La Siria nella scacchiera mediorientale
L’attacco israeliano di aprile 2024 contro l’Ambasciata della Repubblica Islamica a Damasco ha rappresentato uno spartiacque importante in Siria e in Medio Oriente. Infatti, quell’episodio può essere inquadrato come l’inizio dichiarato delle ostilità tra Israele e il cosiddetto “Asse di Resistenza” a guida iraniana. Da allora, il regime siriano ha adottato un atteggiamento atipico rispetto agli altri membri dell’Asse, caratterizzato da una retorica vaga e da un supporto politico-militare molto contenuto rispetto la causa anti-israeliana dei partner regionali. In seguito all’attacco del 7 ottobre 2023 e la successiva invasione della Striscia di Gaza da parte delle Israeli Defense Forces (IDF), Damasco si è limitata a condannare la riposta militare di Tel Aviv, senza tuttavia esplicitare un pieno supporto alla causa di Hamas. Una dinamica probabilmente scaturita anche dalle tensioni emerse tra Damasco e l’organizzazione palestinese, quando nel 2011 Hamas ha annunciato il suo supporto alle forze insorte durante la Primavera Araba siriana. Un’ulteriore dimostrazione della riluttanza di Damasco nel voler appoggiare apertamente l’Asse di Resistenza è avvenuta qualche giorno dopo il 7 ottobre, quando è stata predisposta l’espulsione dei rappresentanti Houthi presenti in Siria e la chiusura degli uffici dell’Ambasciata yemenita nel Paese. Più recentemente, dopo l’invasione israeliana del sud del Libano, il regime di Bashar al-Assad si è limitato ad esprimere solidarietà verso la popolazione locale, senza mai sottolineare il supporto ad Hezbollah o rivendicare l’appartenenza della Siria all’Asse di Resistenza. Questa tendenza è altrettanto evidente ai cittadini siriani, che hanno fatto notare attraverso i social media come le programmazioni televisive, ad esempio, fossero proseguite invariate anche dopo gli attacchi mirati israeliani contro i leader di Hezbollah.
La scelta del regime di Assad di non esporsi troppo politicamente e di non lanciare alcuna rappresaglia contro Israele scaturisce da necessità strategiche di natura domestica ed estera. In primo luogo, Damasco ancora combatte, seppur ad una minore intensità, una guerra civile contro diverse forze insorte e gruppi terroristici. Grazie al supporto iraniano e russo, le forze lealiste hanno ripreso il controllo di circa 2/3 del Paese, dai territori del Sud fino alla sponda meridionale dell’Eufrate e alla città di Aleppo. Il Nord della Siria resta spartito tra diversi attori ostili al regime e spalleggiati da potenze straniere; milizie filo-turche controllano i territori del Nord-Ovest (inclusa la città di Idlib) e, tra queste, la più attiva è il Governo di Salvezza Siriano, movimento derivato da Jabhat al-Nusra, costola siriana di al-Qaeda. Nel Nord e nel Nord-Est della Siria, nella regione del Rojava, sono invece insediate le Forze Democratiche Siriane (FDS) curde e di stampo secolare, che conducono prevalentemente attività di contrasto allo Stato Islamico (IS) ancora presente in Siria. Gli Stati Uniti supportano attivamente le FDS nei loro sforzi contro lo IS e contano diverse centinaia di unità dislocate sul territorio, prevalentemente nel Nord-Est. La principale base statunitense si trova dal 2016 ad al-Tanf, vicino al confine con l’Iraq e la Giordania, per svolgere attività di controterrorismo e di contrasto alle varie milizie filo-iraniane attive nella zona. Evitare il coinvolgimento attivo nella crisi regionale in corso ha permesso al regime siriano di orientare i propri sforzi, di fatto dipendenti dal supporto iraniano e russo, verso il mantenimento della stabilità nei territori controllati. Le condizioni politiche, militari ed economiche della Siria non permetterebbero a Damasco di rispondere militarmente agli attacchi israeliani senza esporre la leadership siriana a ritorsioni potenzialmente catastrofiche.
