Arabia Saudita-Cina-Iran: un triangolo di trasformazioni nel Golfo
Medio Oriente e Nord Africa

Arabia Saudita-Cina-Iran: un triangolo di trasformazioni nel Golfo

Di Federica Curcio
14.03.2023

L’annuncio della svolta diplomatica tra Iran e Arabia Saudita, avvenuta sotto la mediazione cinese, è un risultato decisamente significativo nella diplomazia regionale e potrebbe segnare una nuova era in Medio Oriente. Alla base dell’intesa vi sarebbe un reciproco rispetto intorno ai principi cardine di sovranità e non interferenza che dovrebbero condurre, entro una roadmap di due mesi, alla riapertura delle rispettive Ambasciate e all’insediamento del personale diplomatico. Questo sviluppo, che riunisce due importanti attori regionali dopo anni di ostilità, sottolinea la crescente presenza della Cina nell’area e potrebbe rappresentare al contempo una sfida per il ruolo degli Stati Uniti nella regione.

I rapporti tra il Regno saudita e la Repubblica Islamica erano interrotti dal 2016 e sembravano destinati a rimanere tali date le differenti percezioni e visioni su questioni regionali di primo piano: dal Libano alla Siria, dall’Iraq allo Yemen, dove i due Paesi sostengono fazioni opposte. Dal punto di vista saudita il riavvicinamento con l’Iran rappresenta uno strumento di garanzia politico e securitario in funzione della protezione degli interessi commerciali, in primo luogo per ridurre la probabilità di attacchi dall’Iran o dai suoi proxy, ma anche per garantire la salvaguardia del processo di produzione petrolifera e per far sì che il Paese sia visto come un luogo sicuro per investimenti esteri a lungo termine a sostegno della politica di diversificazione economica del Regno. Teheran, dal canto suo, vede la de-escalation delle tensioni come un’opportunità per rallentare le crescenti relazioni tra Arabia Saudita e Israele, oltre che un tentativo per recuperare legittimità sul piano internazionale dopo i disordini interni che hanno reso il Paese sempre più isolato. Inoltre, l’accordo potrebbe avere le sue implicazioni regionali più ampie e immediate a cominciare dal conflitto yemenita, dove la coalizione militare a guida saudita combatte dal 2015 contro i ribelli Houthi sostenuti da Teheran.

Il riavvicinamento saudita-iraniano, salutato con favore dall’intera comunità internazionale, è sicuramente una notizia inaspettata e rappresenta una svolta diplomatica inattesa. Tuttavia, l’aspetto più significativo da considerare è il ruolo giocato dalla Cina che, con questa mossa, ha dato un impatto significativo alla sua politica nella regione. Pechino ha infatti radicato la sua influenza in Medio Oriente – come in altri scenari – perlopiù in funzione dell’assicurazione dei suoi interessi economici, instaurando quindi partenariati strategici senza mai spingersi pienamente nella dimensione politica. Era il 2016 quando il Presidente cinese Xi Jinping ha compiuto il suo primo viaggio nel Golfo, recandosi prima a Riyadh e poi a Teheran, per concludere quelle partnership economiche che oggi gli hanno consentito di portare i due Paesi al tavolo dei negoziati.

La Cina da sola rappresenta circa il 30% del commercio internazionale totale dell’Iran ed è il più grande mercato di esportazione di petrolio saudita. Tuttavia, sebbene il lavoro di Pechino aumenti il suo prestigio. donandogli una nuova e potenziale veste da mediatore diplomatico regionale, sarebbe fuorviante considerare questo avvenimento come una riduzione dell’influenza statunitense nell’area, né tanto meno come un qualcosa di fatto e compiuto nella prospettiva cinese.

L’Amministrazione Biden ha ribadito più volte negli scorsi mesi quanto la sicurezza regionale rimanga una priorità assoluta per Washington, anche alla luce di due obiettivi politici non ancora assicurati: contenere l’espansione del programma nucleare iraniano e rafforzare i processi di normalizzazione tra Israele e mondo arabo, a cominciare dal ruolo dell’Arabia Saudita. L’intesa, infatti, arriva mentre Stati Uniti e Israele si stanno coordinando con esercitazioni militari congiunte per rispondere ad un eventuale attacco iraniano (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha rinvenuto particelle di uranio arricchito fino all’83,7% di purezza, il livello più alto trovato dagli ispettori in Iran fino ad oggi).

Teheran spera che attraverso il riavvicinamento a Riyadh le parti saranno meno inclini a consentire un’azione militare israeliana e/o statunitense. Da parte saudita (che si è resa disponibile ad avvicinarsi ad Israele), invece, il riavvicinamento con Teheran è funzionale ad acquisire una posizione di forza nei confronti di Washington per alzare la posta in palio in un eventuale accordo di pace con Tel Aviv, chiedendo maggiori garanzie di sicurezza. Per ora, gli impegni tra Arabia Saudita e Iran rappresentano solo un buon primo passo per stabilire un canale di comunicazione diretto. È evidente come questo evento sia ricco di implicazioni regionali e globali che potrebbero cambiare l’architettura delle relazioni in Medio Oriente, anche se è presto per fare qualsiasi previsione – anche nel breve termine. L’unica certezza sta nella svolta della politica cinese nella regione: i legami economici e commerciali hanno lasciato il posto all’impegno politico; non è detto che, nel lungo periodo, non possano sfociare nella cooperazione in materia di intelligence e sicurezza.

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