Carenze democratiche e conseguenze geopolitiche del voto in Ucraina
A circa cinque mesi dalle elezioni in Ucraina, è possibile trarre alcune conclusioni in merito al processo elettorale in sé ed al significato geopolitico di un voto che ha confermato alla guida della repubblica ex-sovietica il Partito delle Regioni (Partija Regioniv, PR) del Presidente Viktor Yanukovich. Il PR, che ha ottenuto solo la maggioranza relativa alla Rada (185 seggi su 450), può comunque contare sui 32 seggi ottenuti dall’alleato comunista KPU (Komunistychna Partiya Ukrayiny, Partito Comunista d’Ucraina), nonché sull’atteggiamento filogovernativo di un consistente numero di deputati indipendenti (43).
L’”Opposizione Unita”, composta dai partiti “Patria” di Yulia Timoshenko e Fronte per il Cambiamento di Arseni Yatseniuk (101 seggi), potrebbe trovare un valido alleato nell’UDAR (Ukrainian Democratic Alliance for Reform, Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma, 40 seggi), il partito centrista pro-UE dell’ex campione di pugilato Vitaly Klitschko, e nei nazionalisti di Svoboda (37), entrambi all’esordio in parlamento.
Gli equilibri sono rimaste simili a quelli della precedente legislatura, con un lieve indebolimento delle forze tradizionali (il Pr ha perso un paio di seggi e Patria per non indietreggiare ha dovuto necessariamente aprire all’accordo con Fronte del Cambiamento) e con la crescita di comunisti e nazionalisti.
La fotografia geografico - elettorale è, come già accaduto in passato, quella di un paese spaccato in due, con le regioni occidentali che votano per Timoshenko e per i nazionalisti e quelle orientali e meridionali (russofone) che si confermano il feudo elettorale di Yanukovich e dei suoi alleati comunisti.
Gli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), congiuntamente a colleghi dell’UE, della NATO e del Consiglio d’Europa, hanno avuto l’occasione di monitorare “sul campo” l’organizzazione e lo svolgimento dell’election day (ricordiamo che gli ucraini si sono recati alle urne il 28 ottobre 2012) nonché i comportamenti tenuti dai contendenti durante tutta la campagna elettorale. Il loro giudizio è stato poco lusinghiero per Kiev, rilevando diverse disparità di condizioni, abuso di risorse amministrative, mancanza di trasparenza in merito a finanziamento della campagna elettorale e dei partiti in generale, compravendita di voti, disomogeneità nella copertura da parte dei mass-media. Walburga Habsburg Douglas, coordinatore della Election Observation Mission (EOM) OSCE ha puntato anche il dito sulla condizione di detenuta della leader dell’opposizione Yulia Timoshenko, la quale sta scontando sette anni per abuso d’ufficio nella stipulazione di un esoso contratto per la fornitura di gas russo all’Ucraina senza il previo consenso del governo e che, al contempo, imputa ad Yanukovich di dar corso nei suoi confronti ad una persecuzione politica. A tali accuse, provenienti da gran parte dell’opinione pubblica nonché da leader europei e occidentali, di “liquidazione” per mano giudiziaria (dettata da motivazioni ideologiche) ai danni della Timoshenko, i vertici del governo ucraino replicano rimproverando ai leader e alle istituzioni europee mancanza e frammentarietà d’informazioni afferenti al caso e sostenendo l’inconfutabilità delle prove a sostegno dei reati di falsificazione di documenti ufficiali ed abuso d’ufficio per i quali è detenuta la capofila di Patria.
Contro il basso livello di democratizzazione e l’alto tasso di corruzione che attanagliano la società ucraina si pongono svariate forze extra-parlamentari, a partire da Femen, il movimento di protesta “nudista” i cui obiettivi primari consistono nello smuovere le coscienze delle donne ucraine e nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei diritti politici e delle libertà civili. I “raid” del movimento, che, partiti da Kiev, hanno toccato ad oggi quasi tutte le principali città europee, accompagnano proteste dai contenuti ampiamente trasversali (dalle manifestazioni contro il dilagare della prostituzione a quelle contro il turismo sessuale; dalle proteste contro l’alto prezzo del metano russo a quelle a favore dell’aborto; dalle incursioni ai Giochi Olimpici e ai Campionati Europei di calcio del 2012 all’ultima, datata 12 marzo 2013, in Piazza San Pietro a Roma, durante il Conclave). Accusato in patria di svariati reati quali vandalismo e vilipendio dei simboli dello Stato, Femen ha a sua volta accusato nel 2011 l’SBU (il servizio segreto ucraino) di pressioni ed intimidazioni. Al grido “Venni, mi spogliai, vinsi”, le attiviste del movimento giustificano i loro metodi provocatori sostenendo che spogliarsi è l’unico modo per essere ascoltate in una società maschilista e reazionaria quale quella ucraina. Il timore è che proprio tali modalità di protesta, unite alla crescente visibilità mediatica delle incursioni del gruppo, se da un lato accendono sicuramente i riflettori sulla “questione femminile” ucraina (e non solo), dall’altro rischiano di semplificarne e “commercializzarne” il messaggio.
