Il doppio colpo di Israele in Libano e Iran e il baratro mediorientale
Medio Oriente e Nord Africa

Il doppio colpo di Israele in Libano e Iran e il baratro mediorientale

Di Giuseppe Dentice
31.07.2024

Nell’arco di poche ore, la promessa di una dura risposta israeliana si è materializzata in una forma imprevista e assolutamente rischiosa. Nella serata di martedì 30 luglio e nelle prime ore dell’alba di mercoledì 31 luglio, Tel Aviv ha condotto un doppio attacco aereo a Beirut e Teheran nel quali sono rimasti vittime il numero due di Hezbollah, Fouad Shukr, e il leader dell’ufficio politico di Hamas, oggi residente a Doha,Ismail Haniyeh. È possibile immaginare che le due morti eccellenti abbiamo costituito un nuovo elemento di criticità in una regione profondamente stressata e sull’orlo continuo di una possibile guerra mediorientale che si estende ben oltre i confini politici e geografici dell’area.

Gli omicidi di Shukr e Haniyeh rappresentano un importante passo in avanti in quanto contribuiscono non solo ad aizzare gli animi, ma anche a definire il rischio di una escalation senza controllo, nel quale le ipotizzabili rappresaglie da parte di Hezbollah, Hamas e anche dell’Iran saranno presumibilmente sproporzionate e dovranno in qualche modo essere adeguate alle richieste radicali provenienti dai rispettivi segmenti delle opinioni pubbliche nazionali. Infatti, quel che è andato in scena a Beirut e Teheran non sono dei semplici omicidi politici, ma rischiano di essere dei detonatori nella fragile quiete prima della tempesta perfetta che avvolge l’intero Medio Oriente.

Siamo dinanzi ad una spirale ormai fuori controllo, nel quale le marginalizzate “colombe” lasceranno definitivamente spazio ai “falchi” con tutto quel che ne conseguirà in termini di politica interna ai singoli contesti, così come ai piani regionale e internazionale. Infatti, le linee rosse sono state ben che varcate e le infuocate retoriche nazionali stanno contribuendo a preparare il terreno per un conflitto regionale incerto e imprevedibile. In altre parole, in questa escalation generalizzata e logorante ogni azione potrebbe essere interpretata come provocatoria e dare adito o invitare l’una o l’altra parte a dar vita ad una serie di convulse ritorsioni. Una situazione di anarchia regionale (e internazionale) nella quale tutti gli interpreti di questo puzzle sono incapaci o non disposti a frenarsi, dietro un malcelato calcolo di portare avanti la logica del “tanto peggio, tanto meglio”.

Le prossime ore, quindi, saranno fondamentali, ma anche in questo caso nessuno è in grado di prevedere in maniera credibile una reazione o una possibile evoluzione di scenario in quanto, sia gli attori coinvolti, sia gli osservatori interessati guardano con preoccupazione alle incognite incombenti. Di fatto, siamo nel campo dell’imprevedibilità e dell’azzardo. Ciononostante, è possibile provare a delineare un quadro di insieme sulla base delle risposte razionali che i diretti interessati potrebbero rivolgere rispetto a quanto accaduto finora e dei possibili ampi effetti che tali azioni potranno avere nel variegato contesto regionale.

Innanzitutto, è plausibile immaginare che i negoziati su Gaza, ancora in corso al Cairo e Doha, subiranno uno stop permanente, con l’effetto di aggravare la condizione umanitaria della popolazione e di ridurre, politicamente, la questione gazawi – e per inciso dell’intera comunità palestinese – sotto l’alveo della direttrice principale, ossia lo scontro in essere tra Israele e Iran. In uno sviluppo di questo tipo saranno coinvolti in misure, modalità e dinamiche differenti tutti gli attori aderenti al cosiddetto “Asse di Resistenza”, come Hezbollah, Houthi, Hamas e milizie sciite siro-irachene. In secondo luogo, tale dinamica potrebbe definire uno scivolamento rapido verso uno scenario di grande guerra mediorientale, con tutte le incognite del caso sui possibili scenari di sviluppo. In questa ottica, si potrebbe immaginare un accerchiamento geografico di Israele lungo i suoi confini, con l’attivazione dei proxy iraniani in maniera asimmetrica e/o anche indipendente rispetto al disegno strategico centrale di Teheran. Una condizione complessiva che rischia di esacerbare e alimentare i diversi conflitti intersezionali presenti nell’area MENA (Striscia di Gaza, Libano, Siria, Iraq e Yemen), i quali, a loro volta, diverrebbero più o meno dipendenti dalle variabili di gioco tra Tel Aviv e Teheran.

