Gli interessi turchi nella partita energetica del Mediterraneo orientale
La partenza della fregata turca da perforazione Yavuz verso le acque a sud dell’isola di Cipro, annunciata lo scorso 3 ottobre da Ankara, ha dato inizio all’ennesimo capitolo della disputa sul controllo delle risorse energetiche situate nel Mediterraneo orientale**.** La Yavuz è destinata ad operare nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) della Repubblica di Cipro (di seguito Cipro), precisamente all’interno di blocchi d’esplorazione affidati dal governo di Nicosia alla compagnia italiana ENI e alla francese Total. La mossa di Ankara ha provocato l’ovvia reazione delle cancellerie di Roma e Parigi, tanto da indurre la seconda ad inviare a Larnaca due fregate militari per esercitazioni congiunte con la marina cipriota. Questa è solo l’ultima di una serie di azioni turche all’interno della ZEE cipriota, la più significativa delle quali risale al febbraio 2018, quando la nave SAIPEM 12000, in operazione per conto di ENI, venne costretta ad abbandonare il proprio blocco d’esplorazione da un’imbarcazione della Marina Militare turca.
La motivazione ufficiale dell’aggressività turca risiede nell’annosa disputa sulla sovranità della parte settentrionale dell’isola di Cipro. Ankara è di fatti l’unico Paese a riconoscere l’indipendenza della Repubblica Turca di Cipro del Nord (di seguito RTCN o Cipro Nord), situata sulla porzione settentrionale dell’isola. Nella RTCN, che ha proclamato unilateralmente la propria indipendenza nel 1983, vive la popolazione turco-cipriota, trasferitasi a seguito del golpe militare sull’isola ad opera di elementi greco-ciprioti del 1974 e del conseguente intervento di Ankara a tutela della popolazione di origine turca.
Nello specifico la Turchia non accetta la delimitazione della ZEE effettuata da Nicosia. La Zona Economica Esclusiva è, di fatti, l’area marina adiacente le acque territoriali, su cui uno Stato possiede i diritti per la gestione delle risorse naturali, e viene delineata dagli stati costieri entro 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale (12 miglia dalla costa). Nicosia, che reclama la sovranità su tutto il territorio cipriota, ha demarcato la propria ZEE a partire dalle acque territoriali adiacenti l’isola di Cipro nella sua interezza. La Turchia, agendo in difesa della RTCN, punta ad indurre Nicosia ad accettare lo sfruttamento congiunto delle risorse marine situate all’interno di tutta la ZEE dell’isola, compresa la parte sud dove sono stati finora rinvenuti i giacimenti di gas.
Con tutta evidenza, Ankara punta ad utilizzare la questione di Cipro Nord come leva negoziale su una serie di dossier riguardanti le relazioni con l’UE ed i rapporti di forza regionali. Allo stesso tempo, la Turchia è direttamente interessata alla complessa partita sullo sfruttamento delle risorse energetiche di tutto il Mediterraneo orientale.
Infatti, in questa zona, a partire dal 2009, sono stati rinvenuti una serie di giacimenti gasieri, concentrati, oltre che in acque cipriote, anche all’interno delle ZEE israeliane ed egiziane, dentro un bacino le cui scoperte future potrebbero interessare anche Siria, Libano e territori palestinesi (nella parte antistante la Striscia di Gaza).
Il primo Paese ad usufruire delle risorse energetiche di recente scoperta è stato Israele, al largo del quale nel 2009 venne ritrovato il giacimento di gas Tamar, in grado di supportare una produzione di 280 BCM (miliardi di metri cubi) di gas, seguito nel 2010 dal ben più rilevante Leviathan (620 BCM). Nel 2011 è stato il turno di Cipro, grazie alla scoperta di Aphrodite, modesto giacimento dalla potenzialità di 140 BCM, ma sufficiente a coprire le necessità interne dell’isola. Ad Aphrodite è seguita la scoperta di Calypso-1 nel 2018, targata ENI, le cui potenzialità non sono ancora definite, come del resto quelle di Glaucus-1, individuato dalla compagnia americana Exxon nel febbraio 2019. Sempre ENI è protagonista della scoperta di Zohr, il giacimento fino ad ora maggiormente rilevante in termini di grandezza (850 BCM), rinvenuto nel 2015 in ZEE egiziana.
La possibile commercializzazione del gas estratto nel Mediterraneo orientale è vista con forte interesse da Ankara, la quale punta a diventare lo snodo fondamentale per il flusso energetico tra area russo-caucasica, mediorientale ed europea. Al momento in territorio turco operano 3 gasdotti (Blue Stream proveniente dal Mar Nero in Russia, il South Caucasus Pipeline e il Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP) dall’Azerbaijan), mentre altri due, il Southern Gas Corridor proveniente dall’Iran ed il Turkish Stream, deviazione del South Stream russo in collegamento con la Trans Adriatic Pipeline (TAP), sono in fase di completamento. Ankara era inizialmente coinvolta nei progetti di esportazione del gas rinvenuto nella ZEE israeliana, ma l’adesione al Turkish Stream ha ridotto l’appetibilità commerciale della rotta turca per il gas di Tel Aviv, marginalizzando così la Turchia della partita sullo sfruttamento delle risorse energetiche dell’area. L’aggressività turca nei mari ciprioti va vista quindi anche nell’ottica di avere voce in capitolo su questo delicato dossier, le cui potenzialità travalicano il mero significato economico e vanno ad inserirsi nei delicati equilibri politici regionali.
