Strage di Majdal Shams: possibili impatti ed evoluzioni nello scenario mediorientale
Medio Oriente e Nord Africa

Strage di Majdal Shams: possibili impatti ed evoluzioni nello scenario mediorientale

Di Giuseppe Dentice
29.07.2024

Nel pomeriggio di sabato 27 luglio, un razzo partito dal Libano e presumibilmente lanciato da Hezbollah ha colpito un target civile a Majdal Shams, una cittadina drusa nel Golan conteso e annesso unilateralmente da Israele nel 1981. Il bilancio dell’attacco recita 12 morti e 29 feriti, molti dei quali dei ragazzini uccisi durante una partita di calcio. L’episodio ha provocato immediatamente la reazione israeliana, che, nella notte tra il 27 e il 28 luglio, ha risposto con un attacco con droni contro sette località del Libano meridionale.

Se i fatti possono essere derubricati ad un errore balistico da parte di Hezbollah contro la popolazione drusa di origine siriana, è pur vero che tale episodio non è destinato ad esaurirsi da un punto di vista politico-militare. Le ripercussioni e i possibili impatti avvenuti sulle Alture del Golan sono ancora ben lontani dal poter essere pienamente identificati a causa della fluidità del contesto regionale post-7 ottobre 2023, con le aree di confine tra Libano e Siria a nord di Israele divenute sempre più l’epicentro degli scontri a fuoco tra Tel Aviv, Hezbollah e le varie milizie sciite vicine all’Iran e presenti in quella porzione di Levante. Allo stesso tempo, la portata dell’attacco avvenuto a Majdal Shams potrebbe comportare una nuova escalation nell’area con ricadute più ampie, vista la plausibile e massiccia risposta militare israeliana che avverrà in un arco di tempo non troppo dilatato rispetto ai fatti del 27 luglio.

Quanto emerso, quindi, ci porta dinanzi a tutta ad una serie di considerazioni e variabili da valutare. Tuttavia, anche al netto delle rapide evoluzioni in corso, gli eventi a Majdal Shams non avvicinano lo scenario politico-militare regionale oggi vigente ad un conflitto aperto e diretto in maniera più forte ed evidente di quanto accaduto una sola settimana fa, quando lo scambio di rappresaglie tra Israele e milizie yemenite Houthi avevano contribuito ad ampliare sensibilmente il raggio d’azione e di scontro tra gli attori coinvolti, nonché a porre in essere sviluppi repentini e altamente destabilizzanti per l’intero arco di crisi mediorientale. Infatti, quanto accaduto sul Golan non avvicina né aumenta le possibilità di un conflitto tra Israele e Hezbollah, così come non deve essere sottostimata la portata dei fatti in quanto l’accaduto ha contribuito, così come gli accadimenti in Yemen, a cambiare ulteriormente le poste in palio e a rendere ancora più complicato lo scenario regionale.

Un dato, però, diviene ancor più manifesto: la dinamica di Gaza e la sorte degli stessi palestinesi sono stati ridimensionate o, forse meglio dire, ricondotte – soprattutto per volontà israeliana – all’interno dell’alveo della chiave di lettura dominante, ossia la conflittualità latente tra Tel Aviv e Teheran. Una prospettiva, questa, di fatto, ormai divenuta centrale anche da un punto di vista retorico, specie nelle affermazioni continue da parte del governo israeliano contro l’Iran e i suoi proxy d’area tra Libano, Siria, Iraq e Yemen. In tale inquadramento, i fatti di Majdal Shams potrebbero divenire un acceleratore per un ampliamento completo del confronto armato regionale che oggi va in scena sotto forme più contenute e controllate soprattutto lungo la Blue Line tra Israele e Libano. Non a caso, dal punto di vista di Tel Aviv, anche in risposta ai fatti di Majdal Shams, sarebbe più opportuno esercitare pressioni diplomatiche sui partner arabi e internazionali, al fine di convincerli della necessità di rilanciare quella che Benjamin Netanyahu, nel suo discorso al Congresso USA della scorsa settimana, ha definito come l’“Alleanza di Abramo”, ossia una un’ampia e condivisa cordata di attori regionali, supportati da Washington, interessati ad affrontare la minaccia iraniana, intesa come una pericolosa e costante minaccia per la stabilità dell’intero Medio Oriente.

