Replica o escalation? Le ipotesi sul potenziale attacco di Trump alla Siria
Sono diverse le ipotesi che circolano al momento tra gli addetti ai lavori sulle modalità di un eventuale attacco americano in Siria, (anche se il presidente Usa sta prendendo tempo), che dipenderà dall’obiettivo strategico desiderato dall’amministrazione americana. La prima di queste ipotesi si basa su quanto già avvenuto nel 2017, quando il presidente Trump appena eletto attaccò e distrusse (dando un preavviso di 90 minuti per la presenza di militari russi) con una sessantina di missili Tomahawk la base militare di al-Shayrat, da dove si pensava fossero partiti gli aerei ritenuti responsabili di attacchi chimici. Allora, con un’azione mirata a dare un chiaro segnale politico, vennero distrutti, oltre alla base (ricostruita in pochi giorni), una decina di assetti dell’aviazione siriana.
“Se lo schema fosse quello di dare nuovamente un segnale politico forte, si potrebbe pensare al coinvolgimento dell’aeroporto militare di al-Dumayr, alla periferia di Damasco, da dove si ritiene siano partiti gli elicotteri accusati di aver effettuato gli ultimi attacchi chimici”. Ci spiega Francesco Tosato, Senior Analyst Responsabile Area Difesa e Sicurezza del Centro Studi Internazionali (Cesi). “In questo caso la scelta di missili cruise s_tandoff_ _(_i Tomahawk, ndr), a partire da quelli presenti nel Mediterraneo sarebbe la scelta più ovvia e anche quella più sicura per il personale americano, dal momento che con 1.600 km di gittata è molto facile colpire restando al di fuori delle capacità di risposta siriana”.
La seconda delle modalità ipotizzate, vede uno scenario intermedio e più sostenuto, quindi più obiettivi, con l’intento di dare, oltre ad un segnale forte, un duro colpo alle capacità militari del regime siriano. “Dato che il vantaggio delle forze di Assad è dato dal supporto aereo russo, ma quello è intoccabile, gli americani potrebbero decidere di colpire quello tecnico, visto che l’aviazione siriana si sta parzialmente riprendendo e sta iniziando ad avere delle capacità operative maggiori. In questo caso, l’attacco potrebbe colpire più installazioni militari, utilizzando sempre i Tomahawk dei cacciatorpedinieri di stanza nel Mediterraneo, associati a quelli presenti sulla variante modificata dei sommergibili lanciamissili balistici cruise classe Ohio (SSGN) di cui gli Stati Uniti dispongono”.
Se uno di questi 5 sommergibili in dotazione agli Usa fosse (lo si ipotizza) nel Mediterraneo, allora ci sarebbero altri 154 Tomahawk, che andrebbero a duplicare il numero delle unità integrate sui due cacciatorpedinieri schierati nel Mediterraneo. Il tutto – sottolinea Francesco Tosato – con la stessa dinamica, restando cioè al di fuori da una possibile reazione da parte siriana, visto che le difese aeree del Paese non potrebbero intervenire in quanto prive della gittata necessaria a colpire i missili al di là della loro traiettoria finale (40-50 km dal bersaglio, ndr).
Il raid in questo caso sarebbe decisamente più robusto e potrebbe vedere anche l’uso di missili cruise sganciati dai bombardieri B-1 e B-52, rischierati nella penisola arabica (Qatar e Emirati Arabi Uniti). Per obiettivi particolarmente critici è ipotizzabile poi l’uso del bombardiere stealth B-2, che però partirebbe direttamente dalla base americana di Whitman.
“Molta dell’efficacia di questo possibile raid – prosegue Tosato – dipenderà però da quello che faranno i russi. Tenendo ben presente che nessuno vuole muovere guerra alla Russia e gli americani staranno ben attenti a non colpire intenzionalmente uomini e basi di Putin, i radar a lungo raggio dei sistemi S-400 e S-300 attualmente schierati in Siria hanno ottime capacità di scoperta anche a distanze considerevoli (300-500 km). Se i russi anziché tenere un approccio conservativo come hanno fatto nel 2017 decidessero di supportare attivamente la difesa siriana coordinandone le batterie con i loro dati, i Tomahawk in arrivo potrebbero essere visti prima e abbattuti, segnando l’entrata in campo della Russia”.
Fonte: Airpress