Geopolitical Weekly n.324

Geopolitical Weekly n.324

Di Francesco Barbaro, Andrea Cerasuolo e Gloria Piedinovi
17.04.2019

Egitto

Il 16 aprile, la Camera dei Rappresentanti egiziana ha approvato una serie di emendamenti alla Costituzione, la cui ratifica sarà oggetto di un referendum nei giorni 22, 23 e 24 dello stesso mese. La riforma, nel complesso, segna il punto di arrivo di un progetto al quale il Presidente Abdelfattah al-Sisi lavora concretamente fin dalle elezioni presidenziali del 2018, con l’obiettivo di rafforzare il controllo su tutti i principali apparati dello Stato e rimodulare l’architettura istituzionale egiziana in senso spiccatamente verticistico.

L’articolo 140, infatti, estende il mandato presidenziale da quattro a sei anni, con un effetto retroattivo rispetto all’attuale incarico, che terminerebbe quindi nel 2024. Termine dopo il quale, grazie all’articolo transitorio 240, al-Sisi potrebbe candidarsi per un terzo mandato che, a questo punto, durerebbe fino al 2030. Con un altro, importante emendamento, viene aumentato il controllo del Capo di Stato sul potere legislativo. Il nuovo articolo 248, in effetti, istituisce una seconda camera parlamentare, il Senato, che avrà non meno di 180 membri (necessariamente cittadini egiziani, laureati e di età non inferiore ai 35 anni),  ma di cui un terzo sarà tuttavia nominato direttamente, e quindi controllato, dal Presidente stesso.

Parallelamente, il principio democratico della separazione dei poteri viene depotenziato con un inedito aumento del potere presidenziale sul sistema giuridico, che non ha precedenti nella storia politica egiziana successiva al colpo di stato repubblicano del 1952. In base all’articolo 193, infatti, al Capo dello Stato spetterà la nomina di tutte le più alte cariche giudiziarie, dal Presidente dell’Alta Corte Costituzionale al Capo dell’Autorità dei Commissari e i relativi membri. Il Presidente presiederà anche il neo-istituito Consiglio supremo delle autorità giudiziarie, organismo che avrà tra l’altro potere di nomina sui presidenti dei tribunali.

Dunque, con questa svolta, al-Sisi intende archiviare definitivamente quella timida stagione di aperture e di pluralismo avviata nel 2011, che aveva già cominciato a declinare con la Costituzione entrata in vigore nel gennaio 2014 e promossa dallo stesso al-Sisi, riportando saldamente al centro della vita politica egiziana le Forze Armate.

Filippine

Il 14 aprile scorso il Segretario alla Difesa Nazionale delle Filippine, Delfin Lorenzana, ha confermato la morte del leader di Daesh nelle Filippine, Abu Dar. Divenuto emiro della branca dell’autoproclamatosi Stato Islamico nel Sudest Asiatico nel 2017, Owaydah Benito Marohombsar (vero nome di Abu Dar) era il comandante del gruppo d’insorgenza Maute, operante nella provincia di Lanao del Sur, nella parte nord-occidentale dell’isola di Mindanao.

La successione di Abu Dar alla guida di Daesh nelle Filippine risale all’ottobre 2017, quando il precedente emiro, nonché leader del gruppo armato Abu Sayyaf, Isnilon Totoni Hapilon, è rimasto ucciso durante l’assedio alla città di Marawi, capoluogo della provincia di Lano del Sur e roccaforte proprio del gruppo Maute. In quell’occasione, i militanti affiliati al Califfato avevano preso il controllo del centro città e ingaggiato una lunga battaglia con l’Esercito del governo filippino, durata più di cinque mesi.

La forza dimostrata dal gruppo Maute durante la battaglia di Marawi è stata alla base della scelta di nominare Abu Dar come successore di Hapilon alla guida di Daesh nelle Filippine.

La sua morte, dunque, apre ora nuovi scenari su chi sarà il successore alla guida dello Stato Islamico nel Sudest Asiatico. Quest’ultimo, infatti, non è un gruppo organico, ma un ombrello nel quale sono confluite diverse realtà sia legate all’insorgenza locale sia ai gruppi di ispirazione jihadista in tutta la regione. La natura insulare della regione, inoltre, da sempre favorisce un’autonomia non solo operativa ma soprattutto gestionale delle diverse cellule. Dal momento che tradizionalmente l’emiro viene scelto tra i comandanti dei gruppi armati più forti, la nomina del futuro leader potrebbe essere indicativa di eventuali nuovi rapporti di forza non solo all’interno del gruppo, ma, più in generale, nel panorama jihadista della regione.

Tunisia

Il 13 aprile il partito Nidaa Tounes, d’ispirazione progressista e laica nonché la principale formazioni che sostiene l’attuale esecutivo tunisino insieme a Ennahda, ha vissuto un’importante lacerazione interna. Infatti, si sono tenuti due distinti congressi di partito rivali, uno ad Hammamet e l’altro a Monastir. Il primo ha eletto a capo del Comitato Centrale del partito Sofiène Toubel, deputato e già Presidente del gruppo parlamentare. Il secondo ha invece designato per la stessa carica Hafedh Essebsi, già Segretario Generale di questo raggruppamento e figlio del Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi.

E’ verosimile che queste dinamiche inaspriscano i rapporti, già molto tesi, tra questa formazione e l’attuale Premier Youssef Chahed. Di fatto, i rapporti tra il Primo Ministro e il suo ex partito (Cha-hed è stato espulso da Nidaa Tounes nel settembre scorso) sono peggiorati in maniera costante poco dopo la sua designazione a Premier nel 2016. I motivi di attrito sono diversi: dagli opposti protago-nismi di Hafedh Essebsi e Chahed ai crescenti dissidi interni al partito causati in buona parte da in-teressi particolaristici e clientelari che dominano la politica tunisina anche dopo la “Rivoluzione dei Gelsomini” del 2011. A queste motivazioni se ne aggiungono altre di carattere strutturale, riguar-danti la fisionomia di Nidaa Tounes, raggruppamento molto eterogeneo di forze sociali, economiche e politiche il cui unico obiettivo comune consiste nel contrapporsi all’islamismo politico nel Paese, rappresentato dal partito Ennahda guidato da Rached Ghannouchi.

I continui attriti all’interno della maggioranza e della stessa Nidaa Tounes hanno condotto a più di una scissione: l’ultima è avuta il 27 gennaio scorso con la nascita di Tahya Tounes, guidata dal Premier Chahed. Dunque, l’elezione contrapposta di Essebsi e Toubel rischia di allontanare ulte-riormente Nidaa Tounes dal suo obiettivo strategico, ovvero porsi come principale riferimento e polo aggregatore delle forze progressiste del Paese, oltretutto a ridosso delle prossime elezioni presi-denziali che legislative che si terranno in autunno.

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