In quest’ottica, quindi, qualsiasi azione di risposta israeliana deve tenere in considerazione una qualsiasi reazione uguale e contraria o anche una possibile sproporzione nella contro-rappresaglia. Di fatto, se il governo Netanyahu autorizzasse un’azione contro il Libano e, nella fattispecie, Beirut sarebbe inevitabilmente quella la mossa che definirebbe il passo successivo all’inizio di un conflitto aperto, che tutti sconsigliano – almeno ufficialmente – a parole, ma nessuno rifugge e, anzi, ci si mostra pronti ad intervenire se necessariamente costretti. Viceversa, un attacco, anche duro, contro postazioni strategiche rilevanti di Hezbollah o infrastrutture civili nel sud del Libano, non dovrebbe comportare un cambio di passo così rilevante, quantomeno non nella misura della prima opzione considerata. In questo caso, i fatti ricadrebbero nella tendenza in costante crescita per forza e violenza sin dall’8 ottobre 2023, ma non andrebbe a ridefinire nuove ramificazioni e impatti regionali, al livello geopolitico e strategico. Ciò non toglie, però, che il contesto in corso di evoluzione sia decisamente pericoloso e non meno preoccupante di quanto accaduto nei mesi e nelle settimane scorse. In altre parole, confermerebbe la tendenza rendendola comunque di difficile lettura per tutti gli interessati, in quanto preoccupati da scenari troppo minacciosi per i rispettivi interessi domestici, regionali e internazionali.

In questa evoluzione, tutta la comunità internazionale è al lavoro per impedire sconvolgimenti di massima, un po’ come avvenuto nell’aprile di quest’anno in occasione delle rappresaglie incrociate tra Israele, Hezbollah e Iran. Infatti, Washington e Beirut – e forse anche Teheran – sono certi che a stretto giro Tel Aviv interverrà con una risposta, seppur non ancora chiara e definita nella portata. Al contempo, Stati Uniti, Unione Europea e Paesi arabi continuano a muoversi su una difficile quanto ormai logora linea sottile di mediazione nel tentativo di impedire l’irreparabile, benché, difficilmente, tale stato dei fatti potrà produrre una situazione conservativa nel breve-medio periodo. Altresì, è innegabile che tutti gli attori regionali considerano l’emergere di un possibile casus belli come un qualcosa di ineludibile. Il punto non sembra quindi il “come” fermare l’escalation, ma il “quando” questa diverrà inarrestabile e se siamo vicini ad una situazione nella quale i tentativi di mediazione saranno inapplicabili in ragione di una dimostrazione di forza da dover esercitare per ragioni di status e influenze contro i reciproci competitor e supporter nell’area.

Verosimilmente, siamo ancora in una fase in cui tutti gli interessati sono attenti a misurare parole, azioni e risposte nel timore che uno scenario di guerra regionale caotico e geograficamente convulso diventi un qualcosa di assolutamente ingestibile. Infatti, ad oggi, Israele non ha ancora ritirato i suoi delegati dai tavoli negoziali a Roma, il Cairo e Doha, così come le cancellerie mediorientali del Golfo sono iper-attive nel tentativo di non vanificare totalmente quel che rimane di quei lunghi tentativi de-escalatori che erano stati in parte raggiunti nella regione prima del 7 ottobre 2023.

Pertanto, siamo dinanzi ad un contesto troppo convulso e dipendente da diverse variabili in gioco per poter definire con certezza una trasformazione plausibile nella dinamica ormai dominante tra Israele e Iran. Tuttavia, proprio i vari elementi di criticità potrebbero condurre ancora una volta gli attori a non ricercare azioni di forza nel tentativo di non peggiorare i rispettivi interessi in gioco nel complesso e mutevole puzzle mediorientale.

Photo credit: David Cohen/Flash90_Times of Israel https://www.timesofisrael.com/hezbollah-on-high-alert-after-deadly-majdal-shams-attack-as-us-urges-de-escalation/

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