La Francia annuncia restrizioni nei confronti delle figure politiche libanesi che ostacolano l’uscita dalla crisi
Medio Oriente e Nord Africa

La Francia annuncia restrizioni nei confronti delle figure politiche libanesi che ostacolano l’uscita dalla crisi

Di Angela Ziccardi
03.05.2021

Lo scorso 29 aprile 2021, il Ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha annunciato che Parigi limiterà l’ingresso nei territori nazionali a tutte quelle figure politiche libanesi accusate di presunta corruzione o di ostacolare gli sforzi per superare l’attuale situazione di crisi del Paese dei Cedri. L’iniziativa è solo l’ultimo sforzo di Parigi per esercitare una qualche forma di pressione sui leader libanesi affinché pongano fine alla paralisi politica acuita dall’esplosione del porto di Beirut (4 agosto 2020), che ha portato alle dimissioni del governo e del Primo Ministro Hassan Diab. Tale evento, infatti, non solo ha esaltato la precedente instabilità politico-sociale nazionale, ma ha anche accelerato il collasso economico causato dal crack finanziario della Banca Centrale Libanese (BCL, marzo 2020). Nonostante l’Esagono non abbia ancora fornito i nomi delle personalità oggetto delle restrizioni e né abbia rilasciato dettagli sugli atti da imporre, il Quai d’Orsay francese ha affermato di riservarsi il diritto di adottare tutte le misure supplementari contro coloro che impediscano un’uscita dalla crisi, non escludendo la possibile imposizione di sanzioni economiche. Tuttavia, prescindendo dal tipo di restrizioni imposte, è alquanto improbabile che queste permettano al Libano di voltare pagina e di superare la catastrofica situazione nella quale si ritrova.

L’ultima dichiarazione del Ministero degli Esteri francese è arrivata a seguito dei numerosi tentativi falliti per sbloccare l’impasse nella formazione di un nuovo esecutivo. Sin dall’esplosione del porto di Beirut, il Presidente Emmanuel Macron è intervenuto in prima linea a supporto del Libano, proponendo la creazione di un gabinetto composto da specialisti apartitici che potesse implementare un piano di riforme urgenti e permettere al Paese di riprogrammare un debito estero di 90 miliardi di dollari. Tuttavia, la roadmap francese ha incontrato l’opposizione dei politici nazionali, che continuano a litigare sulla forma e la dimensione del nuovo gabinetto e su chi debba nominare i Ministri. Nello specifico, il Primo Ministro in pectore Saad Hariri, incaricato di formare un nuovo esecutivo dopo le dimissioni di Diab, è a favore di un governo tecnico, ma deve fare i conti con l’opposizione del Presidente Michel Aoun, il quale insiste sulla definizione di un esecutivo politico.

Di conseguenza, la bocciatura delle proposte francesi sembra ora spingere Parigi ad usare il pugno duro nei confronti dell’establishment libanese, sperando che ciò possa portare le parti ad accordarsi per ripristinare il processo decisionale. Tuttavia, la proposta francese non è funzionale per un’uscita dall’impasse politico perché i parametri presi di riferimento per implementare le misure restrittive devono far fronte a dei problemi di natura strutturale insiti nel Paese dei Cedri. Stando alla dichiarazione, le restrizioni dovrebbero essere applicate contro chiunque sia stato accusato di corruzione, ma il sistema politico libanese è da sempre stato spossato da dinamiche di clientelismo tali da rendere difficile, se non impossibile, trovare figure politiche capaci di scampare a tale accusa. La corruzione in Libano costituisce un problema endemico ed è un fattore di instabilità in vari apparati governativi del Paese, come testimonia lo stesso scandalo finanziario della BCL.

Delle considerazioni analoghe possono essere fatte anche rispetto al secondo criterio per imporre le restrizioni, ovvero l’esercitare opposizione alla formazione di un nuovo governo. L’attuale scenario politico libanese mette ben in evidenza come tutti stiano contribuendo a ritardare la creazione di un nuovo esecutivo, perché ogni singolo attore politico si sta facendo portavoce dei propri interessi e sta cercando di preservare i propri benefici, senza dimostrare alcuna volontà di compromesso. Questo atteggiamento ostruzionista è dovuto alla natura stessa dell’apparato governativo libanese, ripartito su base confessionale e, di conseguenza, caratterizzato da figure che portano avanti posizioni spesso collidenti e incongruenti.

Dunque, è molto difficile che il nuovo piano francese possa scuotere l’intero sistema politico-istituzionale del Libano, così da generare cambiamenti che portino davvero al superamento dell’immobilismo in corso. Al contrario, paradossalmente, una soluzione di questo tipo potrebbe acuire ancor più le stridenti relazioni tra le figure politiche nazionali, che potrebbero cogliere la palla al balzo per continuare ad accusarsi a vicenda e a rivendicare maggior peso nelle dinamiche politico-confessionali. Senza omettere che le tensioni politiche interne stanno permettendo il proliferare di molte organizzazioni non statuali o para-statali, lasciando sorgere forme di economia sommersa che rendono ancora più complessa la gestione di un Paese la cui moneta locale è attualmente svalutata del 90% rispetto al dollaro. Nonostante i tentativi della Francia e le pressioni della comunità internazionale, per superare lo stallo politico il Libano dovrebbe far fronte in primis ai problemi strutturali che affliggono da tempo immemore la gestione del Paese, prendendo in considerazione anche una riconfigurazione del sistema confessionale, generatore di discontinuità e tensioni. Tuttavia, la mancanza di volontà nella classe dirigente di scendere a compromessi rende difficile immaginare uno sforzo collettivo per ripensare l’intero sistema governativo, lasciando poche speranze nel trovare una soluzione duratura e definitiva che possa permettere al Libano di risollevarsi.

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