Niger: il coinvolgimento nella lotta al terrorismo nel Sahel e gli interessi stranieri legati all’uranio
La crescente domanda mondiale di uranio e le strategie dei Paesi la cui produzione energetica dipende in misura non trascurabile dall’accaparramento di questo minerale hanno risvegliato l’interesse per il Niger in una fase estremamente delicata per il Paese. I media internazionali hanno spesso concentrato la loro attenzione sugli avvenimenti della regione saheliana e i timori che l’instabilità venutasi a creare a seguito della crisi maliana possa generare delle turbolenze di lungo periodo.
Il Niger, il cui territorio è prevalentemente desertico, è tra i primi produttori al mondo del minerale impiegato nella produzione di energia nucleare. La Francia, ex madrepatria, sfrutta da mezzo secolo questi giacimenti e deve impedire ad ogni costo che il diffondersi dell’instabilità nella regione del Sahel possa minacciare i propri interessi strategici. A distanza di pochi mesi dall’intervento militare in Mali, anche il suolo nigerino è stato preso di mira dai miliziani appartenenti a gruppi d’ispirazione qaedista. Nonostante la protezione dei siti minerari da parte delle forze speciali transalpine ai giacimenti di uranio di Arlit, nel nord del Paese, due attentati quasi simultanei hanno provocato la morte di oltre venti persone. Gli attacchi, avvenuti il 24 maggio e realizzati con l’impiego di autobombe, hanno riguardato una caserma dell’esercito nigerino ad Agadez e il sito uranifero di Arliz gestito dal colosso francese Areva.
Il Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest (MUJAO), uno dei gruppi islamici legati ad Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) che l’anno scorso ha preso parte alla conquista delle tre regioni del nord del Mali, ha rivendicato gli attacchi. Ciò che è più inquietante è il fatto che, secondo l’agenzia stampa mauritana Nouakchott, il duplice attentato sarebbe stato realizzato con l’ausilio del Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue. Il loro leader, Mokhtar Belmokhtar avrebbe coordinato personalmente gli attentati. Lo stesso Belmokhtar, soprannominato “le Borgne”, (il guercio), ha minacciato di intensificare le azioni in Niger e in tutti i Paesi intervenuti al fianco della Francia in Mali contro il jihad in Mali. In questo difficile scenario s’inseriscono le pretese di altri attori di proteggere gli interessi nazionali. Il Niger, quindi, è sempre più sotto pressione e comincia a sperimentare il dilemma comune a molti Paesi africani, cioè quello di decidere se e in che misura rafforzare la cooperazione militare e economica con i Paesi occidentali e rischiare l’escalation di rappresaglie terroristiche nel proprio territorio. Del resto, l’opzione di un allontanamento dai paesi occidentali sembra sempre meno praticabile, anche alla luce del fatto che la minaccia del fondamentalismo islamico non proviene solo dal Mali, ma anche dalla vicina Nigeria. Boko Haram, la setta che da anni insanguina il nord del Paese nel tentativo di instaurare la sharia, vanta solidi legami con AQIM e possiede basi logistiche e campi di addestramento sul territorio nigerino.
Dal canto proprio, il governo di Parigi non ha avuto esitazioni a dispiegare una forza militare in Mali nella consapevolezza che questo servisse ad impedire l’avanzata dei ribelli verso Bamako. Ora, però, il quadro si complica. La Francia, vista la sostanziale dipendenza dal nucleare e in assenza di fonti energetiche alternative nel breve e medio periodo, è sicuramente il Paese ad essere maggiormente interessato alla stabilità in queste aree. Circa l’80% dell’energia elettrica prodotta in Francia proviene dai 59 reattori nucleari attualmente in servizio nel territorio d’oltralpe. Secondo i dati di un’apposita commissione parlamentare del 2008, incaricata di valutare gli approvvigionamenti energetici del paese, il 18% dell’uranio necessario ad alimentare queste strutture proviene dal Niger. Se si considera che, stando ai dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), la quantità di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari potrebbe passare dagli attuali 370 GW a oltre 700 GW entro il 2030, si comprende che la posta in gioco è altissima e tale da giustificare una vera e propria corsa all’accaparramento del prezioso minerale, se necessario anche con l’uso della forza. Se è vero che Parigi, attraverso la multinazionale Areva, detiene da mezzo secolo il monopolio dello sfruttamento dei giacimenti nigerini, negli ultimi anni questa supremazia ha cominciato ad essere messa in discussione. Infatti, il governo di Niamey ha percepito le potenzialità del prezioso minerale e la capacità del Paese di attirare investimenti esteri, anche più fruttuosi di quelli garantiti finora da Parigi. Dal 2000, infatti, sono decine le imprese provenienti dal Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Cina che si sono aggiudicate le oltre 150 concessioni governative per la sfruttamento delle risorse minerarie, di cui il 76% riguarda il solo uranio. L’Areva, che ha già una forza lavoro di oltre 2.700 operai impegnati nelle due miniere di Arlit e Akauta, conta di espandere ulteriormente la propria quota di produzione con l’inaugurazione del sito uranifero di Imouraren, prevista per il 2014. La nuova miniera, che comporterà un investimento di 1,2 miliardi di euro, con le sue 5.000 tonnellate di uranio l’anno diventerà la seconda al mondo per capacità produttiva una volta a regime.
