La Libia di Arabia: lo Yemen
Che lo Yemen fosse uno stato ormai prossimo alla completa disgregazione, dopo il fallimento degli sforzi compiuti per una transizione istituzionale e il crollo dei fragili equilibri interni, è un’affermazione più volte ripetuta negli ultimi anni. Ma che a dare il colpo di grazia per la tenuta della struttura istituzionale yemenita non fosse il gruppo di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ma le milizie della tribù sciita Houthi è stata una novità degli ultimi mesi dovuta ad una nuova e, per certi versi, poco prevedibile evoluzione degli equilibri interni al Paese.
Il percorso di ricostruzione istituzionale intrapreso dal nuovo Presidente, Abd Rabbo Mansur Hadi, non ha raggiunto i risultati sperati per la stabilizzazione del Paese. E, d’altra parte, le Forze di Sicurezza yemenite non si sono rivelate capaci di riprendere il controllo di vaste aree sia nelle regioni meridionali che in quelle settentrionali, né di proteggere la tenuta delle istituzioni centrali, divise esse stesse al loro interno da diatribe sociali e tribali.
La caduta del vecchio leader del Paese Ali Abdullah Saleh nel 2012 è stata principalmente dovuta da una profonda spaccatura all’interno della sua stessa realtà tribale, la confederazione degli Hashid, primo gruppo etnico-tribale dello Yemen, con il leader, Sadiq bin Abdullah bin Hussein bin Nasser al-Ahmar, che ha fatto venire meno l’appoggio all’ex Presidente, e dalla rottura con il suo principale alleato, quel Generale Ali Mohsen al-Ahmar che per 30 anni aveva comandato la 1ª Divisione corazzata dell’Esercito. Una volta venuto meno Saleh, Sadiq al-Ahmar e Mohsen hanno stretto un’alleanza concretizzatasi nel Partito Islah, fondato dal padre di Sadiq, Abdullah ibn Hussein al-Ahmar, ed espressione in Yemen dell’islamismo politico filo Fratellanza Musulmana.
Questo gruppo di potere ha fatto fin da subito da contraltare alla ricostruzione intrapresa da Hadi e ha cercato di ostacolare il rafforzamento delle istituzioni intrapreso dal Presidente con la National Dialogue Conference (NDC), il processo istituzionale nazionale del post-Saleh. Il mancato rafforzamento delle istituzioni centrali ha portato delle inevitabili difficoltà per la tenuta dell’apparato di sicurezza statale ed è stato in questo contesto che si sono insinuate le rivendicazioni degli Houthi. La dinamica tra questa tribù e il potere centrale yemenita è stata molto spesso conflittuale. Basti ricordare che nel 2010 l’Arabia Saudita fu costretta ad intervenire per dare man forte al governo centrale alle prese con la ribellione degli Houthi.
Infatti, questi ultimi sono di religione zaydita, cioè un ramo dello sciismo sì diverso da quello duodecimano a cui appartengono la maggioranza degli sciiti, tra cui gli iraniani, ma che mantiene delle differenze con il sunnismo. Proprio per questo motivo, in passato Teheran ha utilizzato l’insorgenza Houthi per alimentare un focolaio di instabilità sciita nella Penisola Arabica al confine con l’Arabia Saudita.
Con la crisi istituzionale degli ultimi anni la tribù ha cercato di rafforzare le sue posizioni e anzi di ampliare la propria zona di influenza entrando in conflitto con il gruppo di potere Ahmar-Mohsen-Islah che vedeva negli Houthi la principale minaccia alle proprie mire di potere. Per questo motivo, nella seconda metà del 2013 la confederazione degli Hashid, nella persona di Hussein, uno dei figli di Sadiq, ha stretto un’alleanza con le realtà salafite afferenti alla scuola coranica di Dar al-Hadith, a Dammaj, un villaggio nel governatorato di Saada, lo stesso da cui provengo gli Houthi. In questo modo la milizia salafita locale, in passato sponsorizzata dai sauditi, è stata utilizzata contro gli Houthi per cercare di arginarne la forza. Tuttavia, dopo aver sconfitto la realtà salafita, i miliziani sciiti, a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, hanno iniziato un’avanzata nelle regioni limitrofe trovando scarsa resistenza. Infatti, nonostante l’asse Ahmar-Moh-sen-Islah avesse ancora una buona presa su alcuni reparti dell’Esercito nelle regioni settentrionali, di fatto, gli Houthi hanno avuto gioco facile rispetto agli avversari, fatta eccezione per la 310a Brigata di stanza ad Amran, legata fortemente agli Ahmar e all’Islah.
