Il crescente coordinamento tra milizie sciite irachene e Houthi e il ruolo di mediazione dell’Iraq
La visita il 19 marzo a Sana’a dell’ex Primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi ha suscitato un significativo interesse internazionale, in una fase di intensificazione degli attacchi statunitensi in Yemen contro obiettivi legati agli Houthi. Nonostante lo scopo ufficiale del viaggio fosse la partecipazione a una conferenza internazionale incentrata sul tema “Palestina: la questione centrale della Umma”, Abdul-Mahdi è stato ricevuto dal Primo ministro dell’esecutivo guidato dagli Houthi, Ahmed Ghaleb al-Rahawi, e dal Ministro dei trasporti, Muhammad Ayyash Qahim. Tuttavia, alla luce del suo ruolo politico sempre più rilevante a sostegno del gruppo paramilitare sciita iracheno Kataib Hezbollah (parte delle Forze di Mobilitazione Popolare), sostenuto dall’Iran e designato come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, è verosimile ipotizzare che la sua visita rifletta una crescente cooperazione tra i gruppi iracheni riconducibili al cosiddetto “Asse della Resistenza” e agli Houthi. La narrazione di Abdul-Mahdi è incentrata sull’enfatizzare la partecipazione della umma (islamica) globale, attraverso un “asse della resistenza” in espansione, con in testa gli Houthi yemeniti a sopperire alle perdite sul campo di battaglia subite dagli altri membri dell’Asse della Resistenza filo-iraniano. Un elemento di interesse di siffatta postura ideologica e operativa concerne la risposta unitaria quando un membro dell’asse viene colpito, attraverso il ricorso al metodo della rappresaglia collettiva. Sotto il profilo internazionale, Abdul-Mahdi propugna la fine dell’egemonia unipolare statunitense, che sarebbe testimoniata dall’ascesa cinese e dall’incapacità di contenere la Russia.
L’attivismo di Abdul-Mahdi negli ultimi mesi, a partire da dicembre 2024, è testimoniato dai suoi incontri pubblici con il Presidente iracheno Abdul Latif Rashid, col capo del Consiglio supremo della magistratura irachena Faeq Zaidan, col Primo ministro iracheno Mohammed al-Sudani e col Presidente del Parlamento libanese Nabih Berri.
Un altro filone interpretativo rimarca il presunto ruolo di Abdul-Mahdi nel facilitare il dialogo tra Stati Uniti e Iran, legato al precario ruolo di mediazione regionale svolto dall’Iraq sin dall’ascesa di Sudani alla carica di Primo ministro. Secondo questa versione, Abdul-Mahdi godrebbe della piena fiducia iraniana, oltre a disporre di canali diplomatici nelle capitali occidentali. Alcuni organi di stampa hanno correlato la visita a Sana’a con una telefonata avvenuta il 16 marzo tra il Primo ministro iracheno Sudani e il Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, durante la quale lo stesso Sudani avrebbe offerto la mediazione irachena per allentare le tensioni in Yemen.
Accanto alle dinamiche regionali, l’iniziativa di Abdul-Mahdi si presta altresì a chiavi di lettura che attengono alla politica interna irachena. Secondo i critici, infatti, l’ex Primo ministro starebbe cercando di ingraziarsi le filiali domestiche dell’Asse della Resistenza al fine di evitare possibili responsabilità penali connesse al suo ruolo nella repressione delle proteste anti-establishment in Iraq nel 2019, quando il suo mandato come capo dell’esecutivo fu interrotto prematuramente dalla rabbia popolare, che si scagliò contro le presunte corruzioni del suo governo e lo costrinse a cedere l’incarico a Mustafa Al-Kadhimi, nel maggio 2020. Nei commenti politici dell’epoca passò l’idea che i più stretti alleati sciiti di Mahdi lo avessero abbandonato al suo destino, nel tentativo di evitare il collasso dell’architrave istituzionale iracheno. Ciò nonostante, Mahdi ha mantenuto una considerevole influenza nel panorama interno attraverso le reti politiche sciite e i suoi legami con l’Iran, che nel 2018 ne aveva favorito l’ascesa come Primo ministro a Baghdad.
Nel complesso, l’attivismo di Abdul-Mahdi sembra rispecchiare il suo ruolo (in evoluzione) di emissario politico, non oberato da ingombranti incarichi istituzionali, che funge da collegamento tra le organizzazioni sciite irachene e gli altri attori filo-iraniani della regione, in particolare gli Houthi, con il beneplacito di Teheran. In questo senso, Mahdi sembra posizionarsi come attore regionale che amplifica i messaggi, gli obiettivi strategici e le narrazioni ideologiche dell’Asse della Resistenza guidato dall’Iran. Quest’ultimo, fortemente indebolito a Gaza, in Libano e in Siria dalle operazioni militari israeliane dopo il 7 ottobre 2023, rischia di essere coinvolto in uno scontro diretto con gli Stati Uniti, in conseguenza della politica di “massima pressione” adottata da Washington per indurre Teheran a un nuovo accordo sul nucleare. La sconfitta strategica subita con la caduta del regime di Assad in Siria e l’indebolimento di Hezbollah e Hamas hanno indotto l’Iran a perseguire un riposizionamento a livello regionale attraverso l’impiego dei suoi proxy meno colpiti da Israele, ossia le milizie sciite in Iraq e gli Houthi yemeniti, che negli ultimi mesi hanno espanso il loro coordinamento e la collaborazione su più fronti, tra cui la cooperazione militare, il trasferimento di armi e l’allineamento politico.
In parallelo, Mahdi è inquadrabile alla stregua di strumento del crescente peso diplomatico dell’Iraq, che per il suo tramite avrebbe portato a Sana’a una proposta che prevedrebbe la fine delle operazioni aeree e missilistiche statunitensi in Yemen in cambio della cessazione degli attacchi alle navi da parte del gruppo sciita yemenita. In questa cornice, l’Iran potrebbe aver battezzato il viaggio di Abdul-Mahdi a Sana’a per dimostrare flessibilità nelle trattative (indirette) con gli Stati Uniti, mantenendo al contempo la possibilità di negare ogni coinvolgimento. Per gli Houthi, invece, l’aver ospitato una figura araba di alto profilo si configura come un rafforzamento dell’immagine di governo legittimo, presumibilmente finalizzato a contrastare nell’ambiente informativo le fonti diplomatiche regionali che hanno paventato la possibile ripresa di un’offensiva terrestre contro gli Houthi da parte del governo yemenita internazionalmente riconosciuto, guidato dal Presidential Leadership Council, un consiglio di otto membri composto da tutte le principali fazioni anti-Houthi e capeggiato dal Presidente Rashad al-Alimi. Qualora fosse raggiunto un punto di svolta, come la sospensione degli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, l’Iraq potrebbe rivendicare la sua funzione di mediatore. Al contrario, un incremento degli attacchi statunitensi in Yemen potrebbe mettere a nudo la limitata influenza di Baghdad, e parallelamente della diplomazia ombra coltivata da Abdul-Mahdi. In entrambi gli scenari, peraltro, l’Iran sembra voler utilizzare i canali iracheni per gestire le crisi multiple della regione.