Nonostante questa postura assunta, il ruolo chiave ricoperto dalla Siria nella strategia regionale dell’Iran ha portato Teheran a rispettare la volontà di Damasco. L’accondiscendenza di Teheran è fondamentale, considerato il vasto contributo disposto dalla Repubblica Islamica al regime assadiano per il mantenimento della stabilità nei territori controllati. L’arretratezza delle capacità militari convenzionali delle Forze Armate Iraniane rendono l’utilizzo di proxies un elemento fondamentale nella strategia regionale di Teheran, attraverso cui espandere la propria sfera di influenza ed esercitare una maggiore pressione su Israele e gli Stati Uniti. La centralità di Damasco all’interno della strategia iraniana scaturisce dalla sua collocazione geografica, che garantisce a Teheran uno snodo cruciale per allacciarsi ai suoi proxies in Iraq e Libano. Tramite la Siria, l’Iran fornisce ad Hezbollah aiuti militari ed esercita ulteriore pressione su Israele dalle Alture del Golan. Il Paese levantino ha quindi assunto un ruolo chiave, seppur marginale e non attivo, all’interno del conflitto tra Israele e Iran, ospitando sul suo territorio truppe, centri di comando e depositi di armi appartenenti ad Hezbollah e al Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche. Ciò ha però esposto la Siria a subire numerosi raid aerei israeliani, volti ad indebolire le varie forze filo-iraniane presenti nel Paese. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, da gennaio 2024, Israele avrebbe lanciato almeno 104 attacchi sul suolo siriano, colpendo 190 obiettivi riconducibili alle suddette milizie. Inoltre, con l’attacco contro l’Ambasciata iraniana a Damasco, Israele ha dimostrato l’intenzione di colpire obiettivi iraniani di alto valore in Siria, tra i quali risultano comandanti Pasdaran delle forze Quds in Siria e Libano, oltre ad alcuni depositi missilistici riconducibili al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica. Far sì che la Siria mantenga un ruolo marginale nel conflitto contro Israele rientra anche negli interessi di Teheran, che in questo modo mitiga la possibilità di un’escalation del conflitto anche verso il territorio siriano, assicurandosi la viabilità in un crocevia strategico per la gestione e la coordinazione dei suoi proxies nella regione.
La mancanza di una solida affinità ideologica tra le leaderships iraniane e siriane rende la natura dell’allineamento tra i due Paesi quasi esclusivamente strategica, determinata prevalentemente dalla necessità circostanziale di opporsi alle potenze avverse attive nella regione, e dunque suscettibile a mutamenti geopolitici. Ciò costringe l’Iran ad adottare un ampio spettro di mezzi, militari, politici, economici e culturali, per assicurarsi una presa salda sul governo e sulla società siriana. Nel 2013, la Repubblica Islamica ha tentato di creare un proxy sul modello di Hezbollah, un progetto fallito per via del settarismo della società siriana, dell’opposizione del regime alawita e di ingerenze russe. Il ruolo di Mosca in Siria è stato ed è ancora complementare a quello di Teheran. Le due potenze perseguono obiettivi diversi ma compatibili, che hanno favorito una convivenza che ha anche assunto a tratti la forma di competizione in settori come quello dell’energia e delle telecomunicazioni.
L’Iran si appoggia quindi a numerose milizie che, stando alle dichiarazioni di Hossein Salami, comandante dei Pasdaran, contano circa 100.000 membri. L’uso della religione sciita come strumento di legittimazione politica dell’élite alawita non ha permesso di instaurare profondi legami culturali con la società siriana, caratterizzata da un forte settarismo e a maggioranza sunnita. Inoltre, dal punto di vista ideologico, la Siria di Assad e l’Iran khomeinista non hanno mai espresso posizioni convergenti. Il Baath, partito siriano di stampo socialista alla guida della Siria dal 1963, si ispira a princìpi quali il secolarismo ed il panarabismo, evidentemente distante dal modello teocratico iraniano di matrice persiana.