Anche dall’interno del Paese provengono motivi di preoccupazione per l’Areva. Il presidente nigerino, Mahamadou Issoufou, ha annunciato alla fine del 2012 l’intenzione di avviare nuove trattative con i vertici del colosso francese per rinegoziare il prezzo dell’uranio estratto. Issoufou, che è sempre alle prese con le proteste delle comunità locali interessate dalle attività estrattive, ha definito esigue le entrate derivanti dalla tariffe corrisposte da Areva e ha sottolineato la necessità di inaugurare un nuovo corso per riequilibrare la situazione a favore del Niger.
Gli Stai Uniti stanno cercando di accrescere in misura non trascurabile lo loro influenza. La lotta al terrorismo internazionale nell’agenda di Washington è tuttora una voce che assorbe una grande fetta del bilancio della difesa. Il Generale Carter F. Ham, comandante in capo dell’AFRICOM, ha illustrato in una seduta della House Armed Service Committee del 15 marzo di quest’anno alcune delle priorità in fatto di sicurezza nazionale. Ham ha identificato le organizzazioni dell’estremismo islamico operanti nel Sahel come una minaccia da non sottovalutare per gli Stati Uniti e i propri alleati. Tra le prime tre figurano AQIM, Boko Haram e al-Shabaab. Fonte di particolare preoccupazione per il Pentagono è il fatto che questi gruppi, complice anche l’estrema porosità delle frontiere in Paesi come il Mali, Niger e Nigeria, sono sempre più interconnessi e riescono con relativa facilità a far transitare armi e combattenti per alimentare il jihad oltre i confini nazionali. Il comandante di AFRICOM ha riconosciuto la necessità di intensificare gli sforzi per sostenere l’impegno francese non solo in Mali, ma in tutta la regione. Il supporto statunitense è stato garantito mediante il sostegno logistico e di intelligence, nonché rifornimenti di attrezzature e materiali. Anche gli aerei senza pilota sono stati impiegati in queste aree. Recentemente il Presidente Barrack Obama ha annunciato la creazione di un’apposita base per i droni statunitensi in prossimità della capitale Niamey, ma che sarà presto trasferita a Agadez. Non è ancora chiaro se la serie di attentati influenzerà la decisione statunitense di trasferire l’installazione in quest’ultima città.
Oltre alla sorveglianza nell’area del Sahel, la crescente presenza statunitense in Niger è giustificata da altre ragioni. Una di queste potrebbe essere il monitoraggio dei trasferimenti esteri di uranio, soprattutto se a richiedere il prezioso minerale si candidano i regimi che rappresentano una minaccia per la sicurezza internazionale. Ad aprile il Presidente iraniano, Mohamoud Ahmadinejad, si è recato in visita per due giorni in Niger. Ufficialmente si trattava di un incontro finalizzato a rafforzare la cooperazione economica in materia di agricoltura, sanità, commercio e sicurezza alimentare, ma si è sostenuto da più parti che il vero obiettivo di Teheran fosse la fornitura di uranio per alimentare il tanto discusso programma nucleare.
