Thailandia: il possibile nuovo equilibrio istituzionale
Asia e Pacifico

Thailandia: il possibile nuovo equilibrio istituzionale

Di Roberta Santagati
04.07.2017

Con l’entrata in vigore della 20esima Costituzione lo scorso aprile, la Thailandia si prepara ad accogliere un nuovo impianto statale che permetterà di indire le elezioni alla fine del 2018 per la prima volta dopo i tre anni di regime militare.

Nella nuova Carta Costituzionale l’equilibrio dei poteri riflette lo storico legame fra la Monarchia e l’Esercito, e sembra andare in direzione di una istituzionalizzazione del ruolo dei militari e di un contenimento sia della rappresentatività popolare che del peso dei partiti politici.

In particolare, il Primo Ministro non sarà eletto dal popolo e sono previsti rappresentanti militari all’interno del Senato. Una disposizione costituzionale tutela poi il Consiglio per la Pace e l’Ordine Nazionale (CPON) dall’istaurazione di procedimenti penali a carico dei suoi membri in relazione ai fatti commessi dal momento dell’ascesa al potere.

Il CPON era stato istituito dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e attuale Primo Ministro Prayuth Chanocha in seguito al colpo di stato del 22 maggio 2014. Da allora, il Paese era stato sottoposto al regime militare con l’adozione della Costituzione ad interim del 2014, che permetteva all’Esercito di aggirare gli iter legislativi e parlamentari, controllare i media o sospendere elezioni governative locali.

La nuova cristallizzazione del ruolo dell’Esercito potrebbe pertanto esacerbare il malcontento della fetta di popolazione che già contestava l’impostazione autoritaria del regime militare e che chiedeva già da tempo l’adozione di una nuova Costituzione più democratica.

Questa insoddisfazione ha avuto l’effetto di rafforzare il supporto della frangia di sostenitori della politica di Yingluck Shinawatra, Primo Ministro fino al momento del golpe, in continuità con quella del fratello Thaksin, in carica dal 2001 al 2006 e anch’egli esautorato per mano di un colpo si stato. Questa fascia della popolazione è costituita perlopiù dalla classe imprenditoriale soprattutto rurale del nord, il cui sviluppo era stato favorito dall’unidirezionalità delle sovvenzioni economiche e delle agevolazioni sociali a discapito delle classi medie e borghesi della parte meridionale del Paese, compresa l’area di Bangkok.

Il malcontento dei sostenitori della famiglia Shinawatra sembrerebbe alla base dell’intensificazione delle attività sovversive a danno dell’Esercito, avvenute tra aprile e maggio. L’ultimo episodio, del 22 maggio, è stata l’esplosione di una bomba all’ospedale militare  Phramongkutklao di Bangkok che ha ferito 25 persone nel giorno simbolico del terzo anniversario del colpo di stato. Inoltre, le forze di sicurezza collegano la dinamica dell’incidente ad altri due casi simili, una bomba fuori dal Teatro Nazionale di Bangkok ad inizio maggio, ed un ordigno  nascosto in un cestino di fronte all’ex sede della lotteria ad aprile.

L’intensificazione di questo tipo di episodi potrebbe costituire una seria minaccia per la sicurezza interna, e si andrebbe ad aggiungere all’insorgenza di matrice etnico-religiosa presente nella parte sud del Paese.

Infatti, le province di Pattani, Yala e Narathiwat sono teatro di una guerriglia portata avanti da circa 13 anni da parte di separatisti islamici di etnia Malay. Questi sono raggruppati sotto l’organizzazione ombrello Mara Pattani (MP), mentre il braccio operativo più estremista è composto dal Barisan Revolusi Nasional (BRN).

L’acuirsi delle tensioni fra i Malay ed il Governo thailandese intorno al 2004 e la conseguente escalation del conflitto ha causato fino ad oggi la morte di circa 6.500 persone (l’ultimo attentato a Pattani ad inizio maggio ha ferito 56 persone).

