Geopolitical Weekly n.242
Germania
Nella serata del 19 dicembre, intorno alle ore 20:00, un terrorista alla guida di un autotreno ha travolto la folla radunata presso il mercato natalizio della Chiesa commemorativa dell’Imperatore Guglielmo (o Chiesa della Memoria), nel quartiere occidentale di Charlottenbung, uccidendo 12 persone e ferendone almeno 48. L’azione è stata rivendicata dallo Stato Islamico (IS o Daesh), anche se l’autenticità è ancora da verificare.
Secondo quanto emerso dalle prime indagini delle autorità tedesche, l’attentatore avrebbe sequestrato il tir, appartenente ad una società polacca e proveniente dall’Italia, verso le ore 16:00, dopo aver ucciso il conducente.
Al momento, le autorità di Berlino hanno indicato tra i principali sospettati dell’attentato il cittadino tunisino Amri Anis, giunto come immigrato clandestino in Italia nel 2011, e noto per i suoi trascorsi criminali che gli erano costati una condanna di 4 anni scontata tra le carceri di Catania e Palermo. Anis è giunto in Germania nel 2015 ed è ritenuto vicino all’organizzazione salafita tedesca Die Wahre Religion (La Vera religione) nonché seguace dell’imam radicale iracheno Abu Walaa. Quest’ultimo è generalmente considerato parte della rete di Daesh in Germania, dove si è segnalato per intensa attività di proselitismo e reclutamento. In questo senso, il possibile percorso di radicalizzazione di Amri Anis ricalca uno schema ormai consolidato in Europa, dove la sedizione e le organizzazioni jihadiste riescono ad agire sia mobilitando cellule strutturate che attirando individui con evidenti problemi psicologici e di integrazione sociale.
L’attentato del mercato natalizio della Chiesa della Memoria ha ricordato quello di Nizza dello scorso 14 luglio, quando un altro terrorista di origine tunisina, Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, aveva travolto con un camion la folla sul lungomare di Nizza, uccidendo 87 persone. Tali similarità permettono di affermare con certezza le ormai consolidate tattiche adottate da Daesh nella conduzione degli attentati in Europa, basate sull’utilizzo di mezzi e oggetti della vita quotidiana (veicoli, coltelli, materiale reperibile nei supermercati) alla stregua di vere e proprie armi.
Per la Germania si tratta del quarto attacco subito nel 2016, nonché il più grave della sua storia recente, dopo quelli del 26 febbraio (1 ferito), del 19 luglio (5 feriti) e del 24 luglio (12 feriti).
Dunque, nonostante le difficoltà incontrate nello scenario siriano ed iracheno, Daesh continua a rimostrare la sua resilienza e la sua capacità di colpire le società ed i governi impegnati nella lotta al terrorismo tramite l’attivazione di cellule dormienti e lo sfruttamento di individualità problematiche.
Giordania
Domenica 18 dicembre, un commando di terroristi, formato da circa 6 miliziani, ha lanciato un attacco presso la città di al-Karak. Dopo aver attirato l’attenzione delle forze di sicurezza, colpendo due stazioni di polizia, il commando si è asserragliato nell’antico castello crociato di Kerak. Durante l’attacco al sito archeologico numerosi turisti sono stati presi in ostaggio, mentre quattro poliziotti, tre gendarmi, due civili e una turista canadese sono rimasti uccisi. Nel corso della susseguente operazione di liberazione ostaggi delle Forze Speciali, gli assalitori sono stati neutralizzati anche se circa 27 persone sono rimaste ferite. Si tratta dell’attentato più grave dal 2005 ad oggi, quando al-Qaeda colpì tre dei principali alberghi della capitale Amman, uccidendo 60 persone.
Anche se l’attentato non è stato ancora rivendicato da alcun gruppo jihadista, sussiste la possibilità che la responsabilità sia da imputare allo Stato Islamico (IS o Daesh). Infatti, il Regno di Giordania è un tradizionale obbiettivo dell’eversione salafita a causa della sua pluridecennale strategia anti-terrorismo, resa particolarmente evidente dall’alleanza con gli Stati Uniti e dalla partecipazione alla coalizione internazionale impegnata nella lotta a Daesh in Siria e Iraq. A questo proposito, il Governo di Amman ha subito sia attacchi contro obbiettivi materiali (pattuglie delle Guardie di Frontiera, mezzi e personale militare) sia contro obbiettivi mediatici e psicologici. In quest’ultima categoria rientra l’esecuzione del pilota dell’Aeronautica Reale Muath Al-Kasasbeh, arso vivo il 3 gennaio 2015 dallo Stato Islamico e il cui video dell’esecuzione ha destato orrore, sdegno e paura sia tra la popolazione civile e il personale militare giordano che tra quelli di tutti i Paesi impegnati nelle operazioni in Siria e Iraq.
