Lo Stato Islamico e le donne: reclutamento e ruolo nell’organizzazione
Terrorismo e Radicalizzazione

Lo Stato Islamico e le donne: reclutamento e ruolo nell’organizzazione

Di Francesco Baroni
17.11.2024

Sin dalla separazione da al-Qaeda (AQ), avvenuta nel 2014, le azioni dello Stato Islamico (IS) hanno richiamato gran parte dell’attenzione internazionale riservata al terrorismo jihadista. Un aspetto interessante dell’IS rispetto ad AQ è il modo di condurre la propria propaganda. Infatti, il primo è caratterizzato dal tema della redenzione, evidenziando la possibilità per ogni musulmano, anche se ha peccato, di salvarsi unendosi all’organizzazione. Questo aspetto della narrazione del Califfato è cruciale per capire come esso si rivolga alle donne e quale ruolo sia loro riservato.

Quando si parla delle donne che decidono di partire e di stabilirsi in quelli che erano i possedimenti territoriali dell’IS, bisogna capire in primis la reale dimensione del fenomeno. Dal 2014 al 2019, infatti, fra le 600 e le 1000 donne sono partite da Paesi occidentali per unirsi al Califfato. Considerando i dati per Stato, emerge una variazione considerevole: l’11% delle reclute statunitensi erano donne, mentre rappresentavano il 43% di quelle francesi. Per riuscire a capire come avviene il reclutamento nell’organizzazione è necessario concentrarsi sul concetto di framing, ovvero il modo in cui viene presentata un’ideologia. Esso si caratterizza per una maggiore dinamicità e tende a essere adattato agli obiettivi che il gruppo vuole raggiungere, essendo fondamentale per orientare e legittimare le azioni che esso intraprende. Il framing si compone di due elementi: il master frame e il messaggio tattico. Il primo, ha lo scopo di creare una comunanza di valori riguardo a quale sia il problema da affrontare. Il secondo, invece, serve a orientare i possibili membri dell’organizzazione verso l’azione da intraprendere per arrivare a una soluzione.

Nel caso dell’IS, il frame principale è rappresentato dal rifiuto della democrazia, del liberalismo, della laicità e della parità di genere. Il messaggio tattico, ovvero la soluzione, è data dalla possibilità di unirsi allo Stato Islamico ed ambire così a poter essere il proprio vero io. La prima comparsa di un messaggio indirizzato alle donne risale all’edizione di Dabiq del febbraio 2015 in cui troviamo una colonna chiamata “To our sisters”. In questo ambito, l’IS si rivolge alle donne offrendo loro la possibilità di avere accesso alla propria fitrah o predisposizione naturale. Per farlo, dovranno recarsi nei territori dell’IS tramite un viaggio che prende il nome di hijrah, ovvero il cammino verso la purificazione. Il viaggio verso i territori dello Stato Islamico è lungo e complesso, richiedendo una forza non indifferente per essere portato a termine. Forza, questa, che viene riconosciuta dall’IS alle donne che decidono di compiere il viaggio. In un’intervista presentata sui canali di propaganda dell’IS ad una presunta donna che sarebbe immigrata presso di loro, quest’ultima dichiarava: “esso [hijrah] era un mezzo (…) che mi avrebbe rafforzata e preparata a rimanere (…) risoluta di fronte alle avversità che oggi affrontiamo”. Quando l’IS fa riferimento alla hijrah, lo fa associandovi una componente onorifica, sottolineando come le donne siano anche le depositarie dell’onore domestico.

Il ruolo che viene assegnato delle donne nella propaganda dell’IS è riassumibile in tre punti principali: costruttrici della ummah, rappresentanti dell’Islam e guardiane del Califfato. Per quanto riguarda la prima categoria, emerge in modo evidente il ruolo domestico che viene assegnato alla donna, identificandola quindi come moglie e madre. Il modo in cui viene affrontato il tema della “costruzione della ummah”, ovvero la comunità dei credenti, fa riferimento all’ampliamento numerico dei credenti che seguiranno i precetti dell’IS, andando a rafforzare i ranghi dell’organizzazione e permettendo così di combattere in maniera più efficace i loro nemici. In questo quadro, pur essendo relegate al contesto domestico, la narrazione non le presenta come passive, ma come partecipanti attive della creazione di qualcosa di più ampio. Nel caso del secondo ruolo, quello di rappresentanti dell’Islam, le donne hanno il dovere di formare spiritualmente i propri figli, contribuendo a creare bravi musulmani che seguiranno i precetti della Shari’a. Per questo motivo, il loro ruolo è considerabile come attivo, in quanto contribuiscono direttamente alla formazione dei futuri combattenti. Infine, per comprendere l’elemento delle “guardiane del Califfato”, è utile considerare il contesto storico. Infatti, di fronte alle prime pesanti sconfitte subite dal Califfato, l’IS attua un cambio di narrazione, presentando la possibilità alle donne di condurre quella che può essere definita come jihad difensiva. In sostanza, qualora l’esistenza stessa del Califfato sia a rischio, le donne sono autorizzate ad imbracciare le armi per difenderlo, contribuendo loro stesse alla sua difesa. Tuttavia, l’IS giustifica la propria chiamata alle donne del Califfato sottolineando come non si tratti di una necessità data dalla mancanza di uomini, cercando di limitare possibili danni alla propria credibilità derivanti da un ruolo di primo piano offerto a queste. Bisogna infatti ricordare che l’IS è un’organizzazione patriarcale e che il modo in cui parla alle donne è diverso dal mondo in cui parla delle donne.

Due sembrerebbero dunque le spinte che portano le donne alla decisione di aderire all’organizzazione. In primo luogo, il concetto stesso di agency esplicitato attraverso l’hijrah, ossia il viaggio percepito come opportunità di compiere qualcosa per Allah e non come mera possibilità di sposare un combattente. In secondo luogo, la scelta di unirsi all’IS può essere ricondotta al senso di oppressione della ummah, alla ricerca di una propria identità o anche al desiderio di contribuire al Califfato.

Ciò che emerge con forza è come l’IS proponga un’idea differente di ciò che sia l’autonomia di azione per le donne, alle quali viene riconosciuto una “capacità” di auto-liberazione. Nella propaganda del Califfato, le donne possono ricoprire un ruolo attivo, pur non andando minimamente a intaccare la visione fortemente patriarcale dell’IS stesso. In ultima analisi, ciò che rende ancora più pericolosa l’aggregazione delle donne al Califfato è il fatto che statisticamente sono in grado di portare a termine gli attacchi in maniera più frequente. Questo è spiegabile con una differente percezione della donna rispetto all’uomo, con la prima considerata meno propensa alla violenza rispetto ai secondi. Tali dinamiche, tuttavia, sono andate parzialmente scemando e mutando con l’indebolimento dell’IS stesso e l’evoluzione dei metodi e del bacino di reclutamento, che si registra in forte crescita nei Paesi dell’Asia centrale, Tajikistan in testa.

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