L’internazionalizzazione di Boko Haram
I numerosi episodi di violenza che si sono susseguiti in Nigeria dall’inizio del 2014 e il rapimento dei tre religiosi cattolici, di cui i due italiani Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri, nel nord del Camerun hanno messo in luce l’estrema complessità dell’insorgenza del gruppo terrorista Boko Haram (Boko Haram). Infatti, a 5 anni dall’inizio delle attività para-militari nel nord della Nigeria, la setta d’ispirazione qaedista ha ampliato la propria rete internazionale sia a livello geografico sia per quanto riguarda i contatti con realtà jihadiste più strutturate, come al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e al-Shabaab.
Il movimento, il cui nome in lingua hausa è traducibile come “l’educazione occidentale è sacrilega”, è stato fondato nel 1998 nella città di Maiduguri, nello Stato nord-orientale del Borno, dal defunto Ustaz Mohammed Yussuf, che ha ricoperto il ruolo di guida spirituale dopo gli studi religiosi condotti tra Arabia Saudita e Pakistan. Nel corso degli anni, l’attività di Boko Haram ha subìto una profonda trasformazione che ne ha ampliato portata e diffusione e ne ha modificato lo scopo. In origine, infatti, il gruppo è nato come movimento locale con scopi caritatevoli la cui attività era concentrata nello Stato del Borno e Yobe, situati nel nord-est della Nigeria. L’emarginazione delle comunità che vivono in quest’area, combinata con l’analfabetismo e il sottosviluppo e la mancanza di adeguate strutture sociali ha permesso lo sviluppo di associazioni caritatevoli legate alle madrase. Boko Haram si è sviluppata nell’area della moschea e del centro islamico di Maiduguri, che hanno quindi svolto la funzione di centro di indottrinamento e reclutamento, ma anche e soprattutto di ufficio di gestione di un sistema di welfare non solo alternativo, ma molto più efficiente di quello statale. La setta salafita è così diventata uno dei principali riferimenti politici e religiosi dello Stato del Borno.
La trasformazione di Boko Haram da organizzazione caritatevole a movimento terroristico jihadista è avvenuta all’indomani della violenta repressione governativa del 2009 nel corso della quale è stata distrutta la moschea di Maiduguri ed è stato ucciso Mohammed Yussuf. L’approccio duro del governo, combinato con la morte del fondatore, hanno causato la radicalizzazione del gruppo, che si è evoluto da organizzazione caritatevole a movimento terroristico. In questo modo la lotta per l’emancipazione dei Kanuri ha assunto i tratti, il linguaggio, il simbolismo e i metodi tipici del jihadismo. A inasprire la radicalizzazione di Boko Haram è stato l’esito della lotta per la successione a Yussuf, che ha visto prevalere la componente estremista del movimento, capeggiata da Abubakar Shekau, e ha segnato l’inizio della campagna militare contro il governo centrale. Boko Haram ha così iniziato la propria attività terroristica concentrandosi sul territorio nigeriano e compiendo attentati contro la popolazione cristiana e contro le istituzioni e le Forze Armate nazionali, colpevoli di apostasia o miscredenza.
La maggioranza dei membri di Boko Haram è di etnia dei Kanuri ed è proprio l’aspetto dell’appartenenza etnica che ha facilitato i legami oltre confine, soprattutto dove è presente questo gruppo, ossia nell’area del lago Ciad, a cavallo del confine tra Ciad, Camerun, Niger e Nigeria. Il peso della rete tribale ha trasformato Boko Haram in un movimento che ha cominciato a radicarsi e a diventare influente non solo in Nigeria, ma anche nei Paesi limitrofi, dove il sistema di welfare ideato da Yussuf è stato gradualmente esteso anche a parte della popolazione Hausa-Fulani, ampliando la base di consenso di Boko Haram all’intera area. Il proselitismo bokoharamista è stato facilitato dai conflitti etnico-settari che caratterizzano l’area in questione. Infatti, come in Nigeria il messaggio jihadista della setta ha attecchito nel contesto dei tradizionali scontri e nelle decennali rivalità tra le comunità di religione islamica (Hausa-Fulani e Kanuri) e quelle di religione cristiano-animista (Yoruba e Igbo), nello stesso modo, esso ha sfruttato gli attriti tribali che caratterizzano le aree periferiche di Ciad, Niger e Camerun. Questi Paesi ospitano vengono i campi di addestramento, i depositi di armi e le strutture logistiche del gruppo, visto che le ripetute operazioni anti-terrorismo da parte del governo di Abuja, spesso condotte con l’utilizzo di elicotteri e aerei (Mil Mi-35 e Alpha Jet), hanno costretto la setta a migrare verso i territori adiacenti. Ad esempio, in Camerun, la città settentrionale di Gwoza potrebbe ospitare il quartier generale di Boko Haram ogni qual volta il governo nigeriano decide di dislocare imponenti contingenti militari negli Stati del nord est. Oltre al Camerun, anche le fasce meridionali del Niger pullulano di cellule bokoharamiste stanziate nei villaggi di pescatori lungo le rive del lago Ciad.