Solo questo reparto dell’Esercito ha rallentato l’avanzata Houthi verso la capitale per alcuni mesi. Infatti, dopo la presa di Amran, la strada per Sanaa è diventata in discesa tanto che la milizia sciita ha preso possesso dei palazzi istituzionali nella capitale a metà settembre senza trovare alcuna opposizione da parte delle Forze di Sicurezza yemenite. Solo successivamente sono avvenuti violenti scontri per le strade di Sanaa che si sono protratti per circa un mese e che hanno lasciato sul campo circa 700 morti, tra miliziani Houthi, esponenti della tribù arrivati a Sanaa per manifestare contro il governo e soldati e miliziani legati agli Ahmar e a Islah. Ciononostante, gli Houthi hanno continuato a mantenere una posizione di forza e anzi, preso il controllo della capitale, sono riusciti a strappare una sorta di potere di veto sulle nomine del Primo Ministro e del Governo da parte del Presidente Hadi. Oltre a Sanaa gli Houti hanno conquistato altre importanti aree del Paese arrivando a porre sotto la propria autorità il porto di al-Hudayda, a 180 km a sud-est dalla capitale, e ad affacciarsi nel governatorato meri-dionale di Ibb, circostanza che ha scatenato la reazione di AQAP, che da sempre ha in queste regioni una delle sue roccaforti.
Nonostante la situazione rimanga ancora fluida, gli avvenimenti degli ultimi mesi portano ad alcune riflessioni importanti per definire quelli che potrebbero essere gli andamenti futuri in Yemen. In primo luogo, il “buon governo” degli Houthi grazie al quale la tribù sciita è stata in grado di fornire nelle zone conquistate servizi sociali e di sicurezza sopperendo alle mancanze che il governo centrale ha sempre avuto. In più, la natura maggiormente conciliante dello zaydismo ha permesso che si evitassero scon-tri religiosi con le tribù sunnite che non ne han-no di conseguenza ostacolato l’avanzata. Di-verso il discorso nel sud del Paese, dove non solo è presente l’estremismo di AQAP, ma dove di fatto sono molto più sviluppate le istanze in-dipendentiste dei movimenti tribali. Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, al momento si può immaginare che gli Houthi possano voler raf-forzare il proprio controllo sulle aree settentrio-nali del Paese, ampliandolo alle aree costiere, utilizzando la propria presenza nella capitale per tenere sotto scacco il governo centrale. Ine-vitabilmente, più si avanti in questa direzione più il Paese è destinato a rimanere diviso, con un rafforzamento dei movimenti separatisti e di AQAP nel sud. In seconda battuta, vi è da rilevare come sui successi degli Houthi abbia influito anche il non intervento dell’Arabia Sau-dita. Nonostante il forte impegno in passato nel contrastare le milizie sciite al suo confine, in-fatti, in questo caso Riyadh è stata a guardare e anzi non ha supportato neanche logistica-mente, ad esempio, le milizie salafite della scuola coranica di Dar al-Hadith.
La scelta di Riyadh potrebbe essere dovuta al fatto che, da una parte, i legami tra Houthi e Teheran si sono tendenzialmente raffreddati negli ultimi anni e, dall’altra, al fatto che l’Arabia Saudita non vuole favorire l’ascesa al potere di una forza politica come Islah, espressione di quell’islamismo filo Qatar (sono stati confermati contatti tra la leadership al-Ahamar e Doha) che Riyadh sta contrastando in tutta la regione. In questo modo rimangono numerosi interrogativi su quale possa essere la tenuta del Presidente Hadi che, nonostante siano passati quasi 3 anni, vede ancora come un fantasma pressante la figura di Saleh, che potrebbe tornare, con il beneplacito di Riyadh, ad essere l’ago della bilancia della contesa yemenita.
Contributo apparso su