Il rischio terroristico in Giordania è considerato elevato, in particolare a causa dell’elevato numero di foreign fighters (circa duemila unità) presenti in Siria ed Iraq che, una volta rientrati in patria potrebbero rappresentare un grave rischio per la sicurezza interna.
Repubblica Democratica del Congo
Negli ultimi mesi la situazione politica del Paese si è fatta sempre più instabile. L’attuale Presidente Joseph Kabila, che nei prossimi giorni vedrà scadere il suo secondo e ultimo mandato presidenziale, ha dichiarato che non saranno indette nuove elezioni nel 2017, come previsto dalle regolari scadenze costituzionali, bensì nel 2018, a causa della necessità di registrare milioni di nuovi votanti.
Questa decisione ha scatenato un’ondata di dure proteste nel Paese, caratterizzate da violenti scontri tra manifestanti anti-Kabila e forze di polizia il cui bilancio è stato di ben 26 morti. In un contesto caratterizzato da profonde acredini settarie, le ipotetiche sollevazioni popolari potrebbero tradursi in un conflitto civile su base etnica.
Kabila governa il Paese ininterrottamente dal 2001, quando successe al padre Laurent-Desirè Kabila, ucciso durante un tentativo di colpo di Stato. Il punto di forza di Kabila è sempre stato il controllo sulle forze di sicurezza del Paese di cui era comandante in capo durante la presidenza del padre.
Il motivo reale alla base del rifiuto di Kabila di indire nuove elezioni potrebbe essere nel timore del Presidente di vedersi sottoposto ad un processo penale a causa delle numerose violenze perpetrate ai danni delle opposizioni e per le evidenti appropriazioni indebite commesse durante il suo mandato. A questo proposito numerosi leader occidentali e africani si sono recati a Kinshasa nel tentativo di convincere Kabila a farsi da parte e permettere al popolo congolese di esercitare i propri diritti democratici. Gli appelli della Comunità Internazionale e dei membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sembrano però essere cadute nel vuoto, con Kabila che si è rifiutato di cedere il potere. Le opposizioni hanno dichiarato che non accetteranno in nessun caso che Kabila resti Presidente oltre la data del 19 dicembre 2016, lasciando intendere che il ricorso alla violenza per rimuovere il Presidente potrebbe non essere una possibilità remota.
Siria
Il 15 dicembre, la coalizione filogovernativa siriana, costituita dalle forze del Presidente Bashar al-Assad e dai contingenti russi, iraniani e delle milizie sciite di Hezbollah, ha dichiarato la totale ripresa del controllo sulla città di Aleppo. L’evento è coinciso con la stipula di un importante accordo per il cessate-il-fuoco negli ultimi quartieri in mano ribelle nella zona orientale della città, necessario per l’evacuazione degli ultimi miliziani, per lo più parte del gruppo Jabhat Fateh al-Sham (Al-Nusra) ed evitare, quindi, il prosieguo degli scontri che avrebbero aggravato la crisi umanitaria nel secondo centro urbano del Paese. Il punto principale dell’intesa prevede il trasferimento dei miliziani nel governatorato di Idlib in cambio dello stesso trattamento da riservare alla popolazione dei due villaggi a maggioranza sciita di Fua e Kefraya, sotto assedio ribelle.
La presa di Aleppo rappresenta una vittoria per il regime di Assad che, nonostante il peso di 5 anni di conflitto, si è dimostrato capace di riprendere il controllo delle più importanti città della Siria, con evidenti ricadute positive, sul piano propagandistico e d’immagine.
In tutto ciò, appare opportuno ricordare il fondamentale contributo dato da Mosca, tramite consiglieri militari operanti sul campo e attacchi aerei, e dalle truppe iraniane e milizie sciite di Hezbollah, anch’esse decisive per la presa della città.
Da un punto di vista operativo, inoltre, la conquista di Aleppo permetterà alla coalizione filogovernativa di disporre di un numero maggiore di uomini da impiegare sui rimanenti fronti di combattimento, sia contro i ribelli di Jabhat Fateh al-Sham, ora concentrati ad Idlib, che in contrasto ai combattenti dello Stato Islamico, recentemente distintesi per l’offensiva che ha permesso la riconquista di Palmira e l’assedio alla vicina base aerea T4 nei pressi di Tiyas.