Il fluido equilibrio geopolitico regionale potrebbe quindi portare entrambi i Paesi a rivedere il proprio allineamento nel medio e lungo termine. Mentre l’Iran vede nella Siria un partner imprescindibile per il perseguimento dei propri obiettivi, Damasco può permettersi di valutare se altri attori possano dimostrarsi in grado di fungere da garanti per la sicurezza dello Stato levantino. Al contempo, è analiticamente utile valutare anche quanto il governo siriano sia disposto a tollerare la presenza ingombrante di Teheran a Damasco, che ha finito per rendere il Paese oggetto di un numero crescente di attacchi israeliani. Nei momenti più concitati della guerra civile, diversi comandanti alawiti hanno espresso riserve sull’eccessiva influenza di ufficiali iraniani nelle operazioni militari delle forze del regime siriano. La riammissione della Siria all’interno della Lega Araba nel maggio del 2023 sembra in tal senso suggerire un tentativo di avvicinamento dei Paesi arabi, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) in primis, verso Damasco. Una tendenza confermata anche dalla recente riapertura degli uffici dell’Ambasciata saudita a Damasco. Riyadh e Abu Dhabi intendono in primo luogo controbilanciare la presenza iraniana in Siria, che potrebbe comportare una riduzione della permanenza militare di Teheran sul territorio siriano, compromettendone le capacità di proiezione. A preoccupare le due Monarchie sono anche i gruppi estremisti islamici ancora attivi in Siria, che potrebbero ulteriormente destabilizzare la regione. Gli EAU, non avendo mai sostenuto attivamente i gruppi armati insorti, in quanto spesso ritenuti troppo vicini all’estremismo islamico, hanno comunque dimostrato l’intenzione di contenere la sfera d’influenza iraniana in Siria senza mettere in discussione l’autorità del regime alawita. La Federazione emiratina considera la Siria come un valido aggancio per affermare la propria presenza nel Mediterraneo. Dall’altro lato, Riyadh cerca di mostrarsi agli occhi di Damasco come un partner affidabile e alternativo a Teheran, in grado di fungere da garante per la sua sicurezza e di provvedere, nel medio-lungo periodo, anche allo sviluppo economico ed infrastrutturale del Paese una volta risolta la crisi intestina.
Damasco può trarre vantaggio dalla fluidità dei rapporti che intrattiene con gli altri attori attivi nella regione; la consapevolezza di ricoprire un ruolo centrale nelle strategie regionali di numerose potenze, spesso avverse tra loro, permette al Paese levantino di muoversi tra le varie parti interessate e consolidare, o aumentare, la propria influenza con una maggiore leva negoziale. La posizione di Damasco assunta a maggio scorso durante il summit della Lega Araba tenutosi in Bahrain, nel corso del quale è stata rivendicata l’appartenenza agli EAU delle isole Abu Musa, Grande e Piccola Tunb – sotto il controllo iraniano dal 1971 –, dimostra in effetti quanto la Siria intenda fare leva sulla propria centralità strategica per esercitare pressioni politiche ed ottenere maggiori agevolazioni dai suoi diversi partner. Nel breve termine difficilmente si assisterà ad un cambio netto nelle relazioni tra Siria ed Iran, dal momento che l’attuale instabilità della regione porta Damasco a percepire Teheran come un irrinunciabile garante per la propria sicurezza, almeno in queste fasi concitate. Ciò è anche dimostrato dai recenti summit tra le autorità politiche siriane e iraniane durante i quali si sono discusse le relazioni bilaterali. È altrettanto improbabile che il conflitto in corso si allarghi alla Siria: il precario equilibrio interno e l’incapacità di Damasco di condurre alcun tipo di azione militare al di fuori dei propri confini, oltre al ruolo che la Siria ricopre nei piani di Teheran, scongiurano questa eventualità. Nel lungo termine, in contrasto con l’attuale tendenza, Damasco potrebbe iniziare a percepire la stretta relazione con l’Iran come contro-producente, dal momento che gli attacchi di Tel Aviv contro la Siria indeboliscono e delegittimano l’autorità del regime di Assad. Ciò potrebbe portare ad un ridimensionamento del ruolo di Teheran in Siria, lasciando ampio margine di manovra ad altre potenze,Arabia Saudita ed EAU in primis.