La Cina nel porto di Haifa divide Stati Uniti e Israele
Da tempo gli Stati Uniti hanno manifestato una forte apprensione per la rapida e importante penetrazione cinese nell’area MENA, intravedendo in ciò una minaccia diretta agli interessi nazionali e globali di Washington. Tale condizione ha intaccato in maniera esponenziale anche il livello dei rapporti strategici che legano Israele alla Cina. La pietra dello scandalo in questa inedita forma di attrito che coinvolge il governo israeliano, la Casa Bianca e Pechino è rappresentata dalla delicata questione del porto di Haifa. Secondo ricostruzioni del quotidiano israeliano Haaretz, lo scorso anno, Tel Aviv avrebbe declinato una richiesta formale della US Coast Guard di ispezionare il porto di Haifa per verificare la presenza di strumenti cinesi di sorveglianza e spionaggio. La motivazione di tanta apprensione risiede nel fatto che nel 2015 il Ministero dei Trasporti israeliano ha firmato un memorandum di intesa con la Shanghai International Port Group (SIPG), che prevedeva la concessione alla compagnia statale cinese della gestione venticinquennale del porto di Haifa (dal 2021 al 2046). Un’operazione complessiva da oltre 2 miliardi di dollari mirata a favorire l’espansione e il potenziamento delle infrastrutture portuali.
Gli Stati Uniti hanno sollevato immediate critiche all’acquisizione cinese poiché il porto di Haifa è situato in una posizione geograficamente strategica nel Mediterraneo orientale, che si lega irrimediabilmente con la strategia globale cinese, meglio nota come Belt and Road Initiative (BRI). Secondo Pechino, infatti, i porti israeliani di Haifa e Ashdod rappresentano la porta d’ingresso principale per il Mediterraneo e, quindi, fungono da avamposto privilegiato per lo sviluppo della BRI. Washington ha fatto presente che la flotta americana potrebbe trovarsi costretta a non fare più uso del porto israeliano dato il pericolo che la Cina possa effettuare operazioni di spionaggio sulla US Navy. Non a caso, le navi della VI flotta USA nel Mediterraneo si appoggiano per operazioni di routine proprio presso una base della Marina israeliana adiacente il porto di Haifa, la quale ospita, tra le altre cose, sottomarini israeliani con equipaggiamenti nucleari.
Tuttavia, la vicenda del porto di Haifa non rappresenta l’unico elemento di tensione lungo l’asse Washington-Tel Aviv-Pechino. Un altro caso egualmente eclatante ha riguardato l’esclusione – dopo le forti pressioni esercitate dall’ex Segretario di Stato Mike Pompeo nel maggio 2020 – del CK Hutchison, conglomerato di Hong Kong, dalla costruzione del più grande impianto di desalinizzazione israeliano nel Mar Morto. Queste vicende si situano all’interno del più ampio contesto della rivalità sino-americana che impatta anche sul quadrante levantino. La questione del porto di Haifa, localizzato lungo l’autostrada marittima che congiunge lo Stretto di Malacca a Gibilterra, via Bab el-Mandeb e Suez, permetterebbe a Pechino di rafforzare la sua influenza anche nella direttrice Mediterraneo-Mar Rosso, dove conta già una rilevante presenza attraverso la base militare cinese a Gibuti e il controllo del porto del Pireo, detenuto dalla China Ocean Shipping (Group) Company (COSCO).
In conclusione, gli interessi strategici israeliani che guardano con attenzione alla Cina potrebbero scontrarsi con le medesime motivazioni degli USA, per i quali è vitale compattare i suoi client__s regionali non solo in funzione anti-iraniana, ma anche per contenere la penetrazione cinese (e russa) in Asia occidentale.