ATLAS: Camerun, Iran, Russia

ATLAS: Camerun, Iran, Russia

By Ludovica Castelli, Denise Morenghi and Matteo Urbinati
07.09.2020

Camerun: la violenza dei separatisti anglofoni complica il processo di pace con il governo

Nella tarda serata del 2 luglio, una bomba artigianale è esplosa a Yaoundé. Si tratta del terzo attacco dinamitardo occorso nella capitale nelle ultime settimane, a testimonianza della perdurante tensione tra il governo centrale ed i separatisti anglofoni delle regioni sud-occidentali. L’attentato è avvenuto in concomitanza con l’avvio di un nuovo round negoziale tra le autorità nazionali ed i movimenti ribelli, organizzato allo scopo di stabilizzare il Paese e cercare di arrestare il conflitto civile in corso dal 2017.

Nonostante l’attentato di Yaoundé non sia stato rivendicato, il governo camerunense ha attribuito la responsabilità all’ala militare dell’Ambazonia Governing Council (AGC), organizzazione politica che riunisce la minoranza linguistica camerunense e che lotta per la sua autodeterminazione. Sebbene l’AGC abbia dichiarato il cessate il fuoco per facilitare il negoziato e per agevolare le misure di contenimento della pandemia da covid-19, la presenza di fazioni estremiste al proprio interno impedisce la piena applicazione di tali politiche. Infatti, da circa un anno la leadership dell’AGC è contesa tra Sisiku Tabe, al momento in arresto con l’accusa di terrorismo e comandante delle Ambazonia Defence Forces (ADF), e Samuel Sako, comandante dell’Ambazonia Self-Defence Council (ASDF). Mentre il primo ha cercato di limitare le operazioni militari contro le Forze Armate camerunensi, il secondo ha adottato una strategia più muscolare. Quindi, esiste la possibilità che, seppur l’AGC abbia dichiarato il cessate il fuoco, l’ASDF non l’abbia rispettato.

Tuttavia, secondo i ribelli, la recente campagna di attentati nella capitale è parte di una strategia della tensione perpetrata dallo stesso governo camerunense per screditare la causa separatista. Tale teoria potrebbe essere confermata dal fatto che le milizie anglofone non posseggono expertise in fatto di esplosivi e, soprattutto, preferiscono agire nelle regioni di riferimento nel sud-ovest del Paese, dove conoscono meglio il territorio e possono usufruire del supporto della popolazione locale.

Indipendentemente dalla reale paternità dell’attacco, la frattura della leadership del fronte anglofono e la reticenza del Presidente camerunense Paul Biya nel fare concessioni ai ribelli rischiano di aggravare ulteriormente la già drammatica situazione politica e di sicurezza del Paese e di alzare in maniera incrementale il livello di violenza dello scontro.

Iran: l’incendio all’impianto nucleare di Natanz ha imposto un rallentamento al programma nucleare

La Commissione Sicurezza Nazionale e Affari esteri del Parlamento iraniano (Majilis) ha indetto una riunione straordinaria martedì 7 luglio per discutere dell’esplosione avvenuta all’impianto nucleare di Natanz la scorsa settimana. All’incontro hanno partecipato i vertici dell’intelligence, tra cui il Ministro dell’Intelligence Mahmoud Alav, e alti rappresentanti della Difesa e delle Forze di polizia.

L’incendio di Natanz, le cui cause non sono acora state rese pubbliche, è il culmine di una serie di eventi, tra cui l’incendio dell’impianto elettrico di Ahvaz e la perdita di gas cloro dell’impianto petrolchimico di Karoon, avvenuti il 4 luglio. Natanz è il sito dedicato alla costruzione e sperimentazione di centrifughe di nuova generazione per l’arricchimento dell’uranio, fondamentale per lo sviluppo del programma di ricerca di Teheran.

L’audizione della Commissione parlamentare giunge in seguito alla rivendicazione da parte del gruppo “Homeland Cheetahs”. Benchè si sia definito un gruppo reazionario interno agli apparati di sicurezza, il modus operandi e il nome del gruppo, che richiamerebbe alcuni team di hacker associati alle Guardie della Rivoluzione (quali i “Persian Cats” o i Charming Kitten”) sembrerebbe indicare con maggior probabilità che si tratti di una cellula di hacker che abbia condotto un attacco contro le infrastrutture iraniane dall’esterno del Paese, per colpire il programma di ricerca nucleare.

