Il conflitto russo-ucraino e le conseguenze sulla filiera agro-alimentare mondiale
Il conflitto russo-ucraino ha provocato una grave crisi della filiera agro-alimentare globale con un’interruzione della produzione e dell’esportazione di prodotti agricoli, fra i quali grano, mais e olio di semi di girasole, alla base del commercio internazionale di Kiev e Mosca.
Di conseguenza, l’inizio della guerra in Ucraina ha visto il rapido innalzamento dei prezzi di alcuni beni di prima necessità, registrando nell’ultimo mese un aumento di circa il 35% del prezzo del grano, del 17% per il mais e dell’8% per la soia. Il conflitto rischia quindi di generare una crisi alimentare che avrà forti ripercussioni in termini di stabilità sociale alimentando disordini e proteste in aree anche molto lontane dai confini russi e ucraini.
Difatti, la Russia e l’Ucraina rappresentano insieme circa un quarto dell’export mondiale di grano, il 15% dell’export di mais e la quasi totalità dell’export di olio di semi di girasole. In particolare, secondo i dati della Commissione Europea, fra il 2019 e il 2020 l’Ue ha prodotto circa 154.5 milioni di tonnellate di grano tenero, contribuendo per un quinto all’intera produzione mondiale grazie a Paesi membri come Romania, Francia e Germania, che si confermano leader nella coltivazione e nell’esportazione del cereale. Tuttavia, la produzione interna si rivela insufficiente a coprire il fabbisogno alimentare dell’Unione Europa, che nell’anno 2021/2022 ha importato circa il 40% del grano tenero da Russia ed Ucraina, diretto principalmente verso Paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia, i più vulnerabili al deficit di importazione registrato dall’inizio del conflitto. Nello specifico, l’Italia produce solo il 36% del totale del suo fabbisogno di grano tenero, posizionandosi al primo posto in Europa per tonnellate di frumento importato, circa 600.000 dal secondo trimestre del 2021 ad oggi. La Spagna, d’altra parte, rappresenta il primo Paese in Europa per importazione di mais, di cui circa il 37% proviene dall’Ucraina, seguita dai Paesi Bassi che ricevono da Kiev più della metà del mais importato e ancora dall’Italia che dipende dal mais ucraino per circa il 23% del suo fabbisogno. Oltre ai cereali, l’olio di semi di girasole rappresenta il bene alimentare per cui l’Europa più dipende dall’Ucraina, che secondo la Commissione Europea, fra il 2021 ed il 2022, ha coperto circa l’85% del totale dell’import nel Vecchio Continente.
L’invasione da parte dell’esercito russo di regioni come Kharkiv e Lugansk, dove si concentra quasi il totale della produzione ucraina di semi di girasole, e Dnipropetrovsk, Zaporižžja, Nikolaev, Odessa, Kirovograd e Poltava, le principali aree di coltivazione di cereali che insieme rappresentano il 62% dell’intera superfice coltivabile ucraina, ha irrimediabilmente paralizzato la produzione alimentare del Paese. In aggiunta, la presa delle città portuali di Kherson e Mykolaïv ed il controllo russo della totalità del versante costiero del Mare di Azov hanno bloccato le principali tratte commerciali dalle quali si diramava l’export agricolo ucraino, soprattutto verso il mercato asiatico.
La Cina, infatti. fra il 2021 ed il 2022 si è posizionata come il Paese asiatico che ha importato più mais, per un totale di circa 26 milioni di tonnellate. Nello specifico, da quando nel 2009 Pechino ha iniziato ad incrementare il suo import di mais, gli Stati Uniti si sono sempre attestati come interlocutori commerciali privilegiati arrivando a garantire nel 2012 il 100% della fornitura cerealicola in Cina. Lo stesso anno, tuttavia, la firma di un accordo fra Kiev e Pechino che avrebbe garantito un prestito di circa 3 milioni di dollari da parte cinese in cambio di 3 milioni di tonnellate di mais, ha sancito il rafforzamento delle relazioni commerciali tra i due partner. Ad oggi, Kiev è il principale supplier di mais del Paese asiatico.
Sempre sul fronte asiatico, l’Ucraina costituisce circa il 74% delle forniture di olio di semi di girasole dell’India, seguita da Argentina e Russia. Il blocco delle esportazioni di olio dall’Ucraina, tuttavia, ha portato Nuova Delhi non solo a rivolgersi ad altri mercati, ma anche a diversificare i propri import agro-alimentari, prediligendo altri tipi di oli. Allo stesso tempo, l’inaspettato aumento della richiesta di oli vegetali, come l’olio di palma, ha innescato l’adozione di nuove misure protezionistiche da parte dei Paesi produttori. L’Indonesia, per esempio, a cui l’India si è rivolta per colmare il gap ucraino, ha recentemente introdotto una legge volta a proteggere il mercato interno di olio di palma, costringendo le principali aziende esportatrici a destinare circa il 30% del volume dei loro carichi al mercato domestico.
