I riflessi regionali degli scontri in Siria: quale impatto sulla “visione dei cinque mari”?
La posizione della Siria nella comunità internazionale si è sempre collocata fra l’isolamento e la riabilitazione. Dall’emarginazione successiva alla guerra in Iraq del 2003 iniziò ad affinarsi, nella strategia del Presidente Bashar al-Assad, la cosiddetta “visione dei cinque mari”: un progetto di enfatizzazione della posizione geo-strategica del paese tramite l’instaurazione di accordi commerciali e tariffari fra i paesi bagnati dal Mediterraneo, dal Mar Nero, dal Mar Caspio, dal Mar Rosso e dal Golfo Persico/ Arabico. Tale progetto affonda le sue radici nella storica eredità della “Grande Siria”.
All’interno di questo disegno la costruzione di gasdotti, oleodotti e reti di trasporti in grado di sfruttare la continuità territoriale, acquista un ruolo di primo piano: in tal modo si pone una concreta alternativa all’attrazione verso il modello d’integrazione regionale euro-mediterraneo e l’inaggirabilità politica del regime di Damasco risulta accresciuta.
Tuttavia, questa intuizione è messa oggi a dura prova dalle reazioni regionali e internazionali alla rivolta interna del Paese: secondo i dati forniti dall’ONU, dall’inizio di marzo oltre 5.000 oppositori sono stati uccisi dal regime. Nelle ultime settimane è inoltre emerso un altro fenomeno, carico di sfide per il governo siriano: sarebbero già oltre 10.000 i soldati disertori. Essi sarebbero in parte appoggiati dal regime turco, che con la sua visione degli “zero problemi con i vicini” e della “profondità strategica” integrava e completava il progetto siriano.
L’asse Ankara – Damasco, che ne è stato il cardine, ha dato vita alla costituzione dell’area di libero scambio e alla firma di un accordo di esenzione dell’obbligo del visto per gli spostamenti transfrontalieri. Tramite la Turchia, il cui processo di adesione all’Unione Europea si trova adesso in una fase di stallo, un vero e proprio asse Europa orientale / Medio Oriente sembrava essersi costituito su nuove basi, rinforzate dalla paralisi del processo di Barcellona e del programma “sarkozyano” de “l’Union pour la Méditerranée”, dovuta sostanzialmente alle difficoltà del dialogo con Israele.
Per otto anni la praticabilità dell’alternativa siriana è stata confermata: anche recentemente Damasco ha firmato accordi energetici con numerosi partner estendendo la propria influenza politica su nuove aree e settori. Riflesso politico di un accordo con l’Azerbaigian è stata ad esempio la mediazione svolta dal Presidente Assad nelle recenti tensioni fra Yerevan e Baku. Il progetto siriano è stato ben accolto anche dai partner dell’Europa orientale: Bulgaria e Romania, infatti, avrebbero voluto allargare la visione siriana sino a comprendere l’area danubiana.
La connessione ipotizzata da Damasco spinge la Siria verso l’Ucraina: la via verso la tariffa doganale unica con Russia, Kazakistan e Bielorussia è stata già intrapresa e l’incontro di Assad con Viktor Yanukovych nel dicembre 2010 è stato un segnale importante. Il progetto “Nabucco”, cui il paese è indirettamente collegato tramite la partnership con la Turchia, allarga potenzialmente la visione siriana a sei mari, fino a comprendere, grazie alla partecipazione tedesca, il Mar Baltico.
L’offuscamento della “visione dei cinque mari” passa oggi dalla prefigurazione di due assi contrapposti: il primo, costituito da Iran, Cina e Russia a sostegno più o meno completo del regime; il secondo, costituito da Unione Europea, Stati Uniti, Turchia e Lega Araba, a sostegno più o meno diretto dei ribelli. Tale incrinatura presenta tuttavia alcune eccezioni, proprio se si analizzano le posizioni dei paesi coinvolti nell’intuizione di Bashar al-Assad. Ankara ha deciso di schierarsi contro il regime, appoggiando la formazione del Consiglio nazionale siriano (CNS) e congelando parte dei fondi siriani conservati nelle banche turche. La Siria sembra rispondere strumentalizzando la questione curda, appoggiata da Teheran, storico alleato del regime di Assad (con cui Damasco ha recentemente firmato un accordo di libero scambio) e che si appresta, tramite la collaborazione del regime iracheno, ad estendere la sua rete di oleodotti e gasdotti sino ai confini siriani.
La Giordania di Abdallah II, già parzialmente integrata in un progetto di cooperazione quadrilaterale, è stata il primo paese arabo a chiedere ad Assad di lasciare il potere.
Anche gli EAU, l’Oman e il Qatar, fautore della riabilitazione internazionale di Damasco nel 2008, sembrano aver abbandonato il regime: il fronte “persico / arabico” del disegno siriano sembra dunque definitivamente incrinarsi.
Maggiori distinzioni si registrano invece in Europa orientale: mentre la Bulgaria ha riconosciuto il CNS, l’Ucraina ha esplicitamente condannato la via delle sanzioni adottata dall’Occidente.
Per quanto riguarda il mondo arabo nel suo complesso, con l’arrivo a Damasco di osservatori della Lega Araba e grazie alla mediazione irachena, le tensioni sembrano stemperarsi. L’ipotesi dell’internazionalizzazione della crisi non è però tramontata e il rischio di “irachizzazione” del paese va concretizzandosi.