Anche in questo caso, la porosità del confine, i legami inter-etnici e le inefficienze del sistema di Difesa e Sicurezza locale permettono alla setta la costruzione di basi e la disponibilità di un retroterra logistico indispensabile per evitare le operazioni di contro-insorgenza da parte dell’Esercito nigeriano. A destare particolare preoccupazione è il graduale consolidamento del controllo del territorio nigerino e camerunense da parte del movimento jihadista. Infatti, se fino al 2010 le cellule bokoharamiste si rifugiavano fuori dalla Nigeria solo temporaneamente e per ragioni tattiche, negli ultimi anni la presenza della setta salafita si è fatta più consistente e strutturata, grazie soprattutto ad una massiccia opera di proselitismo e di sostegno alla popolazione locale Kanuri. Ad oggi, decine di villaggi del Camerun del nord e la riserva naturale di Waza sono sotto il controllo di Boko Haram. In questo senso, il rapimento dei due religiosi italiani e, alcuni mesi or sono, di una famiglia di turisti francesi, entrambi avvenuti nelle regioni sopra indicate, lasciano intendere come il movimento disponga di una rete e di infrastrutture consolidate e stabili in grado di permettere operazioni complesse come, appunto, un sequestro.
I rapimenti ai danni degli occidentali, avvenuti sia per ragioni ideologiche sia, soprattutto, per ragioni di finanziamento, rappresentano l’indizio non solo dell’estensione geografica del teatro operativo bokoharamista ma anche della sua crescente internazionalizzazione ideologica e commistione con la criminalità organizzata. I primi segnali di come la setta si fosse gradualmente orientata su posizioni qaediste sono emersi già dal 2011, quando Boko Haram ha colpito gli uffici delle Nazioni Unite ad Abuja con un sanguinoso duplice attentato. Ad avvalorare la tesa della qaedizzazione del gruppo salafita sono due aspetti in particolare: il primo consiste nell’aver attaccato la sede di un’organizzazione, come le Nazioni Unite, simbolo del mondo occidentale e non legata ai conflitti etnico-religiosi interni; il secondo riguarda invece le modalità di attacco, ossia quell’attentato suicida marchio di fabbrica del terrorismo jihadista contemporaneo.
In particolare, l’utilizzo dell’attacco suicida, oltre ad una crescente sofisticazione nell’utilizzo degli esplosivi e dei mass media, testimoniano l’intensificazione dei rapporti tra Boko Haram e altre realtà qaediste come AQMI e al-Shabaab. Infatti, appare probabile che siano stati questi due gruppi a fornire l’expertise tecnico per il miglioramento delle capacità logistiche e operative della setta nigeriana. Dal punto di vista ideologico, la penetrazione e fusione tra jihadismo e insorgenza etnica Kanuri è stata agevolata dalla conflittualità sociale, dal sottosviluppo economico e alla debolezza statale. Dal punto di vista strutturale, i principali responsabili della diffusione del qaedismo in Nigeria settentrionale e i principali gestori dei rapporti con AQMI e al-Shabaab sono Muhammad Nur e Khalid Al-Barnawi, due membri della Shura di Boko Haram con importanti esperienze di militanza in Nord Africa e Somalia nell’ultimo decennio. Non è un caso che sia stato proprio al-Barnawi ad organizzare, nella fase apicale dell’insorgenza jihadista in Mali nel 2012, l’invio di circa 200 miliziani nigeriani a supporto delle forze qaediste in lotta con il governo di Bamako.