rinnovato tanto dalla Russia, quanto dall’Iran. Nonostante sia complicato assumere una posizione rispetto al risultato finale di questi sommovimenti, sono diversi gli elementi che possono suggerire l’evoluzione degli eventi. Quest’operazione arriva infatti in un momento storico particolare, dove tanto Mosca (in Ucraina) quanto Teheran (e a cascata Hezbollah, con Israele) hanno offerto l’impressione di subire sui propri fronti i costi dei conflitti in corso, garantendo minor sicurezza ad un alleato come Assad, sostanzialmente dipendente da questi ultimi per il mantenimento del potere sotto il controllo governativo. Al contempo, il sostegno turco alle operazioni in corso da parte dei ribelli potrebbe segnalare la ricorrente abilità del Presidente Recep Tayyip Erdoğan di “giocare su più tavoli”, dal momento che da tempo si paventava la riapertura di un dialogo con Assad per la questione del rimpatrio dei profughi siriani (la Turchia offre asilo a oltre 3 milioni di questi), ma la mutata condizione sbilanciata a sfavore di Damasco e delle principali potenze che ne garantivano la sicurezza potrebbe aver indotto Ankara ad acconsentire ad un’operazione inizialmente limitata come prevedeva nelle prime battute. C’è poi da considerare l’importanza della Siria per Putin, che attraverso Latakia e Tartus ha la capacità di proiettare l’influenza russa verso il continente africano e nel Mediterraneo, importanti asset che un in seguito a eventuale rovesciamento del regime di Assad sfumerebbero risultando in una grave perdita per il Cremlino. La posta in gioco così alta ha spinto anche a un probabile approdo tramite l’Iraq delle milizie sciite Hashdas-Shaabi per supportare la resistenza governativa che, unita ai raid aerei russi, dovrà riuscire a difendere le roccaforti di Homs e Hama per non rischiare davvero una capitolazione. Fermo restando il fattore intrinseco d’incertezza che caratterizza i conflitti armati, uno stallo intorno alla difesa/riconquista di Aleppo sembra più probabile rispetto allo scenario di completa capitolazione di Assad, e non è escluso che un nuovo tavolo diplomatico sul modello di Astana possa ridefinire la suddivisione dei territori a nord, magari per avanzare qualche concessione ad HTS e SNA (e di riflesso alla Turchia) nella provincia di Idlib.