Il balzo dei nazionalisti di Svoboda oltre la soglia del 5%, necessaria per entrare nella Rada, introduce un ulteriore elemento di instabilità nella già difficile situazione parlamentare ucraina. Svoboda, che in ucraino significa “libertà”, si pone in tale scenario come forza di opposizione di estrema destra, conservatrice, nazionalista e xenofoba. Il suo attuale simbolo, adottato nel 2004 in sostituzione di un simbolo molto simile al dente di lupo della Germania Nazista, consiste di una mano con tre dita alzate, a richiamare il Tryzub della bandiera ucraina, un gesto che significa “indipendenza”. Il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok, fino al luglio 2004 parlamentare tra le fila di “La Nostra Ucraina” di Yushshenko, venne espulso dal partito causa dichiarazioni xenofobe (antisemite ed anti-russe). Erede del nazionalismo integrale di Dmytro Donkov (1883-1973), il programma elettorale di Svoboda include tra l’altro: introduzione della voce “etnia” sui passaporti e i certificati di nascita; introduzione della responsabilità penale per ogni tipo di manifestazione “ucrainofoba”; abolizione dell’aborto, eccetto i casi in cui una perizia medica e la sentenza di un tribunale accertino che sia avvenuto uno stupro, ed equiparazione, nel codice penale, dell’aborto illegale al tentato omicidio; divieto di adozione di bambini ucraini da parte di stranieri.
A livello economico i nazionalisti perseguono, in primis, l’affrancamento dell’Ucraina dalla “servitù energetica” russa, nonché il raggiungimento di una posizione di primo piano sui mercati internazionali (posizione che, secondo Tyahnybok, non può non avere un paese geograficamente ben collocato come l’Ucraina).
Di certo non disponibile ad un dialogo col Partito delle Regioni del Presidente Yanukovich ed ancora troppo “estremo” per essere inquadrato nei ranghi dell’”Opposizione Unita” di Timoshenko, Svoboda si caratterizza tanto per una drastica russofobia quanto per un convinto antieuropeismo di cui potrebbero beneficiare superpotenze quali USA e Cina nel gioco degli equilibri eurasiatici.
Ad un primo sguardo, l’oligarchizzazione del processo elettorale da cui sono uscite vincitrici forze socio-comuniste filorusse sembra spingere l’Ucraina sempre più tra le braccia di Mosca e sempre più lontano da quelle di Bruxelles. Anche dopo l’Indipendenza dall’ex-Urss, ottenuta nell’agosto del 1991, i legami con la Russia hanno continuato a condizionare la politica estera di Kiev. Le ragioni di ciò sono molteplici. Da un lato il territorio ucraino ospita consistenti minoranze russe, che si concentrano nelle regioni orientali e in Crimea. In secondo luogo, proprio nella penisola di Crimea si trova Sebastopoli, sede della più importante base navale russa nel Mar Nero. Infine, l’Ucraina è un importante stato di transito del gas e del petrolio russi diretti in Europa occidentale. La stessa ricerca di dialogo e di relazioni sia bilaterali sia multilaterali con i paesi europei e gli Stati Uniti sono stati intrapresi dell’Ucraina proprio nel tentativo di recidere il cordone ombelicale dalla ingombrante “Madre Russia”. Ma anche se l’Ucraina ha avviato dal 2002 un “dialogo intensificato sulla membership” con la NATO e definito “imprescindibile obiettivo” l’integrazione europea, i rapporti con Mosca, soprattutto sul piano commerciale, finanziario ed energetico, non sono mai venuti meno. L’ascesa al potere di Yanukovich (Primo Ministro tra il 2006 e il 2007, poi Presidente dal 2010) ha avuto l’effetto di migliorare significativamente le relazioni con Mosca, con il ripianamento di molte delle fratture venutesi a creare sotto i governi Jushenko-Timoshenko. La disputa cominciata nel 2007 attorno all’indebitamento ucraino nei confronti delle compagnie energetiche russe e che a inizio 2009 portò ad una