Una delle regioni più esposte alla crisi agro-alimentare è sicuramente l’area MENA. L’Egitto è il primo Paese al mondo per import di grano tenero, per la quasi totalità proveniente da Russia ed Ucraina. Dalle forniture di Kiev e Mosca dipendono inoltre numerosi altri Paesi dell’area, fra i quali la Turchia, che nel 2020 ha importato dai due Paesi circa il 78% del suo grano, Tunisia e Arabia Saudita. Quest’ultima, il più grande importatore mondiale di orzo, utilizza il cereale principalmente come mangime per animali. La maggior parte delle proprie forniture proviene dall’Ucraina e dalla Russia e lo stop alle importazioni avrà ripercussioni anche sugli allevamenti intensivi, generando una crisi alimentare con un impatto ben più ampio rispetto al solo settore agricolo. Sicuramente lo Yemen, al centro di una devastante guerra civile dal 2014, rappresenterà uno dei Paesi più esposti alla crisi d’approvvigionamento. Non solo l’interruzione delle forniture da Russia e Ucraina, che rappresentano insieme circa il 40% dell’import yemenita di grano, ma anche l’aumento dei prezzi dei cereali a livello globale, costituiranno un motivo di grave preoccupazione per il Paese arabo, già provato da una grave crisi economica in seguito al conflitto civile e quasi completamente dipendente dagli aiuti umanitari delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio. Anche il Marocco, in ultima analisi, grande produttore di cereali del Nord Africa e possibile alternativa di approvvigionamento per i propri vicini arabi, ha ridotto drasticamente la sua produzione di grano in seguito ad un periodo di forte siccità che ha innescato nelle ultime settimane numerose proteste contro il rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità. L’area MENA è una regione da sempre sensibile alle oscillazioni del prezzo del pane e che ha visto sorgere, per il suo aumento, numerose proteste. Tra queste, le “rivolte del pane” in Egitto, che hanno portato l’allora Presidente Anwar Al-Sadat a calmierarne il prezzo nel 1977, le rivolte del 1984 in Tunisia e quelle del 1988 in Algeria, senza dimenticare che, nei mesi immediatamente precedenti allo scoppio delle Primavere Arabe, il prezzo del pane era salito vertiginosamente, innescando il primo livello di malcontento poi esploso con rivolte su larga scala.
Fra i vari provvedimenti volti a contenere la crisi alimentare ed il malcontento popolare, il Primo Ministro marocchino, Aziz Akhennouch, ha annunciato la sospensione dei dazi doganali sulle importazioni di grano duro e tenero, oltre all’allocazione di rimborsi aggiuntivi agli importatori. Il Governo tunisino ha già approntato un piano di diversificazione dei fornitori che punta ad Argentina, Uruguay, Bulgaria e Romania come possibili alternative per il grano tenero e alla Francia per l’orzo, mentre Paesi come l’Egitto, il Libano e l’Iraq rivedono le loro politiche di sussidi alimentari che col rincaro dei prezzi potrebbero pesare sul budget nazionale per un aumento di circa 760 milioni di dollari.
Oltre ai cereali, la Russia produce circa il 13% del totale mondiale di fertilizzanti, la cui vendita all’estero potrebbe essere limitata, per ragioni politiche (contro-sanzioni) o logistiche. Inoltre, la decisione del Cremlino di sospendere fino ad aprile l’esportazione di nitrato di ammonio, fondamentale per la concimazione del grano, rischia di aggravare ulteriormente la crisi agricola, ponendo rischi a lungo termine anche per le rendite cerealicole degli anni successivi.
La diversificazione delle fonti di approvvigionamento risulta essere la principale strategia per mitigare gli effetti dell’interruzione della filiera alimentare. Infatti, il 2 marzo, in una riunione straordinaria in seno al Consiglio dell’UE, i Ministri dell’Agricoltura dei Paesi membri hanno discusso di possibili misure da adottare a livello interno e comunitario per far fronte alla crisi. Fra queste, adottare misure che rendano il commercio internazionale compatibile con gli alti standard di produzione agricola europea abbassando, ad esempio, il limite massimo di pesticidi consentito attualmente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), permetterebbe di implementare nuovi accordi con Paesi terzi ed allentare la dipendenza agricola che attualmente lega l’Unione Europea all’Ucraina e alla Russia.
In aggiunta, il conflitto in Ucraina ha innescato in molti Paesi una reazione protezionistica volta a salvaguardare la propria produzione cerealicola domestica. È il caso di Ungheria e Bulgaria, che dal 5 marzo hanno bloccato l’esportazione di grano per assicurare i rifornimenti interni e contenere la crescita dei prezzi per i propri cittadini.
In ultimo, il conflitto in Ucraina ha riacceso il dibattito sulla sovranità alimentare. La crisi ha infatti risvegliato in ogni Paese la necessità di dotarsi di una strategia che diminuisca la dipendenza dalle importazioni di Paesi terzi e che punti verso una rapida autosufficienza alimentare che garantisca resilienza in casi di instabilità internazionale. È possibile che in futuro si assista sempre più all’implementazione di misure che accorcino la catena produttiva avvicinando il produttore al consumatore attraverso una rinnovata attenzione al territorio locale e alla sostenibilità dell’industria agro-alimentare.