Anche sul fronte interno vi sono stati negli ultimi anni diversi fattori che hanno minato la stabilità e la sicurezza del Paese. Il presidente Issoufou, leader del Nigerien Party for Democracy and Socialism (PNDS), è stato eletto ad aprile 2011 a seguito di un biennio di transizione politica. L’ordine democratico era stato compromesso nel 2009, quando l’ex presidente Mamadou Tanja aveva tentato di restare in carica oltre il secondo mandato mediante un controverso emendamento costituzionale. Un colpo di Stato militare rovesciò il governo e facilitò l’insediamento del Supreme Council for the Restauration of Democracy incaricato di guidare il Paese verso l’adozione di una nuova costituzione e elezioni democratiche. L’economia nazionale si basa essenzialmente sull’agricoltura di sussistenza e lo sfruttamento delle risorse minerarie. Il settore agricolo garantisce il 40% del PIL nigerino, ma la sicurezza alimentare è costantemente minacciata da siccità e desertificazione del territorio. L’instabilità politica interna del 2009 ha ulteriormente aggravato la situazione economica a causa della sospensione di molti aiuti da parte dei Paesi donatori. Negli ultimi anni, inoltre, il Niger ha subito i contraccolpi degli eventi nei Paesi confinanti quali Costa d’Avorio, Libia e Nigeria. Circa 300.000 nigerini sono rimpatriati e le casse dello stato hanno perso importanti introiti derivanti dalle rimesse degli emigranti. Solo dalla fine del 2011 si è assistito ad una sensibile ripresa. Nel 2012 il PIL nigerino ha fatto registrare un incremento dell’11% ed è previsto un ulteriore aumento del 6% per il 2013. Gran parte del merito è da attribuirsi all’aumento degli investimenti nel settore minerario. Nel 2011 è stata avviata la produzione petrolifera nei giacimenti di Zinder, accreditati di 20.000 barili al giorno. Per quanto riguarda l’uranio, una volta completata la miniera di Imouraren, il Niger sarà in grado di raddoppiare l’estrazione e diventerà il secondo produttore a livello mondiale.
Sul piano interno, il presidente Issoufou deve fronteggiare importanti sfide per assicurare la tenuta del governo e la stabilità sociale. Pur se il quadro politico rimane sostanzialmente stabile, si è assistito negli ultimi due anni all’aggravamento della situazione umanitaria. Secondo i dati dell’UN Office for Humanitarian Coordination (OCHA), sono oltre 800.000 le persone che necessitano di aiuto alimentare nel Paese. L’arrivo di 60.000 rifugiati dal Mali e la tendenza inflazionistica dei prezzi per i generi di prima necessità sono fattori suscettibili di creare tensioni sociali in quello che rimane tra i Paesi più poveri al mondo.
Alcuni provvedimenti adottati dal governo finalizzati a contrastare la corruzione hanno suscitato aspre polemiche nel Paese. Un esponente di spicco del principale partito dell’opposizione, il National Movement for the Development of the Society (NMDS), lo stesso dell’ex presidente Tanja, è stato arrestato all’inizio di maggio del 2013 per aver intascato tangenti per un valore di 40 milioni di dollari. I fatti imputati a Foukory Ibrahim si riferiscono a quando questi era a capo della compagnia elettrica statale, la NIGELEC. Non sono mancate le voci critiche di chi sosteneva che il procedimento giudiziario fosse politicamente motivato. Anche la compagine governativa è stata interessata da vicende analoghe. L’anno scorso, infatti, due ministri sono stati estromessi dal loro incarico per la presunta condotta illegale in materia di appalti pubblici.
L’opposizione non resta a guardare e alza il tiro. Gli incessanti attacchi ai danni del governo hanno costretto alle dimissioni il ministro della giustizia e portavoce del presidente Issoufou, Marou Amadou. Seini Oumarou, capo del principale partito rivale, ha tenuto una conferenza stampa poche settimane fa in cui ha denunciato la pessima gestione del bilancio e lo spreco di denaro pubblico del Capo dello Stato.
