Geopolitical Weekly n.106
Corea del Nord
Il 3 aprile un comunicato dello Stato Maggiore dell’Esercito coreano ha affermato che è stato dato il via libera per un possibile attacco nucleare contro gli Stati Uniti. Le capacità nucleari nordcoreane sono ancora latenti e certamente non tali da poter seriamente minacciare l’America in quanto i tecnici della Corea del Nord non sono ancora riusciti a miniaturizzare una testata nucleare, passaggio fondamentale per poterla inserire in un missile e lanciarla.
Sempre nell’ottica di alzare la tensione con Washington, Kim Jong-Un avrebbe fatto puntare i propri missili Nodong (MRBM con gittata compresa fra i 1.350 e i 1.500 Km) verso l’isola di Guam, minacciando di colpire la base americana lì situata. Anche in questo caso le possibilità che l’attacco avvenga sono ridotte in quanto la gittata dei Nodong non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo. La risposta del Pentagono è stata quella di dispiegare a Guam un sistema anti-missile Thaad (Terminal high-altitude area defense) per difendere l’isola da un eventuale attacco nordcoreano.
Nonostante si ritenga improbabile che l’escalation di Pyongyang porti ad un vero e proprio attacco sul suolo americano, gli Stati Uniti hanno iniziato un sistematico rafforzamento delle loro forze militari nell’area. Per questo, anche se formalmente per partecipare alle esercitazioni militari annuali con la Corea del Sud, nella base di Osan è stata inviata una componente aerea costituita da F-22, B-2 e B-52. La VII flotta US Navy ha, inoltre, dispiegato i cacciatorpediniere USS McCain, equipaggiato con sistema di difesa missilistica Aegis (Aegis Ballistic Missile Defense System) e USS Decatur, al largo della costa sud-occidentale della penisola coreana. Ad ulteriore precauzione gli Stati Uniti hanno schierato ad est del Giappone un radar di difesa aerea anti-missili balistici in banda X per individuare eventuali lanci nordcoreani. Il sea based X band radar è montato su una piattaforma semi-sommergibile ed è di proprietà della US Missile Defence Agency.
A sottolineare la gravità dell’escalation delle azioni della Corea del Nord vi è anche il fatto che l’area di Kaesong, complesso industriale in territorio nordcoreano dove operano però centinaia di aziende del Sud e che dalla sua apertura nel 2003 ha reso a Pyongyang circa due miliardi di dollari, è stata chiusa mercoledì 3 aprile.
Mali
Il 2 aprile ha preso il via in Mali la European Union Training Mission (EUTM), una missione di supporto e addestramento dell’Esercito maliano guidata dall’Unione Europea e condotta da uno staff di circa 500 unità, tra istruttori militari e staff di supporto, provenienti da 22 nazioni diverse. Il proposito dell’EUTM, del costo di circa 12 milioni di euro, sarà quello di ricostruire il debole esercito maliano, fornendogli le capacità necessarie a mantenere la sicurezza sul territorio nazionale una volta concluse le operazioni militari francesi. Il mandato iniziale dell’EUTM è di 15 mesi: l’aspettativa è quella di addestrare circa 3.000 soldati maliani nel giro di un anno, 600 dei quali dovranno essere pronti entro l’estate.
La Francia ha già affermato di voler avviare entro fine aprile il graduale ritiro dei propri soldati dal territorio maliano: il progetto è quello di lasciare che i Caschi blu dell’Onu subentrino al proprio contingente, che dovrà passare da 4.000 a 1.000 unità entro fine dicembre. Nonostante l’indebolimento delle attività delle milizie vicine ad AQMI, permane il timore nei confronti di un loro rafforzamento dopo l’inizio del ritiro delle truppe francesi: tale eventualità potrebbe spingere la Francia ad allungare ulteriormente i tempi del rientro.