I danni inflitti dall’incendio hanno in effetti rallentato le capacità di arricchimento dell’uranio nel medio periodo. In un momento in cui le autorità iraniane hanno apertamente riattivato il proprio programma di ricerca, in reazione allo stallo nell’implementazione dell’accordo nucleare (JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action), l**’attacco potrebbe avere ripercussioni sull’atteggiamento di Teheran**. Da un lato, se confermato, l’attacco cibernetico potrebbe portare ad un ulteriore peggioramento della narrativa di contrasto contro l’esterno e ad un conseguente aumento delle tensioni, in particolare contro Paesi come Stati Uniti e Israele, considerati da Teheran tra i possibili deus ex machina dell’attacco. D’altro canto, non è possibile escludere che il danno causato  e il rallentamento delle capacità di arricchimento dell’uranio potrebbero contribuire ad una de-escalation. L’impossibilità tecnica di portare avanti il programma potrebbe consentire agli ambienti interni al governo iraniano favorevoli al dialogo con la Comunità Internazionale di cogliere l’occasione per raffreddare i toni del confronto e le tensioni, anche in vista dei possibili risultati delle elezioni negli Stati Uniti di novembre.

Russia: il referendum popolare promuove la “Costituzione di Putin”

Il 2 luglio si è concluso il referendum popolare riguardante l’introduzione di emendamenti alla Costituzione federale. Il pacchetto di riforme costituzionali era già stato approvato dalla Duma e dalla Corte Costituzionale ed attendeva la legittimazione referendaria prima della definitiva entrata in vigore.

Secondo i dati definitivi rilasciati dalle autorità, l’affluenza è stata del 65% ed i favorevoli alla riforma costituzionale il 77% dei votanti. Secondo le organizzazioni della società civile, le elezioni sono state caratterizzate da numerosi brogli ed il loro risultato è falsato e inattendibile.

Gli emendamenti costituzionali prevedono cambiamenti dell’assetto istituzionale, del sistema di assistenza sociale ai cittadini, nonché introducono specifici riferimenti ai valori tradizionali fondativi dello Stato russo e all’inviolabilità dell’integrità territoriale federale. La nuova Costituzione prevede un aumento dei poteri per l’Assemblea Federale, che dovrà approvare la nomina del Gabinetto di governo e del Primo Ministro e avrà potere consultivo sulla nomina dei direttori e dei comandanti delle agenzie di sicurezza ed intelligence. Sinora, tutte queste prerogative erano ad uso esclusivo del Presidente.

In materia di stato sociale è stato inserito quale diritto costituzionale il salario minimo e l’indicizzazione delle pensioni, preservando così gli ultimi retaggi del welfare sovietico. Per quanto riguarda la costituzionalizzazione dei valori fondativi, la nuova Legge Fondamentale russa difende e tutela la famiglia tradizionale, intesa come unione tra uomo e donna.

La riforma costituzionale non altera gli equilibri di potere all’interno del Paese, che resta un sistema presidenziale molto forte. Sebbene il salario minimo, l’indicizzazione delle pensioni e al difesa della famiglia tradizionale costituiscano la chiara volontà di ottenere il supporto dell’elettorato conservatore e di età media elevata (la maggioranza in Russia), la riforma costituzionale resetta il conteggio dei mandati presidenziali fin qui svolti da qualsiasi cittadino russo. In questo modo, permette a Putin di ricandidarsi al Cremlino nelle prossime elezioni del 2024 e restare potenzialmente al potere fino al 2036, consolidando la sua posizione di leader più longevo del Paese.

Nonostante la vittoria del “si” al referendum, il Presidente Putin non attraversa la fase pi felice della sua carriera politica: il suo indice di apprezzamento popolare è ben lontano dai numeri del 2014 (anno di annessione della Crimea alla Russia) e la combinazione della cattiva congiuntura del mercato energetico globale e degli impatti economico-sanitari della pandemia hanno aumentato il malcontento popolare nei suoi confronti. In sintesi, qualora decidesse di proseguire la sua stagione di potere, Putin dovrà trovarsi a gestire un Paese irrequieto e in declino economico, benché internazionalmente ritornato a recitare un ruolo di primo piano in numerosi dossier dal Medio Oriente alla Libia.

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