Infine, ma non per questo meno rilevante, lo scenario emerso darebbe luogo ad una generale indefinitezza nel quale presto o tardi anche i player internazionali e arabo-sunniti dovranno dare risposte concrete e incontrovertibili. Se è verosimile auspicare un diretto e immediato supporto della Casa Bianca al fianco dell’alleato israeliano, non è da trascurare il rischio politico e di sicurezza a cui gli USA si esporrebbero, in virtù della presenza militare ancora importante detenuta specie nel Golfo (tra Qatar, Bahrain e Iraq), nonché dell’impatto che tale dinamica potrebbe avere nella fase più calda della già infuocata campagna presidenziale, con un ruolo non trascurabile della eterogenea comunità ebraica d’oltreoceano in favore o contro Donald Trump e Kamala Harris. Non di meno, sul fronte occidentale, diviene articolata comprendere la sfaccettata posizione dell’Unione Europea e dei suoi membri, con diversi attori (è il caso soprattutto di Francia, Germania e Italia) oscillanti tra ridondanti affermazioni di supporto incondizionato a Tel Aviv e timori profondi che un coinvolgimento diretto in un possibile conflitto comporti instabilità e minacce alle rispettive sicurezze nazionali. Senza poi dimenticare la crescente ondata popolare filo-palestinese, anche in seno a diversi Stati europei, con la Spagna in testa (e forse prossimamente anche il Regno Unito), mossi da una volontà di rivedere le posizioni fisse sul tema israelo-palestinese. Viceversa, sul fronte opposto, Russia e Cina appoggeranno le posizioni dell’Iran e dei suoi partner non statuali d’area per opportunismo e interesse anti-occidentale. Un approccio che potrebbe far guadagnare loro consensi anche nel cosiddetto Sud Globale, dove Pechino e Mosca puntano ad ergersi come attori di un nuovo sistema internazionale, nel quale la stessa questione israelo-palestinese può divenire una bandiera simbolica in funzione anti-statunitense. Una situazione che potrebbe avere riflessi anche in sede di rapporti bi- e multilaterali con i principali attori arabo-sunniti, con Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ognuno dei quali interessati a mantenere una posizione di ambigua neutralità e basso profilo più per necessità che per diretta volontà. Infatti se il Cairo e Amman devono ondeggiare tra l’attenzione esasperata a non esporsi alle rispettive critiche domestiche e, quindi, a non apparire come dei traditori della causa palestinese o troppo appiattiti agli interessi di Israele, di converso, Riyadh e Abu Dhabi hanno utilizzato fino ad oggi le tensioni in Medio Oriente per rafforzare la propria leadership e status mediorientali con il rischio, però, di snaturare le rispettive ambizioni rispetto al dossier israeliano, verso il quale permangono differenti distinguo.

Quel che emerge è quindi uno scenario scomposto, fragile, fluido ed estremamente evanescente, nel quale è verosimile immaginare un aumento fuori controllo della tensione. La percezione di tali eventi, dunque, suggerirebbe l’emergere di un chiaro punto di non ritorno: ossia l’avvicinarsi ad uno scenario irrecuperabile di una grande guerra mediorientale.

Photo credit: CNN https://edition.cnn.com/2024/07/30/middleeast/hamas-political-leader-ismail-haniyeh-killed-intl-hnk/index.html

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