Turchia
Nella serata del 19 dicembre, l’Ambasciatore russo Andrei Karlov, decano della diplomazia di Mosca, è stato assassinato presso il Centro Cagdas Sanat Merkezi per l’Arte Moderna, nel distretto Çankaya di Ankara, mentre presentava una mostra fotografica sul suo Paese.
Il responsabile dell’attacco, ucciso dalle Forze Speciali turche nel corso del successivo blitz, è risultato essere Mevlüt Mert Altıntas, agente della Polizia Anti-Sommossa turca. Le ragioni del gesto sono apparse prettamente politiche, in quanto l’attentatore, nel freddare Karlov, ha espressamente fatto riferimento ad una “vendetta” contro la Russia per la sua conduzione delle operazioni militari ad Aleppo, giudicate come feroci e volte allo sterminio della popolazione locale siriana. Anche se l’attacco è stato rivendicato dall’organizzazione jihadista Jabhat Fatah al-Sham (precedentemente nota come al-Nusra), permangono molti dubbi sui reali collegamenti tra l’attentatore e il network jihadista attivo in Siria.
Altıntas era stato sospeso dal servizio nelle settimane immediatamente successive al tentativo di colpo di Stato (15 luglio) con l’accusa di essere parte di Hizmet (Servizio), l’organizzazione religiosa guidata dall’imam Fetullah Gulen e ritenuta di matrice terroristica dal governo di Ankara. Tuttavia, le accuse nei confronti di Altıntas erano presto decadute, non avendo egli ricoperto alcun ruolo di rilievo durante il colpo di Stato.
Al di là delle rivendicazioni e della presunta appartenenza ad Hizmet da parte dell’attentatore, l’omicidio di Karlov permette di trarre almeno due precise indicazioni sull’attuale situazione politica e sociale in Turchia. In primo luogo, il clima di tensione verso gli sviluppi della crisi siriana e la crescente e ferma condanna della popolazione civile nei confronti delle azioni russe, iraniane e del governo lealista nei confronti dei sunniti. Tale spirito di solidarietà chiaramente politicizzata e di chiara ispirazione religiosa potrebbe rappresentare una eccellente cartina di tornasole sugli attuali orientamenti ideologici del popolo turco, nettamente distanti dall’ormai tramontato laicismo di Stato degli anni della Guerra Fredda. In secondo luogo, qualora l’appartenenza di Altıntas ad Hizmet fosse accertata, si potrebbe assistere alla prima manifestazione di un processo di radicalizzazione di una parte dei suoi membri a seguito delle politiche persecutorie attuate dal governo di Ankara nei suoi confronti. Nel caso in cui questa dinamica fosse confermata, alcune frange estreme di Hizmet potrebbero ulteriormente arricchire il già denso panorama terroristico turco, formata da organizzazione comuniste e nazionaliste curde, dallo Stato Islamico e dalle formazioni marxiste-leniniste.
Yemen
Domenica 18 dicembre un attentatore suicida con indosso un giubbotto esplosivo ha attaccato un manipolo di soldati delle Forze Speciali nei pressi della base di al-Sawlaban, nell’area del porto di Aden, uccidendo 48 persone e ferendone 84.
L’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico (IS o Daesh). Si tratta del secondo attentato contro le forze armate yemenite in questo mese, dopo quello del 10 dicembre, elemento che sottolinea la recrudescenza della campagna terroristica della organizzazioni terroristiche in un Paese falcidiato dalla guerra civile e, al momento, incapace di trovare un canale di dialogo tra il governo centrale del Presidente Mansur Hadi e i ribelli Houthi spalleggiati dai lealisti dell’ex Presidente Abdullah Saleh.
A causa di questa lotta intestina e delle degenerazione del quadro securitario, il Paese si è trasformato in un terreno fertile per la proliferazione delle attività sia dello Stato Islamico che di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA). Quest’ultima organizzazione ha nelle regioni settentrionali le proprie tribù di riferimento ed i propri bastioni.
A rendere ancor più intricato lo scenario politico nazionale è il coinvolgimento di potenti attori regionali al fianco dei contendenti: la coalizione a guida Saudita in favore di Hadi, l’Iran al fianco degli Houthi (minoranza etnica di religione sciita).