Lo sviluppo militare della Grecia in un Mediterraneo Orientale sempre più contestato
Nell’ultimo decennio gli equilibri geopolitici del Mediteranno si sono evoluti con grande rapidità. Mentre alcuni Paesi rivieraschi hanno approfittato del mutamento di scenario per aumentare la propria presenza e ambire a convertirsi in medie potenze regionali, altri hanno dovuto fare i conti con la postura proattiva dei primi. Fra questi vi è certamente la Grecia, che recentemente ha avviato un importante programma di sviluppo e ammodernamento delle proprie Forze Armate, per far fronte ad un Mediterraneo Orientale sempre meno sicuro e al centro di acri contese e, in particolar modo, all’espansionismo turco. Nonostante i rapporti tra Ankara e Atene siano sempre stati contraddistinti da un’aperta rivalità, e la Turchia abbia sempre avuto una postura particolarmente assertiva nei confronti della Grecia, negli ultimi anni si è assistito ad un particolare inasprimento delle tensioni.
A riaccendere il confronto tra i due Pesi sono stati principalmente due fattori. Da un lato vi è la rinnovata competizione per l’accesso ai giacimenti idrocarburici. È a partire dal 2009, infatti, quando furono scoperti importanti giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo Orientale, che Grecia e Turchia ambiscono a convertirsi nel nuovo hub energetico del Mediterraneo. Per raggiungere tale obiettivo risulta però necessaria una chiara delimitazione delle acque territoriali e in particolare della Zona Economica Esclusiva (ZEE) che, secondo il diritto internazionale, permette lo sfruttamento individuale delle risorse marittime. Lo scontro sulla definizione giuridica di tali aree si è riacceso nel 2019, quando la Turchia ha firmato un accordo con il governo libico di Tripoli sulla delimitazione della propria ZEE. L’accordo prevede che una porzione di acque, appartenenti alla ZEE di Creta, venga attribuito alla Turchia impedendo così la contiguità tra la ZEE greca e quella cipriota, che favorirebbe di fatto la costruzione del gasdotto Eastmed. La legalità del trattato bilaterale è quindi stata contestata dalla Grecia che, in risposta, ha agito siglando un accordo della stessa natura con l’Egitto, fortemente criticato dalla Turchia.
La postura e le recenti iniziative di Ankara vanno inserite all’interno del più ampio progetto di espansione turco all’interno del dominio marittimo, i cui principi e obiettivi sono stati distillati ed argomentati dalla nuova dottrina militare Mari Vatan (Patria Blu). Tale documento, infatti, propone non solo l’allargamento del perimetro acquifero considerato da Ankara di interesse strategico nazionale, ma anche un ambizioso piano di ammodernamento e sviluppo capacitivo che renda la Marina turca uno dei principali player militari del Mediterraneo, in grado di competere in una situazione near-peer con i principali security provider che operano all’interno del suo bacino.
Ad ulteriore riprova ti tale rinnovata assertività, la scorsa estate la Turchia, non riconoscendo l’estensione della ZEE greca, ne ha violato apertamente i limiti geografici, inviando una nave per l’esplorazione dei fondali, la Oruc Reis, per una campagna navale a largo dell’isola di Kastellorizo. La Grecia ha risposto prontamente, allertando le proprie Forze militari e rafforzando la presenza della propria Marina nel Dodecaneso. Proprio all’interno di questo scenario è avvenuto uno scontro navale, che ha coinvolto la fregata greca Limnos, che secondo fonti greche stava compiendo manovre di disturbo, e una delle fregate turche inviate a scorta della Oruc Reis. L’episodio, ulteriore espressione dell’acuirsi delle tensioni tra Grecia e Turchia, ha attirato su di sé i riflettori della politica internazionale. L’intervento diplomatico degli Stati Uniti e in particolare della NATO, la quale ha istituito un importante canale di deconfliction, ha contribuito significativamente ad abbassare il livello della tensione.
Per far fronte al significativo peggioramento del quadro securitario del Mediterraneo Orientale, Atene ha deciso di intraprendere un programma di ristrutturazione delle proprie Forze Armate, principalmente in funzione anti-turca. Tale sforzo mira a potenziare le capacità greche di deterrenza, situational awareness e power projection, sia nel dominio marittimo, che nel dominio aereo. Oltre ad intraprendere importanti iniziative di procurement, il Premier Mitsotakis ha annunciato che Atene intende rafforzare il proprio organico militare, reclutando ulteriori 15.000 professionisti da qui al 2025 ed estendendo il periodo di leva da 9 a 12 mesi. Quest’ultimo provvedimento ha lo scopo di liberare le risorse umane più esperte e addestrate dai compiti a basso rischio, destinandole ad aree più ‘calde’ per operazioni di maggiore rilievo.
