Il colloquio virtuale tra Xi e Biden
Il 18 marzo si è tenuta una telefonata tra il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il meeting tra i due Presidenti sembra essere stato il seguito dell’incontro avuto a Roma poco meno di una settimana prima dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale americana, Jake Sullivan, e dal Responsabile della Politica Estera cinese, Yang Jiechi.
Il colloquio non sembra aver prodotto significativi risultati rispetto alle posizioni precedentemente manifestate dalle due parti in diverse circostanze. Se da un lato gli Stati Uniti infatti hanno nuovamente condiviso la loro ferma posizione nel richiedere maggiore assertività alla Cina nella sua postura nei confronti della Russia e paventato il rischio sanzioni per una sua collusione con Mosca, dall’altro lato Pechino ha mantenuto la ormai nota linea dettata dall’ambiguità del discorso e la speranza per una rapida risoluzione del conflitto.
Un elemento di lieve novità riscontrato dall’incontro consiste comunque nel porre l’accento da parte cinese sulla necessità di attribuire le responsabilità dell’attuale guerra ad ambo le parti, ovvero sia quella russa che quella occidentale. Nonostante all’inizio del conflitto questa posizione fosse già stata espressa utilizzando però toni e termini maggiormente ambigui con la condanna della guerra da un alto e lo spalleggiamento delle preoccupazioni russe dall’altro, in questa occasione, grazie anche all’uso di due potenti “chengyu” – modi di dire – mutuati dalla letteratura classica cinese, Xi ha utilizzato la propria voce e non quella del Ministro degli Esteri Wang Yi per sottolineare la posizione della Cina. In particolar modo, uno dei due modi di dire recita: “spetta a chi ha messo il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo". Il riferimento al ruolo dell’Occidente, e soprattutto degli Stati Uniti e della NATO, nella guerra odierna è estremamente chiaro. L’attribuzione delle responsabilità ad ambo le parti salverebbe Pechino dal doversi mostrare più assertivo. Sebbene infatti la disposizione al dialogo di Pechino con Washington - nonostante le molteplici divergenze - mostri il desiderio di voler contribuire alla risoluzione del conflitto, questi non può permettersi di farlo rinnegando la sua vicinanza a Mosca. Il concetto di “faccia” e l’importanza di “non perdere la faccia”, centrale nell’etichetta cinese, trova qui infatti il suo più grande compimento. Al tempo stesso, si rende manifesta l’impossibilità di voltare le spalle a una Russia che rimane un importante partner strategico, dati i diversi interessi convergenti. Nonostante, quindi, la possibile contrarietà di Pechino al prolungamento del conflitto, la storia delle sue relazioni con gli USA e con la Russia non le permette di condannare apertamente Mosca vuoi per evitare di minare la partnership strategica istaurata con quest’ultima, vuoi per evitare di contravvenire alla retorica interna anti-Stati Uniti di cui si sta facendo portavoce da diversi anni a questa parte. Al tempo stesso, però, il nuovo, seppur tesissimo, scenario geopolitico fornisce alla Cina la possibilità di vedersi finalmente considerata quale attore degnamente considerato, trattato quasi da pari a pari da Washington, nel percorso di riconoscimento di quella grandezza e dignità che Pechino rincorre dal secolo delle umiliazioni. Da più parti, infatti, ma dalla Casa Bianca con maggior vigore, viene richiesto un maggior intervento cinese con una presa di posizione più assertiva nella condanna alle azioni russe. Questo ruolo porta Pechino ad avvicinarsi sempre più all’immagine di attore responsabile e promotore della pace che ha cercato di costruirsi dall’amministrazione di Hu Jintao in poi. La teoria di politica estera cinese dell’“Armonia globale” trova in questo contesto la sua realizzazione pratica con la richiesta della fine del conflitto tramite il bilanciamento delle responsabilità da ambo i lati, e la promozione di aiuti umanitari all’Ucraina.
Sebbene il colloquio non abbia prodotto risultati significativi, mostra un’apertura al dialogo da parte di Cina e USA che potrebbe aprire la strada a nuovi possibili incontri.