Estremismo senza confini. La lotta a Isis e al Qaeda e il fattore Afghanistan
Cosa si è detto alla presentazione del report sull’evoluzione della radicalizzazione jihadista in Asia, realizzato dal Centro studi internazionali e dalla European Foundation for Democracy con il contributo del ministero degli Esteri
L’Asia, lontana geograficamente, è molto vicina all’Italia e all’Europa se si parla di terrorismo jihadista. Conoscere i meccanismi e le logiche dell’Isis e di al Qaeda, oltre che dei tanti gruppi semisconosciuti al grande pubblico che agiscono in mezzo mondo, diventa dunque fondamentale per comporre un quadro realistico su ciò che sta accadendo, su quello che dobbiamo aspettarci e su come reagire. La presentazione del report sull’evoluzione della radicalizzazione jihadista in Asia, realizzato dal Centro studi internazionali e dalla European Foundation for Democracy con il contributo del ministero degli Esteri, ha offerto numerosi spunti: una costante competizione tra le due grandi organizzazioni terroristiche, un’estensione territoriale sempre maggiore, un messaggio che via social network arriva dovunque. “Il jihadismo non è localizzato, dunque occorre capirne le dinamiche, altrimenti affronteremo solo gli effetti e non le cause – ha avvertito Andrea Margelletti, presidente del Cesi – e in questo l’Asia è fondamentale”.
L’ISIS FA ADEPTI ANCHE TRA I GIOVANI DI BUONA FAMIGLIA
“Il primo gruppo di affiliazione all’Isis nacque in Afghanistan per un problema politico di competizione tra gruppi” ha ricordato Francesca Manenti del Cesi, che ha curato il report con Gabriele Iacovino. Mentre al Qaeda coinvolge giovani che già sono sensibili a temi legati all’estremismo, l’Isis “trova ascolto anche in giovani di buona famiglia, che hanno la possibilità di sapere che cos’è il mondo, ma poi notano uno scollamento con la realtà”. Inoltre, la nascita del Califfato “ha dato nuova linfa vitale sotto forma di denaro, uomini e risonanza internazionale che al Qaeda non garantiva più”. La prevenzione pertanto è fondamentale, ma, secondo Francesco Farinelli della European Foundation for Democracy, “è necessaria la collaborazione della società perché non è possibile pensare che una deradicalizzazione possa sortire effetti in tempi rapidi”.
UNA TRENTINA DI FOREIGN FIGHTER TORNATI IN ITALIA
Dai forum online ai social network, l’evoluzione della propaganda jihadista è stata spiegata dal comandante del Ros dei Carabinieri, generale Pasquale Angelosanto: “Noi seguivamo la propaganda di al Qaeda dai siti ai forum, oggi invece l’Isis usa soprattutto i social network dove i suoi temi ‘rimbalzano’”. È proprio seguendo questo “rimbalzo” che gli investigatori individuano i singoli radicalizzati, tanto che, ha aggiunto il generale, “spesso si arresta una sola persona e non un’intera cellula. L’Isis utilizza il lupo solitario, al Qaeda la cellula: sono due tipologie di organizzazione che si rapportano diversamente con il territorio”. La radicalizzazione dura anni, per questo “bisogna intervenire prima, grazie anche alle norme antiterrorismo del 2015, perché l’attentato è ormai a prevedibilità zero”. Sul fronte dei foreign fighter, il comandante del Ros ha aggiornato i dati: sono 131 quelli considerati “italiani” anche se semplicemente transitati sul territorio nazionale, di cui 50 sono certamente morti nei teatri di guerra e circa 30 sono rientrati in Italia e sono in carcere o strettamente monitorati. “Tra i returnees ci sono i delusi e gli irriducibili” ha concluso Angelosanto, che ha ricordato le 266 espulsioni per motivi di sicurezza nazionale dal 1° gennaio 2015.
L’IMPORTANZA DELL’AFGHANISTAN
Una conferma che l’estremismo non ha confini è data dall’aumento “dei matrimoni tra cittadini mediorientali e del Sud Est asiatico – ha spiegato Ugo Astuto, direttore centrale della Farnesina per i Paesi dell’Asia e dell’Oceania – perché hanno la stessa base ideologica”. Quale dev’essere la risposta dell’Occidente? Andrea Manciulli, presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato, è stato secco: “Certo non una risposta solo militare. Il vero problema non è il ritorno dei foreign fighter, che pure esiste, bensì la possibile estensione del jihadismo con contorni diversi da quelli che avremmo immaginato. Asia e Africa sono centrali. Non c’è più il radicalizzato già convinto di certe idee, ma una platea di simpatizzanti con una padronanza dell’Islam limitata se non assente. Ecco perché una legislazione che favorisca la prevenzione è fondamentale dovunque, anche nei Balcani che invece ne hanno una solo repressiva”. Un’ultima notazione di Manciulli riguarda direttamente l’Italia: “Molti foreign fighter si stanno dirigendo verso Afghanistan e Pakistan, l’Italia è presente nella missione Nato in Afghanistan e ogni tanto si sente qualcuno che dice di ritirare il contingente forse senza conoscere bene l’argomento”. Un messaggio al prossimo governo.
Fonte: Formiche.net