Tra le varie Forze Armate, attualmente è l’Aeronautica greca ad aver maggiormente beneficiato di tale programma di sviluppo militare. Il Parlamento greco ha recentemente approvato un contratto con la Francia per l’acquisto di 18 cacciabombardieri Dassault Rafale. Di questi, 12 di seconda mano saranno consegnati in tempi brevi, mentre i successivi 6 saranno completamente nuovi e tutti aggiornati allo standard F3R. Il contratto prevede anche la fornitura di missili stand-off Scalp, missili antinave AM-39 Exocet, nonché missili aria-aria a medio-lungo raggio Mica e Meteor. Tale capacità d’attacco consentirà di incrementare notevolmente il potere di deterrenza dell’aviazione greca, attualmente ferma alla tecnologia dell’F-16C/D, nei confronti dei principali competitor regionali. Il Rafale, infatti, grazie al suo radar a scansione elettronica di ultima generazione e alle sue capacità di guerra elettronica, consente di svolgere operazioni complesse anche all’interno di scenari particolarmente poco permissivi, a fronte di uno spazio elettromagnetico congestionato e alla presenza di sistemi di difesa aerea allo stato dell’arte, quale l’S-400 turco. La decisione di affidarsi all’industria francese per questa ingente commessa può essere letta alla luce di vari elementi, sia tecnici che politici. Da un lato, infatti, la Grecia possiede già altri velivoli militari di produzione francese quali i cacciabombardieri Dassault Mirage 2000EG/BG e Dassault Mirage2000-5/Mk2 integrati rispettivamente nel 1985 e nel 2000. Dall’atro, la Francia è uno tra i pochi Paesi europei ad aver adottato una postura netta ed assertiva all’interno dello scenario del Mediterraneo Orientale, orientata a favore di Atene e in aperto contrasto con Ankara. Non è un caso, infatti, che la Marina francese, subito dopo l’incidente di quest’estate tra la fregata turca e la nave greca, abbia preso parte ad un’esercitazione congiunta con Cipro e Grecia, inviando diverse unità navali e aree a largo delle coste cretesi.
La Francia potrebbe giocare un importante ruolo anche nello sviluppo delle capacità della Marina ellenica. Atene ha recentemente espresso la volontà di acquistare quattro nuove fregate multiruolo di nuova generazione che andranno ad affiancare le quattro fregate classe MEKO 200 di fabbricazione tedesca entrate in servizio nei primi anni ’90, ora sottoposte a un processo di ammodernamento. Atene necessita infatti di piattaforme di nuova generazione, in grado non solo di pattugliare e condurre operazioni di sicurezza marittima in spazi contestati, ma anche di fornire una valida difesa missilistica e un importante contributo alla lotta antisommergibile, alla luce di un considerevole aumento delle attività turche in tale settore. Attualmente il governo greco non ha ancora deciso a quale partener strategico si affiderà, ma sul tavolo sono già in competizioni varie offerte. Da un lato vi è la Francia con la proposta di 4 fregate FDI Belharra, piattaforme di media grandezza con un sistema di VLS a 32 celle compatibile con missili antiaerei Aster, antinave Exocet MM40 e lancia siluri per la lotta antisommergibile (ASW).
Dall’altro vi sono gli Stati Uniti, con l’azienda Lockheed Martin che propone la vendita di quattro esemplari del progetto Multi-Mission Surface Combatant (MMSC), inizialmente pensato per la Marina Reale Saudita. Attualmente tale ipotesi sembra la più remota, dal momento che a fronte dell’urgenza di acquistare un prodotto affidabile, testato e off-the-shelf, le MMSC si presentano ancora come un prototipo, con tempi di sviluppo e produzione piuttosto lunghi. Tuttavia, qualora tale commessa andasse ad intersecare ulteriori interessi non solo strettamente militari, ma anche politico-economici at large, Lockheed Martin potrebbe proporre la costruzione di tali fregate nei cantieri Onex Shipyards nell’Isola di Syros, con grande beneficio per il tessuto industriale greco. Sempre con gli Stati Uniti, inoltre, Atene ha recentemente siglato un contratto per la fornitura di tre elicotteri MH-60R, che si andranno ad aggiungere ad altri quattro precedentemente ordinati. Tali aeromobili giocheranno un ruolo importante nello sviluppo delle capacità anti-nave e anti-sommergibile greche, dal momento che possono essere equipaggiati con missili Hellfire e siluri leggeri ATK MK, e sarebbero perfettamente integrabili e interoperabili con le eventuali Multi-Mission Surface Combatant.
Non da ultimo, la Grecia sta prendendo in considerazione anche la possibilità di acquistare 4 fregate FREMM italiane. La fregata multi-missione realizzata da Fincantieri in partnership con Leonardo è, ad oggi, uno dei modelli di fregata più innovativi, flessibili e performanti a livello globale, tanto da essere stata selezionata come piattaforma dalla US Navy per le fregate di nuova generazione FFG(X). Occorre tenere in considerazione anche la recente cessione delle due FREMM della Marina Militare italiana all’Egitto, partner di rilievo per Atene, con cui condivide importanti interessi energetici, ma anche securitari. Un’eventuale vittoria italiana in tale commessa non rappresenterebbe soltanto un importante riconoscimento industriale, ma consentirebbe all’Italia di erodere lo spazio di influenza francese e di stringere legami diplomatico-militari più solidi con la Grecia.
Con molta probabilità la diplomazia giocherà un ruolo preponderante sulle sorti di tale commessa. Atene selezionerà il partner industriale sulla base di più fattori. Da un lato, rimane certamente fondamentale la valutazione tecnica circa il soddisfacimento dei requisiti operativi, nonostante tutte le proposte sinora avanzate siano macroscopicamente equipollenti e le restrizioni di budget continuino a pesare significativamente all’interno dell’equazione. Dall’altro, la Grecia potrebbe sfruttare l’occasione per approfondire ulteriormente i legami strategici con Paesi utili alla sua politica estera e militare nel Mediterraneo Orientale. Atene, infatti, se da un lato cerca di perseguire il raggiungimento di un certo livello di autonomia strategica, utile alla difesa del proprio territorio e dei propri interessi regionali, andando a colmare importanti gap capacitivi in termini di potere aereo, deterrenza, lotta antisommergibile, power projection marittima e difesa aerea, dall’altro utilizza tali programmi di sviluppo e acquisizione come strumenti utili alla sua politica di alleanze, alla luce di una partita energetica nel Mediterraneo Orientale prossima ad inasprirsi e di una serie di contese territoriali dagli sviluppi difficilmente prevedibili ed inclini a pericolose escalation.