Anche il Niger è alle prese con un gruppo ribelle di etnia Tuareg che ha ingaggiato la lotta armata contro Niamey. Si tratta del Nigerien Movement for Justice (MNJ), a cui si sono aggregati esponenti di etnia Fulani e Toubou. L’MNJ ha iniziato a combattere nel 2007 a seguito del mancato rispetto degli accordi di pace con il governo centrale. Si devono a questo gruppo numerosi attentati e sequestri di persona ai danni dei militari nigerini, a cui le truppe governative hanno risposto con il pugno di ferro, imponendo il coprifuoco e la militarizzazione di vaste aree delle regioni del nord. Esistono, però, importanti differenze tra i tuareg maliani e quelli nigerini in termini di organizzazione, rivendicazioni e obiettivi politici. Pur condividendo lo stesso risentimento nei confronti del potere centrale a causa della tradizionale marginalizzazione, i Tuareg in Niger, contrariamente a quelli maliani, non nutrono aspirazioni secessioniste, ma si battono per una più equa ripartizione dei proventi delle risorse del loro territorio e, soprattutto una maggiore attenzione a questioni ambientali, quali la limitazione dei terreni destinati alle attività estrattive. Altra differenza è la diffusione dei Tuareg nel Paese. In Mali sono concentrati nelle tre regioni del nord, mentre in Niger sono meglio distribuiti nel territorio nazionale. Infine, un altro fattore che ha contribuito ad attenuare sensibilmente le tensioni e a scongiurare, almeno per ora, nuove ondate di violenza è il fatto che Issoufou abbia garantito una certa inclusione/integrazione dei Tuareg sul piano istituzionale. Lo stesso primo ministro, Brigi Rafini, è di etnia Tuareg.
Allo stato attuale, la principale fonte di preoccupazione per la sicurezza del Niger proviene dalla rete terroristica AQMI, soprattutto da quando le operazioni militari francesi in Mali hanno costretto gran parte dei miliziani di questo gruppo ad abbandonare le loro roccaforti e trovare rifugio nei Paesi vicini. E’ stato accertato, per esempio, che molti affiliati del MUJAO e di Ansar al-Din si sono nascosti nelle aree montagnose del Mali in prossimità del confine algerino, ma diversi esperti si dicono convinti che molte altre aree della regione saheliana possano essere interessate dal flusso di miliziani in fuga. Alcuni fattori rendono il Niger un Paese particolarmente esposto al rischio di diventare una nuova area di insediamento del fondamentalismi islamico o, almeno, un facile bersaglio. In primo luogo, la presenza delle comunità Tuareg e arabe più o meno ostili al governo centrale e, pertanto, verosimilmente propense a stringere legami con il MUJAO. In secondo luogo, Niamey è da tempo interessata dal transito di merci contrabbandate dai trafficanti della regione. Infine, il supporto garantito dal Niger alle operazioni militari in Mali, attraverso l’invio di 650 soldati e l’utilizzo del proprio territorio per il transito delle truppe ciadiane, ha sicuramente aumentato le possibilità di rappresaglie da parte degli integralisti islamici.
Un’altra area di crisi è il confine meridionale con la Nigeria, in cui si assiste alla crescente infiltrazione di militanti di Boko Haram, specialmente da quando le forze di sicurezza nigeriane hanno iniziato a rastrellare le regioni maggiormente a rischio di attentati, in particolare Borno e Yobe State, in cui sono stati effettuate centinaia di arresti e scontri con presunti terroristi. Cinque membri di Boko Haram sono stati arrestati dalla polizia nigerina a Zinder, una città che insieme a Diffa è ritenuta essere molto frequentata dai miliziani della setta. Le polizie di frontiera incontrano grandi difficoltà ad assicurare il controllo di questi territori a causa dell’esiguità delle forze in campo rispetto ad un’estensione di 950 km del confine Niger/Nigeria. Le affinità culturali e motivazioni di carattere economico favoriscono la grande mobilità delle persone da un Paese all’altro.
Come si è visto, il Niger è sempre più al centro sia delle attività dei gruppi di ispirazione qaedista sia delle politiche occidentali di protezione e tutela dei propri interessi. Da un lato, i Paesi occidentali intenzionati a difendere i propri interessi economici, ma che comunque forniscono preziosi aiuti e investimenti indispensabili allo sviluppo del Paese. Dall’altro, le organizzazioni terroristiche che sfruttano l’arretratezza e la povertà per assicurarsi l’appoggio delle comunità locali. Niamey, però, sembra aver acquisito piena consapevolezza dei rischi che corre e gioca le sue carte cercando di mantenere il delicato equilibrio tra gli interessi degli attori nazionali e internazionali. Le vicende maliane dovrebbero insegnare che la stabilità interna non è affatto garantita da misure esclusivamente militari. A questo proposito il presidente Issoufou è chiamato ad una sfida di integrazione politica e di miglioramento delle condizioni economico-sociali delle diverse etnie nigerine al fine di scongiurare quei fenomeni di radicalizzazione religiosa e di insorgenza su base etnica che tradizionalmente colpiscono i Paesi africani.