sospensione delle forniture russe di gas che, oltre a paralizzare il comparto industriale ucraino ebbero pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo, ebbe quali conseguenze, da un lato la ricerca da parte dell’Unione Europea di processi atti alla diversificazione delle rotte energetiche (valutate troppo dipendenti dalla Russia) e, dall’altro, la predisposizione da parte di Gazprom di vari progetti di aggiramento delle rotte ucraine. L’inizio dei lavori per la realizzazione di South Stream (la maxi pipeline che correndo sul fondale del Mar Nero e poi risalendo i Balcani porterà direttamente sui mercati dell’Europa occidentale il gas russo) è stato infatti anticipato di un anno rispetto alla tabella di marcia. L’accelerazione del progetto, che nella sua tratta offshore nel Mar Nero è cofinanziato da Eni (20%), porterà entro il 2015 il bypass dell’Ucraina, colpevole, secondo Mosca di far lievitare le tariffe attraverso i dazi e di non offrire la piena sicurezza degli approvvigionamenti ai clienti. Le stesse motivazioni hanno accompagnato la progettazione e successiva messa in opera nel 2011 di North Stream, il gasdotto che collega la città russa di Vyborg a Greifswald in Germania e che, con la sua capacità di 27 miliardi di metri cubi all’anno, bypassa, via Baltico, il territorio ucraino. Nonostante il trattato bilaterale Kiev-Mosca dell’aprile 2010, c.d. Accordi di Kharkiv, il quale ha esteso fino al 2042 la concessione alla Russia della base navale di Sebastopoli in cambio di prezzi privilegiati (meno 30% sul normale prezzo di mercato) sulle forniture di gas all’Ucraina facesse presagire una certa distensione, il Presidente Yanukovich non potrà che continuare a rassicurare ed ammorbidire Cremlino e vertici di Gazprom, nel tentativo di scongiurare (o di ritardare il più possibile) l’annichilazione geostrategica del proprio paese.
Diretta conseguenza dei difficili rapporti con la Russia è il raffreddamento delle relazioni con l’Unione Europea e la NATO. L’indipendenza dell’Ucraina ha significato per Mosca, a livello geopolitico, la parziale perdita della testa di ponte sul Mar Nero e limitato, di conseguenza, le opzioni strategiche della Russia all’interno di un quadrante fondamentale. Sarebbe dunque uno smacco troppo grande per Mosca un’affiliazione di Kiev all’Alleanza Nord-Atlantica.
E così, la legge approvata dalla Rada nel giugno 2010 che impedisce all’Ucraina di aderire ad alleanze militari, oltre a sancire definitivamente la non-volontà del Paese di aderire all’Alleanza Atlantica, impedisce il passaggio al “nemico” di un esercito, quello ucraino, composto da 130.000 unità nonché del fondamentale sbocco sul Mar Nero. Tale processo, per ora limitato al campo dei rapporti economico-commerciali, potrebbe in futuro puntare alla (ri) satellizzazione socio-politica delle repubbliche ex-sovietiche. L’invito rivolto all’Ucraina ad entrare nell’Unione Doganale vigente tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan (è avvenuto il 14 gennaio 2013 l’incontro tra il Ministro degli Esteri ucraino Kozhara e il suo omologo russo Lavrov durante il quale si è parlato proprio di tempistica e modalità di ingresso dell’Ucraina in tale Unione) ha spinto il Segretario di Stato americano uscente Hillary Clinton a definire “risovietizzazione” le politiche intraprese dalla Russia nei confronti degli Stati limitrofi. Le preoccupazioni statunitensi tengono conto di una realtà numerico-statistica che parla chiaro: l’80% dei prodotti agricoli e il 96% dell’alta tecnologia ucraini sono diretti a Mosca. La dipendenza ucraina dal gas russo e la possibilità russa di bloccare le esportazioni ucraine in qualsiasi momento costituiscono, ad oggi, il maggior deterrente a supposte derive filoccidentali e/o aspirazioni europeistiche della politica estera di Kiev.