Burkina Faso, colpo di Stato dei militari
Il 24 gennaio, alcuni ufficiali delle Forze Armate, riuniti nel Movimento Patriottico per la Salvaguardia e la Restaurazione (MPSR), hanno effettuato un colpo di Stato, destituendo il Presidente Marc Kaborè, sospendendo la Costituzione, sciogliendo le istituzioni civili (governo e Assemblea Nazionale) ed infine imponendo la chiusura dei confini nazionali. Per dirigere il Paese, il MPSR ha istituito una giunta militare che guiderà la transizione politica. Si tratta dell’ennesimo colpo di stato in Africa occidentale, sempre più travolta da prese di potere da parte dei militari. Quella dei golpe è una prassi oramai consolidata, come testimoniato dai golpe (riusciti o tentati) in Guinea Conakry, Mali, Ciad e Niger nel 2021.
Kaboré, al secondo mandato consecutivo quale Capo dello Stato, era il primo Presidente democraticamente eletto nella storia del Paese ed era salito al potere nel 2015, all’indomani della destituzione del Presidente Blaise Compaorè, esautorato a seguito di una rivoluzione popolare.
Alla guida del golpe c’è il tenente colonnello Paul-Herni Sandaogo Damiba, che a dicembre, a fronte dell’aumento dei malumori all’interno dell’esercito, era stato promosso dallo stesso Kaboré responsabile della regione militare della capitale Ouagadougou. Damiba aveva iniziato la propria carriera nel Reggimento di Sicurezza Presidenziale, l’unità di élite destinata alla protezione del Capo dello Stato nonché braccio armato del Presidente Compaorè nei suoi 27 anni di potere. Il reggimento era stato sciolto nel 2015 e, da allora, i suoi ex membri avevano, a più riprese, cercato di rovesciare le istituzioni democratiche burkinabè.
I militari hanno giustificato il golpe denunciando la debolezza del governo, incapace di far fronte alle insurrezioni jihadiste nel nord del Paese, intensificatesi negli ultimi anni, rendendo ancora più precaria la situazione di sicurezza nella regione saheliana. Inoltre, i militari sembrano avere il sostegno della popolazione, scontenta nei confronti del governo e dell’ormai ex Capo dello Stato.
Tuttavia, dietro le ragioni del golpe, potrebbero celarsi profondi interessi economici. Infatti, in Burkina Faso, la questione dell’insorgenza jihadista è profondamente connessa all’estrazione di oro. Pilastro dell’economia è l’industria aurifera: il Paese è il quarto produttore di oro nel continente africano. Le miniere rendono il Paese fonte di forte attrazione sia per gli investitori stranieri sia per i gruppi terroristici, che trovano nell’estrazione dell’oro e nel traffico di oro una preziosa fonte di finanziamenti. Dunque, esiste la possibilità che l’intervento dei militari nasconda la loro intenzione di prendere il controllo del comparto aurifero nazionale, dominato, tra l’altro, da piccole imprese di stampo artigianale.
Il futuro della situazione burkinabè appare incerta. Sul piano interno, non esistono forze di opposizione in grado di ostacolare il golpe ed i militari e, al contempo, anche gli strumenti di pressione della Comunità Internazionale appaiono spuntati. In Tal senso, il caso del Mali è esemplificativo: dopo il golpe del 2021, tanto l’azione dell’ECOWAS (Economic Community of Western African States) quanto quella delle Nazioni Unite non sono riuscite a far desistere le Forze Armate. Appare probabile che proprio l’esempio maliano abbia funto da incentivo all’azione dei militari in Burkina Faso.