La destabilizzazione dovuta alla crisi di sicurezza ha spinto il Governo ad aprire la strada del dialogo con MP. Il gruppo, che si fa portavoce dell’insorgenza etnico-nazionalista, ha come principale obiettivo l’indipendenza delle tre province, punto fondamentale di un’agenda che comprende anche la prioritarizzazione della questione del sud da parte del governo thailandese, il riconoscimento del gruppo come organizzazione legittima e partner negoziale, nonchè l’immunità per i negoziatori dell’accordo di pace.

Nonostante i dialoghi con MP siano stati ripresi nel 2016 (erano stati avviati nel 2013 ed interrotti l’anno successivo in seguito al colpo di stato), la posizione del Governo thailandese sul dossier separatista rimane ferma.

Bangkok ha infatti chiarito che l’indipendenza delle province del sud è fuori discussione.

Il principale timore è l’internazionalizzazione della questione grazie ad un eventuale appoggio della Malesia, dove vive un consistente numero di Malay, e dei Paesi dell’Organization of Islamic Cooperation (OIC), cui MP ha chiesto assistenza.

Il fallimento delle trattative del 2016 e l’esclusione delle frange separatiste più estremiste, rappresentate dal Barisan Revolusi Nasional (BRN), potrebbe intensificare la crisi di sicurezza delle regioni del sud e potrebbe per questo spingere il nuovo Governo a rivedere le sue priorità.

Tra l’altro, il divario in direttrice nord-sud, aggravato dall’insorgenza separatista, potrebbe ampliarsi in ragione della sproporzione della distribuzione degli investimenti economici.

In particolare, il governo si è impegnato nel piano quinquennale (2017-2022) della East Economic Corridor (ECC), a rafforzamento della Eastern Seabord. Il programma prevede la costruzione di autostrade, ferrovie destinate all’alta velocità e porti nelle province di Rayong, Chonburi, e Chachoengsao, ad est di Bangkok, per un’area totale di 13.285 km2, al fine di abbattere i  costi logistici dei traporti.

La concentrazione degli investimenti nelle tre regioni potrebbe quindi acuire la disparità e la polarizzazione della società a discapito delle aree meridionali.

Parte di questi fondi (il piano costerà in totale circa 43 milioni di dollari) sono stati donati dalla Cina (insieme a Giappone, Singapore e Hong Kong), considerando che l’ECC è parte del più ampio progetto One Belt One Road (OBOR), che prevede il collegamento della Cina con Asia, l’Europa e l’Africa attraverso corridoi di terra e di mare.

Gli investimenti stranieri erano stati attratti grazie ad agevolazioni fiscali e normative ad hoc appositamente previsti dal Governo, con lo scopo finale di creare un’area dinamica che possa rendere la Thailandia un Paese di punta per gli investimenti ed il business dell’ASEAN.

L’ambizione di Bangkok si pone in linea con la libertà economica e la generale politica pro-investimenti che hanno favorito l’espansione economica thailandese negli ultimi quattro decenni ma che è stata indirizzata soprattutto ai centri urbani, creando delle sacche di provertà nelle aree rurali.

La crescita economica ha tuttavia subito un calo nel biennio 2013-2014 a causa dei disordini legati al golpe. Il dato conferma ancora una volta che la normalizzazione della società sotto il profilo socio-economico e soprattutto sotto il profilo securitario dovrà essere un pilastro fondamentale nella strategia del nuovo Governo.

Al di là del risultato delle elezioni del 2018, il ruolo predominante dell’Esercito garantirà una certa continuità della direttrice politica rispetto agli ultimi anni. Anche il nuovo re Maha Vajiralongkorn sembra essersi posto in linea con tale impostazione, nonostante un timido tentativo, poi ritratto, di modificare il nuovo testo costituzionale prima dell’entrata in vigore.

Perlopiù estraneo alla vita di corte e conosciuto per i suoi comportamenti eccentrici, quest’ultimo si trova ad affrontare l’eredità della figura carismatica e popolare del padre Bhumibol, morto nell’ottobre del 2016, che era arrivato a diventare oggetto di culto per i suoi sudditi nei suoi 70 anni al potere. Il consenso che riuscirà ad ottenere dal popolo potrà essere un’ulteriore variabile nell’ambito del quadro politico ed istituzionale thailandese.

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