Nella notte tra sabato 30 e domenica 31 marzo, un attentatore suicida si è fatto esplodere con un’automobile vicino un posto di blocco a Timbuktu, ferendo un soldato maliano. L’attacco si è rivelato poi un diversivo, utilizzato da un’unità di circa 15 miliziani per introdursi nel centro della città e dar vita ad una serie di scontri armati che si sono protratti fino a lunedì mattina. Il bilancio finale dell’attacco è stato l’uccisione di oltre 10 membri del commando e il ferimento di un soldato francese e di alcuni militari maliani. Gli attacchi evidenziano il cambio di strategia dei qaedisti in difficoltà, sempre più determinati ad agire attraverso attentati suicidi e operazioni di guerriglia condotte da piccoli nuclei.
Palestina
Il 3 aprile durante alcuni scontri tra i soldati israeliani e i giovani palestinesi nella città di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, due ragazzi, Amer Nassar di 16 anni e Naji Balbisi di 17 anni, sono stati uccisi durante degli scontri con le forze di sicurezza israeliane.
La tensione nell’area era salita dopo la morte in carcere di Maysara Abu Hamdiyeh, cittadino palestinese che, secondo la popolazione in rivolta, non avrebbe ricevuto cure adeguate contro il cancro. Gli scontri, culminati nelle due morti di mercoledì, seguono a giorni di proteste e scioperi generali che hanno coinvolto tutto il territorio e che confermano la crescente difficoltà da parte di Fatah di mantenere il controllo sulla popolazione.
Tensioni si sono verificate nei giorni precedenti anche nella Striscia di Gaza quando Israele ha condotto il suo primo attacco aereo dopo l’operazione “Pilastro di difesa” dello scorso novembre. I vertici militari hanno affermato che si è trattato di una risposta al lancio di razzi effettuato in precedenza da parte di Majlis Shura al-Mujahadeen, un gruppo ispirato ad al-Qaeda che opera nella Striscia. Il 3 aprile il gruppo ha replicato con il lancio di altri due razzi, dichiarando che questi erano una risposta alla morte di Abu Hamdiyeh. Le frizioni di questi giorni nella Striscia potrebbero essere connesse anche alla rielezione di Khaled Meshaal come leader di Hamas, avvenuta il 2 aprile. Fino a pochi mesi fa, la conferma di Meshaal appariva tutt’altro che probabile, dal momento che lo stesso leader di Hamas, in esilio a Doha, aveva dichiarato la propria intenzione di non ricandidarsi. Inoltre, la leadership di Meshaal era stata progressivamente messa in discussione da una grossa fetta della base del movimento, convinta della necessità di eleggere una figura più radicata sul territorio, come il Premier Ismail Haniyeh. Decisivi per la rielezione di Meshaal appaiono gli stretti e proficui rapporti internazionali stretti dal leader di Hamas negli ultimi anni, segnatamente quelli con Qatar, Egitto, Turchia e Tunisia, la cui vicinanza al movimento palestinese è apparsa assai rafforzata durante i sette giorni dell’Operazione “Pilastro di difesa”, lanciata da Israele sulla Striscia di Gaza nello scorso novembre.
Serbia–Kosovo
Mercoledì 3 aprile si è concluso in un nulla di fatto il round di trattative svoltosi a Bruxelles tra Serbia e Kosovo, con la mediazione dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea Catherine Ashton. I rappresentanti dei due Paesi, il Premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci, hanno lasciato il tavolo dei negoziati ribadendo la loro disponibilità a proseguire le discussioni, nonostante la possibilità di un accordo resti lontana. Un buon esito delle trattative, con il riconoscimento serbo dell’indipendenza del Kosovo (unilateralmente proclamata da Pristina il 17 febbraio 2008), avrebbe potuto rappresentare un incentivo alle aspirazioni serbe di entrare nell’Unione Europea.
A quasi 15 anni dall’intervento della NATO che ha consentito di porre fine alla guerra civile tra Serbia e Kosovo, Belgrado rifiuta ancora di riconoscere l’indipendenza della regione kosovara. Nonostante le rivendicazioni di Pristina siano appoggiate dagli Stati Uniti e dalla maggior parte degli Stati dell’UE (in primo luogo la Germania), permane l’opposizione di chi, come la Russia che è stata contraria anche all’intervento NATO in Kosovo, si oppone all’indipendenza del Kosovo, per via dell’alleanza stretta tra Belgrado e Mosca e dei disordini etnici che potrebbero nascere all’interno delle sue province settentrionali a maggioranza serba.