E’ bene sottolineare come, per quanto importanti, le nuove scoperte non alterano significativamente gli equilibri di un mercato energetico mondiale rivoluzionato dalla commercializzazione dello shale oil statunitense ed il conseguente abbassamento del prezzi del petrolio**.** Al momento, inoltre, il gas rinvenuto nell’area sembra esser destinato per la stragrande maggioranza per il consumo interno, in particolare quello egiziano, Paese sottoposto ad una rapida crescita della popolazione (50% in più entro il 2050) ed un incremento dei consumi pro capite. Nonostante ciò, la possibilità di ulteriori scoperte, quanto motivazioni di ordine strategico prima ancora che economico, alimentano le prospettive di commercializzazione del gas del Mediterraneo orientale, suscitando un forte interesse da parte dell’Europa.
A tal fine, l’UE è attiva nel favorire la cooperazione tra i paesi produttori, necessaria per rendere economicamente conveniente l’export e per garantire un’adeguata sicurezza alle infrastrutture di trasporto, prendendo altresì in considerazione la possibilità di finanziare alcuni progetti sul tavolo.
Bruxelles guarda con interesse alle nuove risorse mediterranee, non tanto in un’ottica di breve periodo, data la momentanea abbondanza di gas proveniente dal Mare del Nord, oltre alle nuove disponibilità statunitensi, quanto in una prospettiva di più ampio respiro. La strategia di diversificazione dell’approvvigionamento energetico europeo ha tra gli obiettivi principali la limitazione dell’afflusso di gas dalla Russia, che pesa per il 39% delle importazioni. D’altro canto, nel fare ciò, i Paesi UE non possono rischiare di vedere concentrate in Turchia tutte le vie alternative al rifornimento di gas, consegnando nelle mani Ankara un ulteriore potente strumento negoziale.
Il progetto più ambizioso al momento sul tavolo riguarda la costruzione del gasdotto EastMed, che dovrebbe far confluire il gas israeliano in Italia tramite Cipro e Grecia. Definito progetto di interesse comune da parte dell’Unione Europea, e quindi passibile di finanziamenti comunitari, EastMed rimane al momento oggetto di valutazioni politiche, strategiche ed economiche da parte degli attori interessati. La costruzione di gasdotti, di fatti, presenta indubbie economie di scala, ma anche elementi di rigidità nel trasporto, rilevanti costi fissi, oltre ad elevati rischi in termini di sicurezza, particolarmente in aree instabili come quella mediorientale.
L’alternativa alla costruzione di delicate infrastrutture è il trasporto sotto forma di GNL (Gas Naturale Liquefatto). Questa tecnica comporta minori costi fissi ed indubbi vantaggi di spostamento e flessibilità di destinazione, allo stesso tempo la necessità di liquefazione e successiva rigassificazione aumenta i costi variabili. L’Egitto, che possiede terminali di liquefazione del gas a Idku (Shell) e Damietta (concessioni in mano a ENI e Union Fenosa), diventa così un attore importante nella partita. Il Paese, storicamente esportatore di energia, al momento della scoperta di Zohr era tornato ad importare gas per via di un calo nella produzione dovuto alle turbolenze politiche legate all’instabilità post 2011 e al crescente fabbisogno interno. La scoperta di Zohr ha improvvisamente ridato indipendenza energetica al Cairo e rilanciato le ambizioni di export. Il gas egiziano in surplus dai consumi domestici, non è però sufficiente ad innescare le economie di scala necessarie a tenere in funzione entrambi gli stabilimenti (Damietta al momento non è ancora attivo), rendendo così necessario per il Cairo convogliare altro gas dal bacino del Mediterraneo orientale.
La costruzione di EastMed o lo sfruttamento a pieno delle infrastrutture LNG egiziane rappresentano quindi opzioni alternative, ed in virtù di considerazioni economiche e di sicurezza infrastrutturale, al momento la seconda sembra essere la prescelta, almeno per il breve periodo. La stipula di accordi per la vendita e trasporto di 85,3 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2020, formalizzata lo scorso febbraio da Egitto e Israele, sembra rientrare in quest’ottica.
Comunque sia, uno sfruttamento efficiente ed economicamente conveniente delle risorse non può che passare dalla cooperazione a livello multilaterale. A tal riguardo, l’iniziativa più significativa riguarda la creazione dell’Eastern Mediterranean Gas Forum (EMGF), polo di discussione e coordinamento sulle politiche energetiche dell’area, datata gennaio 2019. All’EMGF partecipano Israele, Egitto, Autorità Nazionale Palestinese, Cipro, Italia, Giordania, Grecia ed in potenza la Francia. Da notare è l’assenza, oltre che della Turchia, del Libano, il quale ha una disputa aperta con Israele sulla delimitazione del confine, e di conseguenza della ZEE, per un area di circa 860 chilometri quadrati, sotto i quali con buona probabilità si trova parte del giacimento Tamar.
Qualora il Forum diventasse un organismo stabile di confronto, questo potrebbe offrire ottime prospettive economiche quanto diplomatiche. Nello specifico, nelle intenzioni europee, la trasformazione dell’ EMGF in un foro di coordinamento politico a 360 gradi potrebbe indurre Ankara ad imboccare una strada maggiormente dialogante, in modo da evitare di restare tagliata fuori del tutto da un dossier così strategico.
D’altronde, data la vasta portata del confronto tra i due attori, l’Unione Europea punta ad evitare uno scontro frontale con la Turchia. Di fatti, oltre alla questione energetica, sono diversi i dossier che accomunano Bruxelles e Ankara: dalla gestione dei flussi migratori, alla competizione in diverse aree del Mediterraneo allargato (Medio Oriente, Balcani, Corno d’Africa), passando per l’interesse europeo nell’impedire una stabilizzazione dell’asse turco-russo che sta emergendo dall’evoluzione della crisi siriana.