Sud Sudan: Pam, emergenza cibo per oltre 5 milioni di persone
Sono oltre cinque milioni i sud sudanesi che potrebbero affrontare gravi carenze di cibo durante la stagione secca di quest’anno, in corso fino a settembre. E’ l’allarme lanciato dal Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. L’emergenza alimentare arriva quando si tenta di riportare la pace nel Paese, dopo oltre due anni di guerra civile. Dal dicembre 2013 infatti si sono susseguiti sanguinosi scontri tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli di Riek Machar, da poco rientrato in Patria e reinsediatosi come vicepresidente. Nell’agosto scorso era stata siglata ad Addis Abeba, in Etiopia, un’intesa per la riconciliazione nazionale. Che conseguenze può avere l’emergenza alimentare per il Sud Sudan? RispondeMarco Di Liddo, analista di questioni africane del Centro studi internazionali (Cesi), intervistato da Giada Aquilino:
R. – Le cause di questo disastro umanitario sono varie, a cominciare dalle avverse condizioni climatiche. Infatti, in Sud Sudan si alternano periodi di pioggia, che purtroppo distruggono tutti i raccolti, e lunghi periodi di siccità, che impediscono agli agricoltori locali di mettere in piedi una produzione che, seppur minima, possa almeno soddisfare le necessità dei villaggi. In un contesto di emergenza alimentare come questo, le divisioni etniche e i conflitti politici all’interno del Paese rischiano di essere ulteriormente esacerbati. Anche perché dobbiamo ricordare che, sotto l’ombrello della grande divisione tra Dinka e Nuer, ci sono poi le lotte intestine nei singoli Stati tra gruppi etnici più piccoli: basti pensare alle lotte infinite nello Stato del Jonglei tra le comunità Murle e quelle Anuak per i capi di bestiame.
D. – Da poco è rientrato in patria il vice presidente Riek Machar, ma in alcune zone sono ancora segnalati scontri. Quali sono le aree dove la crisi si sente maggiormente?
R. – Al confine etiopico e nella zona dello Stato del Jonglei, dove le comunità schierate con il vice presidente Riek Machar e il presidente Salva Kiir non sono ancora riuscite a raggiungere un compromesso politico e non accettano gli accordi che invece funzionano parzialmente soltanto nella capitale del Paese, Juba. Dunque il rischio è che questo accordo sia soltanto una sorta di lungo cessate-il-fuoco prima di una ripresa sostanziale degli scontri.
D. – Lei ha citato l’Etiopia, che è anch’essa in preda a una grave siccità…
R. – Sì, l’Etiopia è un altro esempio di un Paese potenzialmente ricchissimo e in grado di soddisfare le esigenze della popolazione locale, ma che purtroppo deve far fronte a delle politiche da parte della classe dirigente alcune volte poco lungimiranti. L’Etiopia non solo dispone di enormi giacimenti di rame, ma anche di gas naturale. Purtroppo però gli investimenti che sono stati fatti nel Paese e gli introiti derivanti dall’industria mineraria non sono stati reinvestiti nello sviluppo di un piano agricolo che almeno possa garantire la sussistenza a una discreta parte della popolazione.
D. – L’emergenza alimentare si estende anche a Paesi più a sud, come il Malawi. Che ripercussioni?
R. – Purtroppo il Malawi è uno di quei Paesi africani spesso lontani dalle cronache internazionali. È un Paese molto povero, densamente popolato e che solo da pochi anni si sta riprendendo da una lunga stagione autoritaria. È una situazione molto complessa e difficile da gestire. Credo che soltanto la buona volontà politica - innanzitutto dei Paesi della regione, quindi Sud Africa e Mozambico – possa provare ad alleviare le sofferenze del popolo del Malawi.
Fonte: Radio Vaticana