Il dialogo tra Arabia Saudita e Iran tra opportunità ed ostacoli
Sabato 19 febbraio, durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, il Ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Faisal bin Farhan al-Saud, ha dichiarato che il suo Paese sta cercando di programmare un quinto round di dialogo con l’Iran, nonostante la “mancanza di progressi significativi” avvenuta nei precedenti colloqui. Questa dichiarazione è arrivata in un momento critico all’interno del quadro geopolitico mediorientale, caratterizzato da un lato dai negoziati per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano e, dall’altro lato, dalle attività militari destabilizzanti portate avanti dagli Houthi in Yemen e, più in generale, nell’intera area del Golfo.
Vi è però una differenza significativa tra questi due fattori. Mentre le trattative di Vienna per ripristinare il JCPOA hanno indirettamente spinto i due Paesi a cercare una sorta di compromesso minimo per lanciare un processo di dialogo bilaterale – come esplicitamente dichiarato dal Ministro degli Esteri saudita alla Conferenza di Monaco –, la guerra in Yemen si pone invece come uno dei principali ostacoli al loro riavvicinamento. All’interno del conflitto yemenita, infatti, Riyadh e Teheran si muovono su fronti opposti e con obiettivi finali differenti: il primo intento a ripristinare la legittimità del Governo precedentemente guidato da Abdrabbuh Mansur Hadi e a conservare la sua leadership nell’area, mentre il secondo punta a sostenere le forze anti-governative Houthi per allargare la propria sfera di influenze nel Golfo Persico.
Tuttavia, gli attacchi recenti effettuati dalle milizie Houthi contro obiettivi sauditi ed emiratini nei rispettivi territori nazionali ha complicato ulteriormente le dinamiche interne ed esterne della questione yemenita. Questi eventi hanno infatti evidenziato come il gruppo ribelle abbia adottato un’agenda politica parzialmente indipendente da quella della Repubblica Islamica (sebbene in parte ancora coincidente), generando una serie di ripercussioni negative nel dialogo iraniano-saudita. Infatti, avendo l’Iran deciso di ancorarsi ad un attore non statale de facto autonomo – e a lungo percepito dai media e dai Paesi limitrofi come un suo semplice subordinato – ogni azione degli Houthi viene percepita come una scelta strategica condivisa con Teheran.
Ad ogni modo, almeno dalla prospettiva saudita il dialogo con l’Iran, mediato dall’Iraq, nasce dall’esigenza di stabilire un corso di politica estera più autonomo dagli Stati Uniti che possa portare ad una discussione diretta con il rivale sui principali dossier regionali. In anni recenti, infatti, la leadership del Regno ha iniziato a percepire Washington come un partner di politica estera sempre meno affidabile. Un’idea, questa, che è stata rafforzata da due eventi significativi accaduti durante l’ultimo biennio: l’attacco iraniano alle infrastrutture energetiche saudite del 2019 (a cui non sono seguite azioni concrete da parte della presidenza Trump) e il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan formalizzatosi nell’estate del 2021.
Questo processo, però, deve fare i conti con alcuni ostacoli significativi. Oltre alla già citata questione degli Houthi, infatti, Riyadh e Teheran sono schierati su opposte posizioni anche nello scenario libanese, per via del supporto iraniano alle milizie di Hezbollah, in quello siriano, a causa del sostegno della Repubblica islamica al regime di Bashar al-Assad, e infine in quello iracheno, dove l’Iran punta a conservare un’influenza costante negli affari politici locali. Non sembra per ora esserci margine di negoziazione su questi due cardini di politica estera poiché Teheran non vuole rinunciare alla sua influenza esercitata nel Levante. Inoltre, dopo anni di conflitti più o meno aperti, la diffidenza tra le élite dei rispettivi Paesi continua ad essere molto elevata e, in taluni settori della società civile, fortemente radicalizzata. Per questi motivi, nonostante i segnali incoraggianti che giungono da entrambe le parti, un riavvicinamento tra le parti necessiterebbe del giusto equilibrio tra la condivisione di alcuni interessi e la rinuncia – almeno parziale – ad alcune prerogative strategiche ritenute per ora vitali da entrambi i Paesi.