Geopolitical Weekly n.128
Iran
L’11 novembre è stata firmata un’intesa congiunta tra Iran e Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che prevede la possibilità di ispezioni al reattore ad acqua pesante di Arak e la miniera d’uranio di Gachin; non vi saranno invece visite alla base militare di Parchin, dove si ritiene che gli scienziati iraniani stiano portando avanti un programma nucleare militare segreto. L’accordo apre caute speranze di dialogo sul programma nucleare iraniano, nonostante il fallimento del round negoziale conclusosi a Ginevra lo scorso 8 novembre tra Iran, Unione Europea e il gruppo 5 + 1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). Pur volendo vedersi riconosciuto il diritto all’arricchimento dell’uranio in seguito all’adesione ai trattati sulla non proliferazione nucleare, Teheran ha mostrato una maggiore apertura a concludere un accordo per alleggerire le pesanti sanzioni che da anni gravano sulla sua economia. La Repubblica Islamica, infatti, starebbe tentando di riabilitarsi agli occhi della comunità internazionale e reinserirsi nel mercato economico mondiale. Gli Stati Uniti, che per anni ha considerato l’Iran un “rogue State”, hanno manifestato l’intenzione di raggiungere a breve un accordo, affermando di essere disposti a rivedere e diminuire le sanzioni contro Teheran. Il reinserimento iraniano nella comunità internazionale, tuttavia, è osteggiato da Arabia Saudita ed Israele, storici nemici dell’Iran per ragioni confessionali e politiche.
Libia
La destabilizzazione politica che sta colpendo la Libia si è aggravata nell’ultima settimana sul piano della sicurezza energetica e delle spinte indipendentiste. Gli scioperi continui negli stabilimenti di Mellitah gestiti dall’Eni sulla costa tripolitana hanno obbligato la società petrolifera italiana a interrompere l’approvvigionamento dal gasdotto Greenstream diretto a Gela. In Cirenaica, invece, Abd Rabbo al Barassi, capo di una milizia stanziata a Tobruk, si è auto-dichiarato Primo Ministro della Cirenaica e ha deciso di creare una nuova compagnia petrolifera indipendente da quella statale, la Libya Oil and Gas Corp. Sia l’interruzione dei flussi energetici che la possibilità di dichiarare indipendenti porzioni di territorio libico sono da imputare al potere delle milizie. Il gruppo paramilitare che gestisce la sicurezza della raffineria di Mellitah ha dimostrato la propria capacità di mettere in pericolo l’approvvigionamento italiano o ridurre sensibilmente il flusso energetico come sta succedendo dalla caduta di Gheddafi. L’impossibilità del governo di Ali Zeidan di controllare l’esteso territorio libico, inoltre, permette ad alcune delle milizie di porre sotto il proprio controllo intere regioni, indebolendo ancora di più l’autorità centrale.
Pakistan
Due importanti figure della militanza radicale pakistana sono state uccise negli ultimi giorni. Il primo a perdere la vita è stato il leader dei Talebani Pakistani (TTP) Hakeemullah Mehsud che è stato ucciso il 1° novembre nel Nord Waziristan dall’attacco di un drone statunitense. Il 12 novembre poi è stata la volta di Nasiruddin Haqqani, finanziatore principale delle attività dell’omonimo clan sempre stanziato nel Nord Waziristan. Hakeemulah Mehsud è stato sostituito da Mullah Fazlullah che, da comandante del TTP nella zona di Swat, è divenuto il nuovo emiro del gruppo. La nomina di Fazlullah è un segnale di chiusura a qualsiasi negoziato con Islamabad, e anzi di un’ancor più rafforzata contrapposizione al governo centrale. Nasiruddin Haqqani è stato invece ucciso in un agguato nei pressi di Islamabad. L’assassinio è ancora avvolto nell’incertezza, con possibili mandanti riconducibili sia a dispute nel frastagliato panorama della militanza pakistana, sia a faide all’interno della tribù Zadran o al potente apparato di intelligence pakistana (ISI).
Siria
Il 26 ottobre scorso gruppi armati di ribelli curdi siriani hanno conquistato il valico di Yaarabiya, al confine nordorientale tra Siria e Iraq, strappandolo alle formazioni jihadiste dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) e il Fronte al-Nusra. La presa della frontiera segna un’ulteriore avanzata dei combattenti curdi, che sin dai primi mesi della rivolta contro il regime di Bashar al-Assad controllano de facto i territori settentrionali del Paese, dove l’etnia è concentrata. Costretto dagli sviluppi del conflitto, infatti, il Presidente Assad aveva deciso di abbandonare le aree a maggioranza curda, passate sotto il controllo del Democratic Union Party (PYD) e del Consiglio Nazionale Curdo (KNC). Il primo gruppo rappresenta una costola del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) della Turchia, mentre il secondo è vicino al Kurdistan iracheno, costituitosi in governatorato autonomo con capitale Erbil in seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq nel 2003 e governato dal Partito Democratico del Kurdistan (KDP) di Massoud Barzani. Appoggiando le istanze più moderate del KNC, Barzani sta cercando di rafforzare la propria leadership anche tra i curdi siriani. Al momento, tuttavia, è il più oltranzista PYD a esercitare maggiore influenza nell’area grazie alle attività del proprio braccio armato, il YPG. Il 12 novembre scorso, lo stesso PYD ha proclamato la creazione di un governo autonomo di transizione incaricato di amministrare le aree sotto il controllo dei curdi siriani.